Sul versante internazionale Giorgia Meloni ha già prodotto molti disastri, ma un miracolo le va riconosciuto: i suoi inciampi sono tali che Francia e Germania finiscono per riconciliarsi.

Il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, esibisce una tale diffidenza verso Chigi, verso la «mancanza di professionalità dei nostri interlocutori», verso il comportamento «non responsabile» dell’Italia, che per converso non fa che citare «la solidarietà di Berlino». Considerato che la coppia franco-tedesca era ai ferri corti, la eterogenesi dei fini meloniani è degna di nota.

E dire che – se riavvolgiamo il nastro al giorno dell’insediamento di Meloni – proprio gli screzi tra Emmanuel Macron e Olaf Scholz avevano offerto al governo italiano inedite opportunità tattiche. Il presidente francese, pur sotto forma di appuntamento al buio, era praticamente corso a trattare con la premier, pur di smuovere il colosso tedesco. Ma nel giro di poco, per le azioni improvvide del governo italiano, il vantaggio è stato dilapidato, come pure l’eredità di relazioni ricevuta da Mario Draghi. Neanche un mese, e la premier è sconfitta proprio sul punto che più le è caro: la credibilità.

Come si perde la faccia

Non fa che ribadirlo, Meloni: chiede di essere presa sul serio. Questo giovedì a Roma è venuto il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. E la presidente ha voluto specificare ciò che, evidentemente, crede non sia chiaro ai suoi interlocutori stranieri: «Noi siamo una nazione seria».

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Qualcosa di analogo era accaduto la settimana prima, a Bruxelles, tra un incontro con Ursula von der Leyen e una cena con Charles Michel: Meloni si era detta sollevata di aver mostrato che «non siamo marziani».

Come sia riuscita a farsi lo sgambetto da sola, e a scivolare proprio sulla reputazione, si spiega in due modi.

Il primo è che Meloni ha messo in atto una strategia doppia: smacchiare l’abito sovranista davanti all’establishment internazionale, ma ricucirsi addosso la vecchia propaganda destrorsa anti migranti con il proprio elettorato. Ma per portare avanti strategie ambigue bisogna saper anche gestirne le contraddizioni, e in questo Macron è molto più scaltro.

Qui interviene la seconda ragione del fallimento: la «mancanza di professionalità» – citando Darmanin – che ha innescato passi falsi.

Strategie che deflagrano 

Sia Macron che Meloni adattano la strategia al contesto.

Il presidente francese, ad esempio, vista la necessità di dialogare con Roma anche per ammorbidire Berlino, si è affrettato a incontrare la premier italiana fresca di incarico, ma aveva una scusa perfetta – un evento per la pace – e una versione a uso interno: prevedendo che l’opposizione lo avrebbe massacrato per aver incontrato la “neofascista”, ha tenuto l’incontro indefinito fino all’ultimo, poi lo ha incorniciato con un tweet di ringraziamento a Draghi.

Poco dopo, morbida con Bruxelles, Meloni ha voluto far la dura coi migranti per rinvigorire l’elettorato. Il suo governo ha intavolato dialoghi con gli omologhi francesi, Antonio Tajani ha incontrato Catherine Colonna, Meloni stessa ha incontrato Macron alla Cop27. Il presidente deve averla assecondata su un punto: la redistribuzione degli arrivi.

Ma qualcosa si è inceppato: all’Ansa è arrivata notizia che la Francia avrebbe accolto una nave ong, e Chigi è corso a urlar vittoria con una nota. Ore 21 di martedì: «Esprimiamo apprezzamento per la decisione della Francia di aprire i porti a Ocean Viking, è importante proseguire così».

Gli alleati della destra italiana, dai lepeniani ai zemmouriani, sono stati i primi a prendersela con eventuali «porti aperti» in Francia.

Parigi è andata su tutte le furie.

L’ultima è che congela il meccanismo di ridistribuzione, vuole ridiscuterlo in Ue, e «le conseguenze saranno forti sui rapporti bilaterali in generale, non solo sul tema migratorio», parole di Darmanin.

Una «nazione seria»

E così l’Italia di Meloni si ritrova bacchettata pubblicamente dalla maestrina Francia: «L’Italia doveva concedere il porto sicuro, non è responsabile, fa l’egoista e vuole approfittare della solidarietà europea, percepiamo mancanza di professionalità nei nostri interlocutori», tutte frasi sapientemente distribuite nell’intervento di Darmanin alla stampa.

Durante la Cop27, l’intervento di Meloni era stato rinviato di un paio d’ore rispetto al previsto, quello di Macron invece anticipato; non risulta che il contributo di lei sia stato d’impatto, ma in compenso il bilaterale con al Sisi è stato notato dai difensori dei diritti.

Al primo Consiglio Ue, il ministro Gilberto Pichetto Fratin, che porta in dote come delega il tema definito prioritario da Meloni, cioè l’energia, è arrivato con Roberto Cingolani, ex ministro di Draghi, ora “consulente”, ad assisterlo, e ciò nonostante sull’energia nessun successo è incassato. Il ministro ha perfino confuso il Consiglio europeo col Consiglio d’Europa.

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