Fellini, La strada, La dolce vita. Non arriva a citare Vacanze romane, ma la presidente della commissione Ue, Ursula von der Leyen, arrivata a Roma per celebrare il via libera della Commissione europea al Piano di ripresa italiano è quella che più cede al richiamo della scenografia apparecchiata per accoglierla. Nella conferenza stampa a Cinecittà il presidente del Consiglio Mario Draghi induce per poco sul paragone con l’Italia del Dopoguerra, quella uscita dagli «stenti» e che ora è pronta per l’«alba di una nuova ripresa». Per il resto dice chiaramente che questo «è solo l’inizio».

Il Piano è stato approvato a pieni voti, come tutti. Tranne che alla voce delle stime sui costi, altrettanto come tutti. L’obiettivo è arrivare alla fine del 2026 raggiungendo i 240mila posti di lavoro in più e l’1,5 per cento in termini di crescita stimati per il Piano di ripresa italiano. Le fondamenta da cui partire sono le prime riforme approvate, soprattutto quella della pubblica amministrazione. La «capacità amministrativa» è insieme alla «volontà politica», dice Draghi, quello che può fare la differenza e trasformare i soliti annunci in svolta reale. E la tenuta della volontà politica si vedrà molto presto, alle prossime tappe, delle centinaia che dovremo rispettare, che Draghi ha elencato.

Le concessioni

I prossimi obiettivi sono scogli politici e istituzionali importanti. «Entro il mese di giugno presenteremo una legge delega per la riforma degli appalti e delle concessioni, a luglio la legge sulla concorrenza, e poi a giorni la giustizia», ha assicurato Draghi.

Dell’ultima c’è poco da dire, oltre a quello che ha detto la presidente della commissione Ue ricordando per l’ennesima volta la necessità di accorciare la lunghezza dei procedimenti: per ora c’è stallo politico sul fronte della giustizia penale e scontro tra magistrati e avvocati su quello, anche più importante, della giustizia civile.

Su appalti e concessioni, invece, la situazione è complicata sul fronte dei partiti e dello stesso governo. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza si parla di una revisione delle concessioni da applicarsi al 2024. Per l’esecutivo significa testare la capacità dei partiti della grossissima coalizione italiana, senza distinzioni tra destra e sinistra, a partire dalla Lega e dal Partito democratico, di girare le spalle a lobby finora ascoltate, più del bisogno dei cittadini di una concorrenza che funzioni e che risponda all’interesse generale.

Il problema in casa

Poi c’è anche un conflitto di interessi che il governo ha di fatto in casa avendo attraverso la Cassa depositi e prestiti, appena concluso l’agognato accordo di acquisizione di Autostrade per l’Italia. Una operazione realizzata in consorzio con colossi dell’investimento come Blackstone e Macquarie, che di certo sono attenti ai loro rendimenti. A questo si aggiunge il complicato nodo delle concessioni dell’Anas, controllata da Ferrovie dello stato, che nel suo bilancio ha calcolato una concessione rinnovata per decenni.

Se Draghi ha ricordato fin da subito che sulle riforme l’interlocuzione con la Commissione europea è stata fondamentale, il prossimo passo è la dimostrazione pratica di quanto sarà in grado di mettere in pratica le richieste che da anni arrivano da Bruxelles.

Contratto sociale europeo

La presidente della Commissione europea ha approfittato del momento celebrativo per omaggiare l’Italia, «avete insegnato il significato della solidarietà all’Europa», l’Europa «segue il vostro esempio», in un tentativo neanche troppo velato di recuperare terreno in un’opinione pubblica che ha avuto per anni una immagine acciaccata dell’Unione. E però ha anche ricordato che questa, di un piano di investimenti maggiore del piano Marshall, è «un’occasione che avviene una volta nella vita».

Nella prevedibile divisione dei compiti, il presidente del Consiglio è stato più esplicito sulle responsabilità italiane: «La giornata di oggi è solo l’inizio. La sfida più grande è ora l’attuazione del Piano. L’importante è che questi fondi siano spesi tutti e siano spesi bene, in maniera efficace e con onestà».

Il presidente del Consiglio ha soprattutto spiegato in maniera ancora più chiara il nocciolo del contratto sociale implicito nel programma Next generation Eu: «Abbiamo una responsabilità di fronte ai cittadini europei che hanno pagato le tasse per i fondi, visto che non tutti ne usufruiscono allo stesso modo, e di far bene non solo per noi stessi ma per l’Europa».

La domanda che ha rincorso Draghi per tutta la conferenza stampa è stata soprattutto una e cioè se il programma Next generation Eu sarebbe stato solo un intervento comune straordinario o se sarebbe diventato strutturale, un vero salto nell’architettura dell’Unione europea.

A vedere bene Draghi ha dato prima una versione ridotta della questione, spiegando che alcune parti come Sure sarebbero potute diventare strutturali. Risposta più facile, visto che la assicurazione comune sulla disoccupazione è un progetto che viene da lontano e che è stato spinto anche sulla spinta di una intesa tra Italia e Germania.

Ma alla fine il premier ha dato una risposta più elaborata: «Il programma resterà strutturale se risponderemo alla fiducia che c’è stata data, è una responsabilità fondamentale per l’integrazione dell’Europa», ha detto Draghi. E ora che il piano di ripresa italiano è stato approvato non si può far finta di non averne capito tutte le implicazioni.

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