Dire che sia stata una mossa studiata, ponderata, una manovra astutamente e malvagiamente condotta, sarebbe troppo. Persino per l’uomo che Le Figaro, giusto ieri, descriveva come il rivoluzionario che ha ridato «lustro all’Italia». Ma non è affatto escluso che Mario Draghi, uomo di economia prima che di politica, abbia calcolato costi e benefici della sua azione.

Il centrodestra è pubblicamente imploso. Silvio Berlusconi prova a rinfocolare le ceneri di ciò che è stato. Ma l’ala governista di Forza Italia, rappresentata dai ministri Mariastella Gelmini, Mara Carfagna e Renato Brunetta, è ormai lontanissima dall’ex premier e non manca di farlo notare.

Matteo Salvini non sopporta Giorgia Meloni. L’audio della riunione di giovedì con i parlamentari della Lega – pubblicato in esclusiva dal Foglio – in cui la bolla come una «rompi coglioni», è solo il racconto orale di ciò che visivamente era già evidente a tutti.

Il sentimento, c’è da giurarci, è reciproco (anche in assenza di registrazioni audio). E quindi tutto si regge grazie al più antico dei collanti: il potere. Insieme FI, Lega e Fratelli d’Italia sono ancora un’alleanza che potrebbe proporsi per guidare l’Italia, e infatti governano già comuni e regioni.  Ma cosa c’entra Draghi?

Giorgia in my mind

Il premier è un ingranaggio determinante in questo processo di autodistruzione. Non solo perché abilissimo a tenere attaccati a sé Berlusconi (e il suo partito morente) e il Salvini di lotta e di governo. Il vero investimento il premier sembra averlo fatto su Meloni.

Fin dalla nascita del nuovo esecutivo la leader di Fratelli d’Italia non ha avuto dubbi e ha deciso, solitaria, di sedersi all’opposizione. Una strategia per provare a rubare consensi alla Lega, ma anche un’ottima notizia per Draghi.

Un governo senza opposizione, infatti, sarebbe stato troppo anche per lui.

Visti i numeri della maggioranza il premier avrebbe potuto ignorare i suoi oppositori. Invece, in gran parte per il senso delle istituzioni che lo contraddistingue, un po’ forse per strategia, non lo ha fatto. Anzi.

A giugno Meloni veniva ricevuta a palazzo Chigi e, dopo l’incontro, commentava con un pizzico di entusiamo: «Il presidente è stato molto interessato e cordiale, spero in appuntamenti cadenzati per fare la nostra parte».

Non vi è notizia che quell’auspicio sia diventato un calendario di incontri. Salvini, anche per le sue intemperanze, frequenta palazzo Chigi molto più di Meloni. Ma fonti della presidenza del Consiglio assicurano che Draghi e la leader di FdI, anche se non spesso, si sentono «regolarmente».

Non a caso dieci giorni fa Meloni, a margine della conferenza stampa del centrodestra per sostenere il candidato sindaco a Roma Enrico Michetti, interrogata sull’idea che sia il premier a guidare un percorso di “pacificazione nazionale”, rispondeva: «Sicuramente in Italia c’è un clima molto preoccupante per varie ragioni e sicuramente il presidente Draghi può essere una figura utile con cui confrontarsi».

Insomma a Meloni il presidente del Consiglio, come interlocutore, non dispiace affatto. Certo non sono mancati gli attacchi, le polemiche, i voti contrari, ma in fondo il ruolo dell’opposizione è anche questo. E comunque il premier non è mai stato uno degli obiettivi preferiti da Meloni.

Matteo nell’angolo

Di sicuro infatti c’è che in questi mesi, come certificato da Salvini, Fratelli d’Italia ha «rotto i coglioni» più alla Lega che a Draghi. E la crescita dei consensi di Meloni ha prodotto lo strano effetto per cui oggi il Capitano, una volta considerato l’unico in grado di guidare “l’invincibile armata” del centrodestra, è sotto attacco fuori e dentro il suo partito.

Non a caso ha smesso di pensare a elezioni anticipate e sembra quasi rassicurato dal fatto che la legislatura potrebbe raggiungere la sua fine naturale, nel 2023.

Insomma probabilmente Draghi non poteva immaginare che una piccola e un po’ rumorosa opposizione producesse risultati così positivi per lui e per il suo governo, disinnescando quello che, alla vigilia, sembrava essere il principale elemento di disturbo. Non poteva immaginarlo, ma forse un po’ lo sperava.

E anche se oggi, come sempre accaduto, guarda con distacco a ciò che succede nei partiti e nelle coalizioni – argomento che non lo ha mai appassionato – sicuramente un po’ se ne compiace.

   

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