Sulle relazioni con la Cina, un’Ue senza bussola rischia di diventare più realista del re, più statunitense degli Usa. Mentre persino Washington tramite Janet Yellen lancia messaggi di dialogo a Pechino, i falchi d’Europa si sono ormai gettati nella corsa a chi fa la dichiarazione più dura contro la Cina.

Anche se è in Lussemburgo che questo lunedì i ministri degli Esteri si sono ritrovati con la questione cinese nella stanza, il punto dal quale si diramano tutte le increspature in corso è Parigi. Dall’Eliseo e dalle sue dichiarazioni “terzopoliste” si è scatenata la prima grande tempesta diplomatica poche settimane fa. Dalla Francia ora l’ambasciatore cinese Lu Shaye fa scandalo con i suoi commenti maldigeriti per le loro evocazioni filorusse.

Ed è ancora una volta dalle colonne di un giornale francese che Josep Borrell, l’alto rappresentante Ue, lancia la sua idea che le navi europee siano direttamente coinvolte nel pattugliamento dello stretto di Taiwan. Una posizione agli antipodi rispetto a quella macroniana – cioè l’idea di mantenersi un polo terzo – e che proietta l’Ue dritta nella logica dei due fronti avversi.

L’Ue in cerca di linea

I rapporti con la Cina sono ormai al centro del dibattito interno europeo. È evidente da tempo, in ogni intervento pubblico della Commissione europea, che Pechino è finita nella lista degli antagonisti: «i rapporti si sono deteriorati», per dirla con Borrell.

Ma fino a qualche settimana fa, Bruxelles aveva dovuto barcamenarsi tra governi con diverse attitudini e differenti disponibilità allo scontro. Ursula von der Leyen ha coniato non a caso la nozione compromissoria di derisking al posto di quella originaria di disaccoppiamento.

Le dichiarazioni rilasciate da Macron sull’aereo di ritorno da Pechino, nelle quali invocava un’Ue autonoma rispetto agli Stati Uniti proprio a poche ore di distanza dall’auspicio analogo di Xi Jinping, hanno però fatto deflagrare le divergenze. Manfred Weber, il leader plenipotenziario del Ppe – presidente sia del gruppo che del partito – si è affrettato a esibire la propria vicinanza agli Stati Uniti, ha attaccato Macron e ha lanciato il dibattito la scorsa settimana nell’aula dell’Europarlamento. I Verdi – tanto gli eurodeputati quanto la in ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock – si sono presentati come la forza riparatrice dei danni di Macron.

Nell’emiciclo europeo di Strasburgo il macroniano Stéphane Séjourné, capogruppo dei liberali di Renew, non ha trovato risposta migliore che contrattaccare: «Qual è il problema, Macron che parla di potenza europea o le dipendenze create dalla destra?».

L’allineamento dei falchi

Neanche il tempo per gli eurodeputati di lasciare Strasburgo, che di nuovo dalla Francia è deflagrato l’ennesimo casus belli.

Venerdì sera, intervistato da La Chaîne info (LCI), in un passaggio che riguardava la Crimea, l’ambasciatore cinese Lu Shaye si è avventurato in una affermazione a dir poco controversa, secondo la quale i paesi dell'ex Unione sovietica «non hanno lo status di paesi sovrani nel diritto internazionale perché non esiste un accordo internazionale per concretizzarne lo status».

I paesi baltici si sono subito attivati richiamando i rispettivi ambasciatori cinesi. La Lituania, falco apripista dell’Ue, che per il suo posizionamento pro Taiwan si era ritrovata in una guerra commerciale con Pechino, ha rivendicato la propria scelta di uscire – a maggio di due anni fa – dal forum di dialogo tra Cina e paesi di est e centro Europa.

Mentre i ministri degli Esteri si preparavano a raggiungere il Lussemburgo per il loro Consiglio Ue sull’Ucraina, la Cina entrava prepotentemente nel dibattito. La pressione è stata tale che Macron ha dovuto stigmatizzare «il linguaggio sbagliato», il governo francese ha dovuto convocare Lu Shaye al Quai d’Orsay, e Pechino a sua volta ha preso le distanze dal diplomatico: quel punto di vista era «personale».

Borrell fuori tempo

Lo stress test fa emergere tutte le tensioni in corso in Ue. «Invito le marine europee a pattugliare lo stretto di Taiwan per sottolineare l'impegno dell'Europa a favore della libertà di navigazione in questo settore assolutamente cruciale», aveva scritto Borrell sul Journal du dimanche nel weekend.

Un punto di vista agli antipodi rispetto a quello macroniano di non farsi «invischiare in un regolamento di crisi che non sono le nostre». Borrell si proietta sulla logica «dei due blocchi», come lui stesso riconosce citando la presidente della Bce Christine Lagarde.

Nel frattempo persino gli Usa stanno cercando faticosamente di uscirne: la scorsa settimana Janet Yellen, segretaria al Tesoro, ha offerto un ramoscello d’ulivo a Pechino, sostenendo che il disaccoppiamento sarebbe disastroso e che gli Usa non hanno quest’intenzione.

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