Il tour europeo in Cina è quel tour nel quale nessuno è dove vorrebbe davvero essere.

Per Emmanuel Macron infatti questo viaggio, che dura fino a venerdì, non è che un ripiego dopo che è fallito il suo piano di andare da Xi Jinping assieme al cancelliere tedesco in autunno. Ma Olaf Scholz è andato dritto per la sua strada, da solo.

Per Ursula von der Leyen, che si sposta assieme al presidente francese, gli incontri cinesi sono un passo indietro forzato. Ci aveva provato, infatti, la presidente più americana d’Europa, a proiettarsi dritta verso lo scontro frontale contro Pechino, soprattutto durante il suo incontro di marzo con Joe Biden. Ma i governi europei l’hanno redarguita. Così von der Leyen bussa alle porte cinesi con un messaggio che dice de-risking (riduzione dei rischi) invece di decoupling (disaccoppiamento). Ma la verità è che se fosse per von der Leyen l’Ue sarebbe del tutto allineata con gli Usa.

La coppia Macron-von der Leyen, con stuolo di dirigenti d’impresa al seguito, va a Pechino per tentare una terza via: né amici né nemici della Cina. Ma questa prospettiva risulta debole, perché non è il frutto di una posizione decisa, autonoma e propositiva. È piuttosto l’esito del tentativo di barcamenarsi tra priorità diverse: da una parte chi, come la Germania e il suo tessuto produttivo, di divorziare ora da Pechino non ne vuole sapere, e dall’altra chi, come la presidente della Commissione Ue, è già proiettata sulla guerra tra blocchi.

Mezza retromarcia di Ursula

Il 30 marzo von der Leyen ha pronunciato un discorso sulle relazioni Ue-Cina che è considerato come la sua presa di posizione sul tema. E qui ha coniato anche la sua retorica del de-risking come alternativa al disaccoppiamento.

Ci si potrebbe chiedere quindi come mai tutto il resto del suo intervento faccia intendere chiaramente la Cina come antagonista: «L’escalation mostra che la Cina diventa più repressiva a livello domestico e più assertiva all’estero», «dobbiamo essere più indipendenti» da Pechino e più «allineati coi nostri partner».

La risposta si trova nei fatti di inizio marzo. Von der Leyen è appena stata in visita alla Casa Bianca, e assieme a Joe Biden ha mostrato il volto duro dell’Ue verso la Cina. Peccato che non si sia sincerata prima di avere tutta l’Ue al suo fianco. E infatti al suo ritorno ha trovato i governi indispettiti, per non parlare degli screzi ormai perenni con Charles Michel, il presidente del Consiglio europeo che le sfila via la sedia quando può, sia in senso figurato che concreto come era accaduto con Erdogan e lo “scandalo sofà”. A metà marzo i governi europei – in questo caso in forma di Consiglio Ue – sono arrivati a chiedere un parere legale per accertarsi che nella sua nota congiunta con Biden la presidente non avesse «travalicato il mandato».

Nel giro di poche ore, von der Leyen era davanti ai microfoni del consorzio di agenzie europee European Newsroom (ENR) a rilasciare un’intervista riparatoria: «Per l’Ue è importante ridurre i rischi – le dipendenze – dalla Cina, non disaccoppiarsi», diceva preconizzando il discorso di fine marzo pre-tour cinese.

Discorso nel quale von der Leyen riesce nell’abile arte equilibrista di mostrarsi dura, ma anche aperta, perché – parole sue – «nelle nostre relazioni non esiste il bianco o nero»: ed ecco quindi la nuova sfumatura strategica, il grigio-von der Leyen.

Debole avanzata di Macron

La presidente della Commissione Ue affiancherà Macron, che spera così di poter negoziare con le spalle più forti, e che fino all’ultimo Consiglio europeo non ha smesso di punzecchiare Scholz per aver rifiutato di farsi affiancare dall’Eliseo nel suo viaggio cinese d’autunno.

Il presidente francese punterà pubblicamente soprattutto sugli sforzi di dirimere la guerra in Ucraina, anche se von der Leyen ha già il suo punto di vista sul tema: «Dall’ultimo viaggio di Xi Jinping in Russia è chiaro che la Cina vede le debolezze di Putin come un modo per aumentare il suo peso sulla Russia».

Dunque i due presidenti chiederanno entrambi uno sforzo conciliatorio a Xi, ma sarà soprattutto Macron a puntarvi, e a premere perché il presidente cinese accetti di incontrare Volodymyr Zelensky.

Ma l’Eliseo non va in cerca solo di diplomazia, va anche in spedizione d’affari: Macron si porta dietro uno stuolo di 53 dirigenti d’azienda. Anche Scholz era partito con imprenditori al seguito. Il primo de-risking al quale l’Eliseo punta è non farsi lasciare indietro. Pure il premier spagnolo lo ha preceduto con la spedizione cinese della scorsa settimana.

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