Da Strasburgo arriva la spinta per riformare i trattati europei. E poiché nell’Unione europea, per come funziona attualmente, poco può cambiare davvero senza la volontà politica dei governi, l’intervento di Mario Draghi all’Europarlamento è un catalizzatore importante per il processo di integrazione europea. Non bastano gli ideali, così come non basta la risoluzione discussa oggi dagli eletti europei: l’Europarlamento si attiva per lanciare una convenzione, che è il prodromo per la riforma dei trattati. Ma senza il Consiglio, e cioè senza i governi, l’idea di ridisegnare l’architettura dell’Unione non può fare molti passi. Qui entra in scena il «federalismo pragmatico». Così lo definisce Draghi, che porta in dote a Strasburgo il suo appoggio al processo di riforma.

Il momento decisivo

L’ultima volta che un presidente del Consiglio italiano si è rivolto in presenza agli eletti europei, a rivestire l’incarico era Giuseppe Conte, ed era febbraio 2019: i tempi del suo primo governo, con la Lega. Già in quel dibattito sul futuro dell’Europa, palazzo Chigi invocava più difesa comune, e più integrazione. Pochi mesi dopo, il voto di fiducia degli eurodeputati Cinque stelle a Ursula von der Leyen ha innescato il passaggio al secondo governo, quello con il Pd; e a un anno di distanza dall’intervento di Conte a Strasburgo, la pandemia ha accelerato l’integrazione, con l’acquisto comune di vaccini e con l’indebitamento comune.

Ora è la guerra in Ucraina, con la crisi dell’energia e dei prezzi, a catalizzare una nuova fase per l’Unione. Draghi è arrivato a Strasburgo per “This is Europe”, un ciclo di interventi di capi di governo. Il suo intervento cade in un frangente decisivo: è il giorno dopo la polemica sul pagamento di gas in rubli, l’Ue sta affrontando ulteriori decisioni su sanzioni ed embargo energetico, e poche ore dopo il discorso di Draghi gli eurodeputati discutono gli esiti della conferenza sul futuro dell’Europa, con la risoluzione che spinge per la riforma dei trattati.

Il premier e i trattati

«Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso, dall’economia, all’energia, alla sicurezza», ha detto Draghi. «Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia».

Il premier usa come paradigma il modo in cui l’Ue ha affrontato la crisi pandemica, cioè «organizzando insieme la più imponente campagna di vaccinazione e approvando Next generation Eu, il primo grande progetto di ricostruzione europea». E lo trasla pensando alla crisi attuale: «La guerra in Ucraina pone l’Ue davanti a una delle più gravi crisi della storia, sia umanitaria che securitaria, energetica, economica». La inadeguatezza degli strumenti a disposizione – le «istituzioni inadeguate per la realtà di oggi» – e la necessità di risposte rapide lo portano a concludere che se una riforma dei trattati serve, va sostenuta.

L’endorsement di un capo di governo contribuisce a rendere più concreta l’ipotesi di una convenzione, per la quale non basta l’iniziativa degli eurodeputati ma serve una maggioranza semplice in Consiglio; dopo la eventuale convenzione, la modifica dei trattati vera e propria, poi, richiede un consenso unanime dei governi.

Più ampia, meno unanime

La necessità di procedere all’unanimità è uno dei punti che Draghi inserisce nell’elenco delle disfunzioni da correggere. Al momento serve il consenso di tutti i governi per ambiti considerati «sensibili» dagli stati, tra i quali politica estera e di sicurezza comune, e adesione all’Ue. Il premier si è espresso per una accelerazione nel processo di adesione non solo per l’Ucraina, ma per Albania e altri paesi ancora nel limbo. Al contempo ha sottolineato che «la costruzione di una vera difesa europea e una politica estera unitaria richiedono meccanismi decisionali efficaci»: stop «ai veti incrociati», via libera – fosse per Draghi – a «decisioni prese a maggioranza qualificata». La sintesi delle sue proposte produce un’Ue più larga, ma dove per decidere non serve il consenso di tutti.

Il «banchiere» pragmatico

Se Draghi spinge per un’ulteriore fase di integrazione, è sulla base del «pragmatismo», come lui stesso dice. «I padri fondatori hanno intuito l’importanza della dimensione sovranazionale per affrontare processi di ampia portata, e lo hanno fatto non di getto, ma “settore per settore”, per citare Robert Schuman». Ora la guerra, dice il premier, pone l’Ue davanti a una delle crisi più gravi della storia. «Ho parlato di federalismo pragmatico. Che significa? Che di fronte a tante sfide la soluzione migliore è affrontarle insieme. Non significa solo finanziarle insieme: voi pensate, io sono un banchiere. Significa anche sorvegliarle insieme, assicurarsi che i soldi siano ben spesi, tutti insieme». Seguendo questa logica, «anche il federalismo ideale serve»: è funzionale, dice Draghi, «alla necessità di tenere insieme paesi con condizioni di partenza molto diverse. Serve a tenerci uniti».

Difesa, energia e soldi

Il premier snocciola alcune proposte che fanno intendere quali siano, per lui, le priorità «pragmatiche».

Anzitutto, c’è la difesa comune: Draghi propone di «convocare una conferenza per ottimizzare gli investimenti». Poi sollecita «decisioni forti e immediate» sui prezzi dell’energia: da prima della guerra, Italia, Spagna e altri paesi hanno chiesto a Bruxelles azioni incisive, ed è in vista un Consiglio europeo sul tema. Anche il tema di come gestire insieme dal punto di vista finanziario le nuove sfide sta a cuore sia a Draghi che a Macron, che al consiglio informale di Versailles hanno accettato di rinviare la faccenda del nuovo indebitamento comune a «tempi maturi».

Ora Draghi rilancia: «Per gli investimenti di lungo periodo in aree come difesa, energia, sicurezza alimentare e industriale, il modello è Next generation Eu». Nell’immediato propone di ampliare la portata dello strumento Sure, nato con la pandemia come “cassa integrazione Ue”: «Questo meccanismo di prestiti eviterebbe l’uso di sovvenzioni a fondo perduto ma limiterebbe il rischio di instabilità finanziaria».

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