«La mia vita è in pericolo. E io vengo lasciata qui, ad aspettare». Izabela racconta a sua madre Barbara che ha paura di morire. Glielo scrive per messaggio da un ospedale di Pszczyna, una cittadina della Slesia, e da quell’ospedale Iza non esce viva. Viene lasciata morire perché le leggi sul divieto d’aborto, che da circa un anno in Polonia sono diventate più rigide che mai, fanno paura ai medici: piuttosto che rischiare il carcere, tergiversano. Così Izabela, morta a trent’anni e alla ventiduesima settimana di gravidanza a causa degli effetti della politica antiabortista della destra ultraconservatrice, è da giorni protagonista delle piazze polacche. È nelle foto, nei necrologi, negli striscioni, nei post sui social. In suo nome, nel nome di Iza, una nuova ondata di proteste sta crescendo nel paese. E anche fuori dai confini. Strajk Kobiet, lo «sciopero delle donne», aggiorna di ora in ora la lista di città dissenzienti. Spuntano anche un presidio davanti all’ambasciata polacca in Italia, un flash mob a Reykjavík nel gelo islandese, la protesta a Berlino.

Il crinale

L’unico confine davvero percepibile è quello dentro la società e la politica polacche, tra chi vuole tornare al medioevo e chi vi si oppone. La parola «medioevo» non è scelta a caso. «Io voglio tornare nel medioevo, perché è quello il tempo normale della nostra gente», ha dichiarato Piotr Kaleta, deputato del Pis, il partito al governo, mentre l’aula della Sejm discuteva una nuova proposta anti gay pride. «Qui bisogna protestare, perché siamo in piena follia ideologica: ci vorrebbero trascinare indietro al medioevo!», dice oggi la filosofa e femminista Magdalena Środa prima di entrare a fare lezione all’Università. Il medioevo è il crinale sottile su cui si muove la società polacca, in bilico tra un governo che con la crisi Polexit si è sempre più isolato e cerca nuovi capri espiatori; e una società civile che torna in piazza per rivendicare i propri diritti.

La storia di Iza

A inizio settembre Izabela viene a sapere dai test che il feto presenta anomalie, ma decide di portare avanti comunque la gravidanza. Iza non va in ospedale per chiedere di abortire, ma perché alla ventiduesima settimana di gravidanza, a seguito di un forte stress si sente male. Quello che succede quel 22 settembre lo sappiamo da Iza stessa, perché invia messaggini alla madre Barbara, che successivamente denuncia il caso. «Il feto pesa 485 grammi. Ma per ora, vista la legge sull’aborto, mi fanno aspettare qui. Non possono intervenire». A ottobre di un anno fa la Corte costituzionale polacca, che non è indipendente dal potere esecutivo, ha stabilito che l’aborto in Polonia è illegale pure in caso di malformazioni del feto; chi viola il divieto rischia il carcere. Da allora, Abortions without borders ha aiutato circa 34mila donne ad abortire all’estero. Iza non aveva previsto di abortire, è nell’ospedale di Pszczyna perché si sente male, ma il feto presenta anomalie e i dottori non osano intervenire. «Aspetteranno finché il bambino non muore. Altrimenti, devo aspettarmi la setticemia. Non accelereranno la cosa, devono aspettare che il battito del feto si interrompa». Iza trema, scrive alla madre, il termometro segna quasi 40 di febbre. «Aveva paura di morire», dice Barbara. Quando l’ecografia mostra che il feto è senza vita e i medici si decidono a intervenire, è tardi. Iza è morta.

La nuova onda

«A 22 settimane di gravidanza viene ricoverata in ospedale per complicazioni. I medici aspettano che il feto muoia. Il feto è morto. La paziente è morta di shock settico. La morte è causata dalla legge polacca anti aborto». Questo è il necrologio che i manifestanti per il diritto all’aborto hanno fatto arrivare davanti ai cancelli di un appartamento di Berlino dove risiede per la maggior parte del tempo la presidente della Corte costituzionale, Julia Przyłębska, moglie dell’ambasciatore polacco in Germania. Dalla fine della scorsa settimana decine di migliaia di persone protestano a Varsavia, a Cracovia, ovunque nel paese. La rete che nell’autunno scorso è stata capace di unire giovani e anziane, femministe, comunità Lgbt, e che ha riempito le piazze come mai si era visto dalla fine del comunismo, si è riattivata per Iza. Il sondaggio più recente (condotto da United Surveys per Wirtualna Polska) risale a venerdì scorso e registra che in effetti quasi i tre quarti delle persone intervistate vogliono che la legge attuale sul divieto di aborto sia quantomeno addolcita.

«Da un anno ormai provo a presentare in aula una proposta di legge che serve almeno a evitare di criminalizzare i medici, visto che al momento rischiano fino a tre anni di carcere», dice da Varsavia Magda Biejat, deputata della sinistra. «Ma già tre volte hanno respinto la mia proposta e mi hanno impedito di discuterla in aula». Chi? La coalizione di governo. «Spero che queste proteste cambino qualcosa. Intanto con le femministe continuiamo a raccogliere firme per un progetto di legge che consenta l’aborto senza restrizioni fino ai tre mesi dal concepimento».

La frattura politica

La destra ultraconservatrice ha ben altri piani: il versante più estremo, guidato dalla pro life Kaja Godek per la quale pure la morte di Iza «è colpa delle femministe», vorrebbe equiparare l’aborto all’omicidio. I più concilianti dentro il partito di governo Pis, pensano al massimo di tornare alla situazione pre sentenza, che comunque era molto restrittiva per le donne. Intanto Piattaforma civica, il centro liberista di cui Donald Tusk ha ripreso la guida, prova faticosamente a riposizionarsi: tradizionalmente ambiguo sul tema, perché pur sempre conservatore, questo partito sa anche che il dialogo col movimento è utile per una futura vittoria. Nel paese il campo dei diritti è sempre più un campo di battaglia politica. Sempre su iniziativa della ultraconservatrice Godek, e grazie al supporto di Pis, è passato in prima lettura un progetto di legge che vieta i gay pride e ogni sorta di protesta e manifestazione pro Lgbt. Un ritorno al medioevo, come gli stessi deputati Pis riconoscono.

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