Una sentenza della Corte costituzionale ha ristretto ancor più il diritto all’aborto, già quasi nullo, delle donne polacche. «Ma noi troveremo il modo di protestare oggi, e domani, e dopodomani. Ci hanno costruito una trappola dalla quale pare impossibile uscire» dice Lana Dadu, femminista, da Cracovia. «Con l’emergenza Covid-19 non è consentito manifestare, e sarà sempre più difficile anche andare fuori confine per esercitare il proprio diritto ad abortire».

«Se le donne di altri paesi potessero ascoltarmi, vorrei dir loro: abbiamo paura del virus, ma ancor più, abbiamo paura del nostro governo». In Polonia la crociata della destra ultracattolica contro il diritto delle donne ad abortire va avanti da anni e ha utilizzato prima armi politiche, poi giudiziarie. Adesso anche la disciplina anti-contagio si sta trasformando in una ulteriore arma di repressione. Ecco come.

Le vie politiche

Da anni il governo conservatore polacco, a guida Pis (Diritto e giustizia) ma sempre più condizionato da elementi di estrema destra, prova a togliere alle donne anche il minimo diritto all’aborto. Un diritto già quasi inesistente nel paese sin dai primi anni Novanta: finora è stato consentito solo nei casi di violenza sessuale, incesto, gravi anomalie del feto o se la vita della madre è in pericolo. Quattro anni fa, la destra ha provato con una proposta legislativa a cancellare pure queste eccezioni; con il supporto attivo delle organizzazioni pro life e la compiacenza della Chiesa polacca, la proposta è arrivata in parlamento. Ma le donne polacche (e non solo loro) sono scese in strada, in quell’ottobre 2016, in ogni città e nella capitale in massa, vestite a lutto, a migliaia. Una marea nera. Era la “Czarny protest”. 

(La Czarny Protest dell'ottobre 2016; foto dall'account twitter di Kris van der Veen)

Le pressioni della Chiesa

E la destra ha dovuto fare marcia indietro. Ma le pressioni sono continuate. Nel 2019 per esempio la Chiesa polacca, attraverso le parole dell’arcivescovo Stanislaw Gadecki, che è il capo della conferenza episcopale polacca, ha criticato sia il partito di governo, il Pis, che la Corte suprema, per aver «tradito la promessa elettorale di proteggere la vita sin dal momento del concepimento». Un «fallimento», così lo ha definito  Gadecki. Ma dove non è arrivata la politica, è riuscita la “giustizia” - in un paese attenzionato dall’Unione europea proprio perché la sfera giudiziaria non ha la necessaria indipendenza dall’esecutivo. 

Le vie giudiziarie

La Corte costituzionale ha stabilito ieri che l’aborto è incostituzionale anche nel caso in cui il feto abbia gravi malformazioni. A sollecitare la corte su questo argomento sono stati più di cento firmatari, tra i quali parlamentari del Pis, dell’estrema destra di Konfederacja, e di altri partiti di destra. Il supporto legale e la verve ideologica arrivano però dalle organizzazioni pro life come Ordo Iuris, che fa parte del network del Congresso mondiale delle famiglie (lo stesso che si riunì a Verona nel marzo 2019 scatenando le proteste femministe). Quel network è presidiato e finanziato anche da oligarchi vicini a Vladimir Putin. 

(Il leader del Pis e vicepremier Jaroslaw Kaczynski,  e dietro di lui il premier Mateusz Morawiecki. Foto LaPresse)

Nessi tra pro life, politica e giudici

Ordo Iuris influenza il governo polacco, tanto che quattro anni fa, quando il governo provò a inasprire il divieto di aborto, Jarosław Kaczyński, leader del Pis e attuale vicepremier, ammise che a ispirarlo era stata questa organizzazione pro life, la stessa che ha fomentato la crociata contro la comunità Lgbt. Non è tutto: la Corte che ha assecondato questa impostazione è a sua volta controversa per lo stretto legame tra giudici ed esecutivo. Per dirne una, a novembre 2019 i parlamentari del Pis hanno eletto come membri della Corte due loro ex colleghi, Krystyna Pawlowicz e Stanislaw Piotrowicz. Ma la commistione con il governo dura da anni: nel 2015 il presidente polacco Andrzej Duda rimpiazzò tre giudici scelti dal precedente governo con tre nomi graditi al Pis. “Una corte-burattino”: così l’ha definita Andreas Vosskuhle, fino a marzo capo della Corte costituzionale federale in Germania. 

Crisi da Covid-19 

Il verdetto di ieri è arrivato mentre il paese affronta la nuova ondata di pandemia. Da sabato, ha detto il premier Mateusz Morawiecki, tutto il paese sarà “zona rossa”, con restrizioni più rigide e incontri fino a un massimo di cinque persone. Le persone che nel 2016 avevano dato vita alla “marea nera” si sono trovate quindi in una situazione senza via d’uscita: «Non sono consentiti assembramenti di più di dieci persone» racconta Dadu, che animò la “marea nera” a Cracovia quattro anni fa. «Così la gente, nella mia città e a Varsavia, ha iniziato ad affluire, spontaneamente, distanziati, con la mascherina. Abbiamo paura del Covid-19. Ma abbiamo ancor più paura di questo governo». 

(Cordone della polizia a Varsavia durante la manifestazione di dissenso davanti alla casa di Kaczynski)

Lacrimogeni e identificazioni

Nella capitale le proteste si sono dirette verso la casa di Jaroslaw Kaczynski, influente leader del Pis e vicepremier, ma la polizia ha usato i lacrimogeni contro i manifestanti. A Cracovia sotto l’ufficio del Pis qualche centinaio di attivisti si è radunato “a distanza” ma le forze dell’ordine li hanno identificati. «I was carded», mi hanno chiesto i documenti, dice Magdalena Dropek, attivista lgbt, e la stessa cosa - «I was carded» - racconta Dadu. Che spiega: «Io stavo facendo il mio discorso, c’era un’atmosfera malinconica, eravamo arrabbiati ma soprattutto tristi, quasi in lacrime. Tre poliziotti mi stavano davanti, alla faccia delle distanze, e appena ho finito di parlare mi hanno chiesto se avessi organizzato io il raduno e mi hanno identificata. Forse ci multeranno. Il bello è che alcuni esponenti pro life sono gli stessi che fanno le manifestazioni no mask ma a quanto pare la polizia è più rigida con noi anche se usiamo le precauzioni».

Vie di uscita

Oggi continuano le proteste, «e andranno avanti ogni giorno» scommette Dropek. A Varsavia ci si ritroverà alle sette di sera nuovamente davanti all’abitazione di Kaczynski, pure a Cracovia si manifesta il dissenso anche oggi, dalle sei di pomeriggio circa. Ma la sensazione riferita dalle attiviste è di essere in trappola: la combinazione di intervento della Corte –  inappellabile – e disposizioni anti manifestazioni rende sempre più difficile la lotta per i diritti. Il gruppo “Abortion without borders” ieri in un solo pomeriggio ha raccolto online quasi centomila euro con l’obiettivo di un supporto concreto, attraverso le pillole per abortire e l’aiuto logistico ad abortire all’estero, in Repubblica Ceca, in Slovacchia, in Germania. Ma anche su questo la coincidenza del verdetto con Covid-19 non aiuta: andare fuori confine diventa complicato se non impossibile, tra quarantene obbligatorie e difficoltà di spostamento.

(Proteste nella capitale polacca dopo la decisione della Corte)

Il “mercato nero”

I dati ufficiali dicono che l’aborto in caso di gravi malformazioni concerne solo un migliaio di persone, ma anzitutto il divieto di aborto ha fatto crescere il mercato illegale (già prima di questo verdetto, c’erano medici che chiedevano mille, mille e cinquecento euro per far abortire di nascosto) e poi il timore è che il verdetto faccia da apripista a restrizioni ulteriori, visto che si basa sul principio che la vita inizia dal concepimento. «Dunque anche il caso in cui la vita della madre è a rischio è compromesso da questo principio, perché a quel punto quale vita prevale?» dice Dadu. 

Appello al diritto internazionale

A chi appellarsi quindi? Il consiglio d’Europa, organizzazione internazionale, ha espresso la sua condanna dopo la sentenza ma sul diritto all’aborto ha in mano solo la risoluzione 1607 del 16 aprile 2008. La Polonia è comunque un paese membro dell’Unione, e peraltro è nel mirino proprio per la mancata indipendenza della magistratura dal potere esecutivo, quindi per il mancato rispetto dello stato di diritto (“rule of law”). Ma «il diritto europeo non riconosce un diritto all’aborto, né lo fa il diritto internazionale; la materia è di competenza nazionale» dice il giurista Alberto Alemanno. «Certo, se una cittadina europea che risiede in Polonia dovesse sollevare la questione della compatibilità della legislazione e della pratica polacche alla luce dei suoi diritti fondamentali, la Corte di giustizia europea potrebbe prendere in mano il dossier». Stessa cosa potrebbe fare una cittadina polacca davanti alla Corte dei diritti dell’uomo.

Iniziative europee

Nel frattempo a Bruxelles proprio sul rispetto dello stato di diritto , e quindi indirettamente sull’equilibrio di poteri in Polonia, la discussione è molto accesa. L’Europarlamento chiede procedure più incisive, i governi – Polonia e Ungheria per prime –  frenano. Robert Biedroń, europarlamentare ma pure ex candidato alle presidenziali polacche con la sinistra di Primavera, dice che «assieme al mio gruppo, i socialdemocratici europei, abbiamo l’idea di proporre una risoluzione dell’Europarlamento per esprimere la nostra condanna di quella sentenza. La Corte che la ha formulata è estremamente politicizzata e dipende di fatto dal partito di governo». Così le restrizioni, che non erano passate per via politica, sono rientrate dalla porta di servizio.

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