Mentre i ministri dell’Economia francese e tedesco negoziano con la Casa Bianca, Giorgia Meloni se ne sta sola soletta a palazzo Chigi. È bastata una permanenza al governo di pochi mesi, per mostrare le debolezze negoziali della premier nostrana, che è una atlantista senza sponda atlantica e una sovranista senza fondi sovrani. In questi giorni in Europa è in discussione il tema delicatissimo degli aiuti di stato, e mentre Germania e Francia dettano le carte, l’Italia finisce marginalizzata e paga i danni. L’ultima bozza delle conclusioni del Consiglio europeo che comincia giovedì conferma che a Roma restano solo briciole e vaghe promesse.

I veri decisori

Partiamo dalla fotografia di gruppo scattata questo martedì a Washington: c’è il vicecancelliere tedesco Robert Habeck, che sovrintende il dicastero dell’Economia, ed è fianco a fianco con Bruno Le Maire, il ministro francese delle Finanze «e della sovranità industriale». Non c’è Meloni, invece, negli incontri con la segretaria al Tesoro Janet Yellen, con quella al Commercio Gina Raimondo, e con la rappresentante degli Stati Uniti per il Commercio Katherine Tai.

Il piano di Biden per sostenere la transizione verde americana, con quel bazooka da 370 miliardi di dollari e tutti i sussidi per le imprese che comporta, si è rivelato l’innesco perfetto per le ambizioni del duo francotedesco. Emmanuel Macron, in sintonia con il commissario Thierry Breton, da sempre punta a sostenere i propri campioni industriali. L’Inflation Reduction Act di Biden è l’alibi perfetto per una controffensiva made in Europe, e su questo gli attriti con Berlino si sono subito ricomposti, visto che Francia e Germania da sole concentrano su di loro l’80 per cento degli aiuti di stato recenti. Su 700 miliardi di aiuti autorizzati dalla Commissione Ue, la metà delle richieste arrivava dalla Germania, un quarto dalla Francia.

In teoria l’Ue dovrebbe mettere un freno agli aiuti di stato per garantire il level playing field, una concorrenza alla pari; ma già con la pandemia Bruxelles ha finito per consentire e poi cronicizzare una serie di deroghe. Ora con l’argomento di un “Ira europeo” la Commissione dà l’assist al duo francotedesco e tratteggia un’ulteriore flessibilità. Bruno Le Maire, che racconta di aver voluto andare a Washington anzitutto per avere chiarezza sugli importi dei sussidi previsti da Biden e inoltre per tutelare i produttori europei, davanti all’opinione pubblica del suo paese vanta «una vittoria francese: la Commissione Ue ha messo sul tavolo quel che chiedevamo, la possibilità di sovvenzioni, l’intervento pubblico. Si realizza la visione di sovranità macroniana». Ma anche stavolta Macron e i suoi spacciano come sovranità europea i sostegni alle imprese proprie.

All’Italia le briciole

Non basta infatti che gli aiuti di stato siano consentiti a tutti, perché le condizioni siano paritarie: chi ha più spazio fiscale, e quindi più margini di intervento, la fa da padrone. Non a caso l’Italia è coinvolta solo in meno del cinque per cento degli aiuti autorizzati da Bruxelles. Nella proposta italiana in vista del Consiglio europeo del 9 febbraio, ovvero nel non paper preparato dal ministro Adolfo Urso, si precisa infatti che «allentare le regole sugli aiuti non è la soluzione, e anzi frammenterebbe il mercato comune».

Sia la premier che il suo ministro del Made in Italy in questi giorni sono andati freneticamente in giro per l’Europa sperando di influenzare la partita. Ma i due atlantisti nostrani sono rimasti fuori dalla visita a Washington e soprattutto dalle decisioni.

Inizialmente il contentino per loro doveva essere un fondo sovrano finanziato con debito comune; del resto è dalla scorsa primavera, con Draghi premier, che lui e Macron peroravano l’idea. Ma il presidente francese ha abbandonato Meloni, e ha negoziato col frugale Mark Rutte, il premier olandese.

A oggi, la bozza delle conclusioni del Consiglio europeo si limita a «prender nota delle intenzioni della Commissione di proporre un fondo di sovranità europeo prima dell’estate per supportare gli investimenti in settori strategici».

Anzitutto, si è visto con fondi come quello per la difesa che gli investimenti mirati finiscono per convergere su pochi campioni industriali di pochi paesi; inoltre, Meloni stessa a Berlino ha ammesso che «chissà quale sarà la tempistica».

All’Italia non restano che le briciole: potrà rimaneggiare i fondi Ue già concessi, nella migliore delle ipotesi. Ipotesi che resta comunque un pessimo scenario per il paese che lei governa.

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