È una giornata impegnativa per la leadership europea: oltre al G7 e al vertice straordinario Nato, inizia oggi la due giorni di Consiglio europeo. L’agenda è intensa anche perché a partecipare, di persona a Bruxelles, c’è il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. È arrivato ieri, ma da settimane fa pressione sull’Ue perché intraprenda iniziative dure contro la Russia anche nel settore energetico.

A tutti questi appuntamenti la leadership Ue porta in dote una lunga serie di passi indietro e di immobilismi. Ieri la Commissione europea ha precisato i suoi piani sul fronte dei prezzi dell’energia, ed è un fronte sul quale Bruxelles continua a procedere con troppa lentezza. Ha illustrato nuove iniziative anche sulla «sicurezza alimentare», che si traducono però in un salto all’indietro dal lato degli obiettivi ambientali e climatici. Ne è prova anche ciò che ieri non è stato presentato: le proposte per la riduzione dei pesticidi e per la biodiversità, che con l’alibi della guerra sono slittate.

L’energia, il gas e i prezzi

«L’Ue si renderà indipendente dall’importazione di gas, petrolio e carbone russi nel più breve tempo possibile», dice la bozza della dichiarazione del Consiglio europeo. Fino a che punto e con quale rapidità i governi europei intendano svincolarsi da Mosca è il nodo politico che resta oggi sul tavolo dei capi di stato e di governo, al fianco dei quali siederà in via eccezionale il presidente Usa. Non a caso in questi giorni la Commissione europea sta concordando con la Casa Bianca l’intensificazione dell’import di gas naturale liquefatto dagli Usa all’Ue. Ma la guerra esaspera un problema, quello dei prezzi dell’energia, sul quale Bruxelles tergiversa da molto tempo. Il tema accompagna le discussioni dei capi di stato e di governo da quando la presidenza di turno era in mano alla Germania della cancelliera Angela Merkel. Il punto è stato affrontato tanto nel Consiglio europeo dello scorso ottobre, quanto in quello informale di Versailles tenuto in piena guerra, due settimane fa. Ma anche in quell’occasione c’è stato l’ennesimo rinvio: per ridisegnare il mercato energetico, e per evitare che gli alti prezzi del gas contagino ancora anche i prezzi delle altre fonti, la Commissione ha preso tempo fino a maggio per relazionare.

Un fronte di paesi meridionali, prima fra tutte la Spagna, e pure l’Italia, ha fatto pressione su Bruxelles questa settimana per agire subito, anche su tetti ai prezzi di importazione del gas e separazione tra prezzo del gas e dell’elettricità. Sul tetto ai prezzi ieri la Commissione ha messo nero su bianco che «dare un limite al prezzo del gas, o modularlo, per vie regolatorie, va inteso solo come ipotesi di ultima istanza». Per le «opzioni su come ottimizzare il design del mercato dell’elettricità» se ne parla appunto entro maggio.

Tra rinvii e stop, ieri sono stati fatti solo pochi passi. Una proposta legislativa arriva per gli stoccaggi, con l’obbligo per gli stati membri di raggiungere una capacità dell’80 per cento entro il 1° novembre, e del 90 successivamente. «Visto che non tutti gli stati hanno le stesse capacità, gli stoccaggi possono essere condivisi», dice la Commissione; che dà corpo anche all’idea degli acquisti comuni, altro tema sul quale Spagna e Italia battono da mesi. Ma a parte qualche voce fuori dal coro, come quella della sinistra all’Europarlamento, che chiede di sganciare il tema dell’energia da una pura ottica liberista, la prospettiva di Bruxelles resta quella del libero mercato. Da metà anni Novanta, ha finito per disincentivare acquisiti e investimenti di lungo termine. «Nel 1996, quando fu varata la prima delle direttive sul mercato elettrico, la compravendita a lungo termine era ancora un’opzione. Ma già allora i governi, spinti dalle utility che pensavano a guadagni maggiori, hanno scelto tutti l’acquisto in Borsa con il prezzo marginale, che si forma giorno per giorno», dice Giovanni Battista Zorzoli, presidente dell’Associazione italiana economisti dell’energia. «Se gli acquisti comuni saranno sempre nell’ambito di questo “mercato spot”, allora si riveleranno poco più che un pannicello caldo».

Il passo indietro ambientale

«Presidente della Commissione, commissari, vi scriviamo per esprimere profonda indignazione di fronte al rinvio della proposta che avrebbe dovuto portarci a dimezzare l’uso di pesticidi chimici. Doveva essere presentata il 23 marzo». La lettera è stata spedita ieri da alcuni eurodeputati verdi, che denunciano «attacchi sistematici in corso dall’inizio della guerra da parte di lobbisti dell’agroindustria e del settore agrochimico per sabotare gli obiettivi del green deal». Ieri Bruxelles non ha solo posticipato alcuni tasselli del piano per il clima, ma ha anche gettato un colpo di spugna su alcune misure già in vigore.

Il vicepresidente della Commissione Ue, Valdis Dombrovskis, da una parte riconosce che «l’Ue non corre rischi di sicurezza alimentare», dall’altra però avalla alcuni passi indietro. Non c’è solo la sua richiesta di riavviare i negoziati per l’accordo di libero scambio Usa-Ue (il “Ttip”), portata in dote a Biden. C’è anche la scelta, presentata ieri assieme al commissario all’Agricoltura e fortemente auspicata dal governo italiano, di consentire di usare anche i quattro milioni di ettari di terreno agricolo che dovevano restare a riposo per il cosiddetto “greening”. Ora non solo saranno utilizzabili, ma i governi continueranno a percepire gli incentivi del “greening” pur senza farlo. In più agli agricoltori arriverà mezzo miliardo di aiuti finanziari Ue per «disagi legati alla guerra».

Federica Ferrario di Greenpeace osserva che «già oggi la stragrande maggioranza di terreno agricolo è usata per la zootecnia, il 70 per cento tra foraggi e seminativi». Insomma, si coltiva per alimentare gli allevamenti intensivi industriali, non per il cibo delle nostre tavole. Ora anche i terreni che dovevano «rinverdire» in nome della biodiversità e quindi della sicurezza alimentare futura, potrebbero essere utilizzati a quello stesso scopo.

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