È la fine di settembre 2021 quando Katy (il nome è di fantasia) si scopre il braccio sinistro, con un misto di paura e speranza. «All’inizio pensavo stessero sperimentando su di noi, non volevo vaccinarmi», spiega. «Ma poi ho capito che serviva, per me e per la mia famiglia». Seduta in uno degli enormi teatri di posa di Cinecittà, la cittadella del cinema alla periferia orientale di Roma, convertito da alcuni mesi in centro vaccinale, Katy chiude gli occhi per un istante. Non vede l’ora di scaricare il suo primo green pass, di tornare a prendere l’autobus e a cercare lavoro. Di lasciarsi alle spalle, per qualche ora, i corridoi silenziosi e le stanze sovraffollate del palazzo occupato di via Sambuci. L’appartamento di 30 metri quadrati in cui è rimasta chiusa per troppo tempo, dall’inizio della pandemia di Covid-19, con i tre figli, il marito, la madre e la suocera.

Senza traccia

Katy scopre presto che però, per il ministero della Salute, il suo file non esiste. O almeno non con i dati con cui si è vaccinata. Priva di documenti di soggiorno, la trentunenne peruviana è riuscita a prenotare la vaccinazione tramite un codice STP, che sta per «straniero temporaneamente presente». Una sorta di tessera sanitaria temporanea, di durata semestrale, che dovrebbe garantire quell’accesso universale alla salute previsto dalla costituzione italiana, anche agli stranieri senza documenti e quindi non iscritti al sistema sanitario nazionale.

Nel 2020, grazie all’arrivo del terzo figlio, il primo nato in Italia, Katy aveva ottenuto un permesso di soggiorno per maternità, a cui è associato un codice fiscale. «È l’unico documento che ho avuto in più di quattro anni in Italia, ma è durato solo sei mesi», racconta la donna mentre passeggiamo nel cortile del palazzo in cui vive insieme a circa 300 persone. Una struttura per uffici in vetro e acciaio, nel cuore di quella che negli anni Novanta era soprannominata Tiburtina Valley, sogno - oggi infranto - di un polo romano per l’industria hi-tech.

Tornata nell’irregolarità, nonostante i due figli vadano a scuola e sia lei che il marito abbiano lavorato, Katy può vaccinarsi solo utilizzando un codice STP. Nel database ministeriale però, il suo nome è ancora associato ad un codice fiscale. Ci vorranno così quattro mesi, da settembre a gennaio 2022, e l’intervento dell’organizzazione umanitaria Intersos, per permetterle di scaricare il pass vaccinale.

Corsa a ostacoli

Il caso di Katy non è isolato. Operatori umanitari, medici e funzionari pubblici confermano che, per gli oltre 500mila stranieri in condizione irregolare presenti in Italia (la Fondazione ISMU parla di 517mila persone a gennaio 2020), vaccinarsi e soprattutto ottenere il green pass, che dall’agosto 2021 è condizione indispensabile per accedere a una serie di servizi di base, è stata e continua ad essere una corsa ad ostacoli.

Per sei mesi, il centro di giornalismo d’inchiesta Lighthouse Reports, in collaborazione con Domani, ha raccolto e studiato documenti pubblici, per valutare la trasparenza delle politiche governative, le garanzie per la privacy, la disponibilità di dati e i requisiti per l’accesso al vaccino per milioni di persone senza documenti in 18 paesi europei. Si tratta di lavoratori di comparti chiave - come l’agricoltura e l’assistenza agli anziani - e spesso di persone in condizioni di salute già precarie.

In una classifica stilata dai data journalists di Lighthouse Reports, l’Italia è indicata come «confusa»: mancano dati, non ci sono indicazioni chiare e vincolanti sulla documentazione necessaria per accedere al vaccino e non c’è un budget dedicato a vaccinare gli stranieri irregolari. L’Italia non è sola in questo: solo Portogallo, Olanda, Irlanda, Francia e Regno Unito hanno sistemi ritenuti «aperti e accessibili», mentre Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca hanno sistemi «escludenti e poco trasparenti».

Inazioni e ritardi

Alessandro Verona, coordinatore medico della ong Intersos, che interviene in occupazioni come quella in cui vive Katy, ghetti per braccianti agricoli e aree di transito in diverse regioni italiane, spiega che «gli strumenti c’erano, ma non si è voluto agire o lo si è fatto in ritardo». Verona si riferisce alle “Indicazioni operative ad interim per la gestione di strutture con persone ad elevata fragilità e marginalità socio-sanitaria”, documento diffuso già nel 2020 dal INMP, l’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della povertà, emanazione del ministero della Salute, che secondo il medico sono state «ampiamente disattese».

(Foto di Daniela Sala)

Fin dal 2020, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità, l’European Center for Disease Control e la stessa Agenzia Italiana per il Farmaco chiedevano di adottare politiche specifiche per vaccinare migranti e rifugiati. Secondo uno studio dell’Istituto Superiore della Sanità, pubblicato nel febbraio 2021, «barriere, linguistiche, amministrative, legali, culturali e sociali» contribuivano a «ostacolare il rapido accesso ai servizi sanitari (da parte della popolazione straniera, ndr), portando probabilmente a una diagnosi ritardata»,

Bisogna aspettare però il 26 agosto 2021, otto mesi dopo l’avvio della campagna vaccinale, perché  - con una lettera a regioni e province autonome - il commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Francesco Paolo Figliuolo, accenni per la prima volta a «persone che si trovano in particolari condizioni di disagio o che non risultano al momento censite da tessera sanitaria, anche attraverso un codice alternativo», come appunto il codice STP, chiedendo di favorirne la vaccinazione, senza però definire criteri univoci per accedere a vaccini e green pass.

Figliuolo e gli enti locali

«Serviva un approccio unitario, invece si è lasciato tutto agli enti locali, creando un mix di buone pratiche e discriminazioni», continua Alessandro Verona, per cui l’assenza di mediatori culturali nelle strutture sanitarie e piattaforme di prenotazione spesso complesse e solo in lingua italiana, hanno contribuito ad allargare il divario tra ente pubblico e popolazioni già marginalizzate.

(Foto di Daniela Sala)

In molti, nell’occupazione di via Sambuci, hanno avuto esperienze simili a quella di Katy. Nel 2020 Elizabeth, cinquantenne dell’Ecuador, non è riuscita a rinnovare il permesso di soggiorno per motivi di lavoro, complice una norma del cosiddetto Piano casa Renzi-Lupi, legge del 2014 che impedisce di registrare la residenza in strutture occupate. La stanza di 15 metri quadrati in cui viveva da otto anni, non era più riconosciuta come abitazione e così, a inizio pandemia, Elizabeth diventa irregolare, nonostante anni di lavoro come cameriera ai piani, barista, collaboratrice domestica. Solo a dicembre 2021, dopo quasi un anno e mezzo, riuscirà ad avere un nuovo permesso di soggiorno. Per vaccinarsi, in questo limbo burocratico, passeranno mesi e ben due periodi di isolamento per Covid-19, trascorsi in una stanza ad hoc per i positivi, che Elizabeth mostra con orgoglio:  «Questo era il cuore del piano per contenere il vaccino nella nostra occupazione: è stata una sfida ma ce l’abbiamo fatta». Respinta più volte dall’ufficio locale dell’Azienda Sanitaria, che le chiede di rinnovare la tessera sanitaria, legata però a un permesso di soggiorno che non arriva, Elizabeth riceve la prima dose di vaccino nell’ottobre 2021.

Una condizione di attesa condivisa da una parte dei 207mila lavoratori stranieri che, nel 2020, presentano domanda di ‘emersione dal lavoro irregolare’, grazie ad una sanatoria presentata dall’allora ministra per le Politiche agricole e forestali Teresa Bellanova come un «traguardo storico». A inizio novembre 2021, erano appena 27mila i permessi rilasciati, a fronte di circa 70mila domande esaminate.

Tra chi aspetta, da quasi due anni, di avere un permesso di soggiorno, c’è Lubomira. 58 anni, ucraina, la donna vive a Trionfale, quartiere della buona borghesia romana. La sera assiste la proprietaria di casa, che ad 81 anni scrive racconti e si dedica ai tre gatti, mentre di giorno lavora come domestica in altri appartamenti della città. Da ottobre ai primi di febbraio, però,  si è trovata di fatto chiusa in casa. «Agli uffici di zona – spiega – mi dicevano che serviva il codice fiscale per vaccinarmi, ma non accettavano quello temporaneo, datomi dall’Agenzia dell’entrate dopo la domanda di regolarizzazione». Pur essendo formalmente regolare, dato che la sua domanda di permesso di soggiorno è in fase di valutazione, riesce a vaccinarsi solo a gennaio 2022, chiedendo un codice STP.

(Foto di Daniela Sala)

Mancanza di volontà politica

Paolo Parente, dirigente dell’Azienda Sanitaria Locale Roma 1, ammette che «ci sono stati diversi ostacoli, soprattutto per il rilascio del green pass», ma anche per l’assenza, inizialmente, «di riscontri legali per vaccinare queste categorie di persone». La sua direzione, spiega, ha superato questi ostacoli «coinvolgendo enti del terzo settore ed aprendo hub vaccinali dedicati».

Se sono 7125 i titolari di codice STP vaccinati nel territorio della ASL Roma 1 al 20 febbraio 2022, manca un dato nazionale. Il ministero della Salute non ha risposto alle richieste di Domani. La regione Lombardia, la più colpita dalla pandemia, ha fatto invece sapere di aver vaccinato circa 33mila persone con codice STP.

(Foto di Daniela Sala)

Gli enti del terzo settore attivi in Lombardia, segnalano però una mancanza di volontà politica da parte della giunta guidata dal leghista Attilio Fontana. Secondo Anna Spada, referente dell’ambulatorio dell’associazione Naga, che a Milano assiste stranieri irregolari e persone senza dimora, “senza il terzo settore, in Lombardia non si sarebbe vaccinato nessun irregolare e tanto meno avrebbero ottenuto il green pass: abbiamo aiutato persone che già vivono ai margini a superare ostacoli burocratici assurdi”.

Lo conferma Loredana Carpentieri di Emergency, che a Milano opera con un ambulatorio mobile. “In una regione che si presenta come avanguardia per le cure mediche in Italia, sono mancate informazioni, sono mancati i mediatori culturali e c’è tutta una fascia di popolazione vulnerabile che si è vista chiedere documentazione impropria per vaccinarsi e ottenere il pass”.

Questo articolo fa parte di "Vaccinating Europe’s Undocumented", inchiesta coordinata da Lighthouse Reports. Oltre a Domani, tra i media partner ci sono Público (Portogallo), The Dublin Inquirer (Irlanda), Knack (Belgio), Efsyn (Grecia), Trouw (Paesi Bassi), Cadena Ser (Spagna), VoxEurop (Ue)

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