«Distinguiamo tra Hamas e l’autorità palestinese. Non è che tutti i palestinesi siano terroristi. Una punizione collettiva sarebbe ingiusta e controproducente». Con tali parole, questo martedì l’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, ha sconfessato le ambiguità della sua presidente, Ursula von der Leyen.

E dopo aver riunito i ministri degli Esteri europei, Borrell ha potuto farlo con «una schiacciante maggioranza» di governi dalla sua: «I fondi diretti all’autorità palestinese non devono essere congelati. Farlo sarebbe un grave errore, e un assist ad Hamas. Bruxelles vuole fare una revisione di quei fondi, ma io in persona mi assicurerò che sia rapida. E che non diventi un alibi».

Dove von der Leyen ha rotto, Borrell ricompone.

Poli opposti

Dopo gli attacchi di Hamas contro Israele, la Commissione Ue si è resa protagonista di reazioni scomposte e disastri diplomatici di rara gravità.

Un fedelissimo di Orbán, Olivér Várhelyi, commissario Ue già noto per i suoi rapporti ambigui con personaggi vicini a Vladimir Putin, ha potuto dirottare per qualche ora l’Unione europea; e dopo che sono insorti governi, commissari, l’Onu, von der Leyen non ha tuttavia stigmatizzato l’operato a dir poco eterodosso di Várhelyi.

C’è una ragione, anche se nessuno osa dirla apertamente: esiste una divergenza di vedute sul ruolo che l’Ue deve avere nel conflitto in corso. Von der Leyen si è lanciata con attitudine interventista nel sostegno a Israele, salvo dover mitigare le sue iniziative per le rimostranze dei governi.

Ben diversa è la strategia incarnata da Borrell. Il suo portavoce, Peter Stano, la spiega in modo cristallino: «Noi, come Ue, non siamo parte del conflitto; siamo un attore internazionale che ne incoraggia la risoluzione. Sosteniamo l’ipotesi dei due stati e per potervi arrivare è necessario che entrambe le parti tornino al tavolo negoziale».

Anatomia di un disastro

Per capire il pasticcio del quale si è resa responsabile von der Leyen bisogna partire dal finale: il commissario ungherese Várhelyi esce impune dal disastro che ha generato. La presidente non chiede dimissioni, nulla di nulla. E dire che questo martedì i cronisti hanno tentato in ogni modo di permearne l’impassibilità. Ma invano. Ursula von der Leyen sceglie di non intervenire. La motivazione ufficiale data dal suo portavoce Eric Mamer è che «siamo presi dal seguire le continue evoluzioni sul campo» a Gaza.

Lunedì mattina Ana Pisonero, portavoce della Commissione che segue le deleghe del commissario ungherese, aveva chiarito che è da escludere che i fondi Ue finiscano ad Hamas. Sono gestiti da organizzazioni internazionali – come le agenzie Onu – e altri partner, e sono assai controllati. Tuttavia Pisonero aveva anche fatto intendere che la Commissione stava valutando l’impatto dei fatti di Gaza sulla futura assistenza Ue ai palestinesi.

Erano i prodromi. Poi Várhelyi ha fatto deflagrare la vicenda, twittando lo stop «a tutti i pagamenti» di fondi per lo sviluppo rivolti ai palestinesi. L’orbaniano ha la delega all’Allargamento. In passato l’ha già gestita in modo a dir poco ambiguo, come quando si è reso complice del separatista serbo Milorad Dodik, supportato da Putin e da Orbán. Il premier ungherese esibisce da tempo il suo supporto a Benjamin Netanyahu.

Várhelyi si è espresso a nome della «Commissione europea» eppure questo martedì Mamer ha confermato che il collegio dei commissari non era stato informato della sua mossa. Che ha scatenato il pandemonio, a cominciare dalle telefonate dei governi.

Lo schema tipico di von der Leyen consiste nel buttarsi in avanti senza coordinarsi coi governi, salvo poi dover fare marcia indietro. In questo caso lo schema è stato usato da Várhelyi. Ma lei non lo ha sanzionato in alcun modo. E al momento in cui scriviamo, il commissario non ha neppure cancellato il tweet.

Il lato diplomatico dell’Ue

La foto di gruppo dell’Ue dopo gli attacchi di Hamas mostra una Commissione che si muove in modo scoordinato, e i governi che la guardano spaesati.

Dopo il tweet di Várhelyi, il commissario Janez Lenarčič, che ha delega agli Aiuti umanitari, ha dovuto precisare che questi non verranno toccati. Poi l’intera Commissione in un comunicato – non privo di contraddizioni – ha annunciato che ci sarà «una urgente revisione» dei fondi – anche se Bruxelles sa e dice che non vanno certo a Hamas – e che non ci sarà uno stop ai fondi – ma perché «non c’erano fondi da stanziare ora».

In tutto questo, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha dovuto gestire le fibrillazioni dei governi e del segretario dell’Onu. «Sono al telefono con Guterres – ha fatto sapere lunedì sera – e non dobbiamo tagliare gli aiuti allo sviluppo e umanitari tanto necessari ai civili palestinesi. Hamas sarebbe la prima a sfruttare la cosa».

L’apripista diplomatico dell’Ue, l’Alto rappresentante Josep Borrell, si è ritrovato con gli strappi da ricucire. Anzitutto quelli interni alla Commissione di cui è vicepresidente.

Dopo lo scambio coi ministri degli Esteri Ue, Borrell ha fatto sapere che intende «aumentare la cooperazione col mondo arabo e aumentare lo sforzo per ravvivare il piano di pace; la pace va fatta coi palestinesi, altrimenti il circolo della violenza ricomincerà».

L’Alto rappresentante ha anche redarguito il governo israeliano sul fatto che «Israele ha diritto di difendersi ma deve farlo compatibilmente col diritto internazionale umanitario, il che significa aprire corridoi umanitari e non negare acqua e altre necessità ai civili».

Anche i ministri israeliano e palestinese sono stati invitati da Borrell, a segno del suo sforzo diplomatico, ma non hanno partecipato. A dimostrazione che uno sforzo non basta.

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