«Questa è una richiesta di emergenza. Da quando c’è la nuova legge russa sulla censura, i nostri colleghi sono in pericolo e rischiano il carcere». La lettera parte dalla Federazione europea dei giornalisti (Efj), ed è rivolta alle autorità estoni: «Vi chiediamo di rilasciar loro sùbito un visto». La richiesta finora è senza risposta. Tra i giornalisti costretti a fuggire dalla Russia ci sono anche membri della redazione di Novaja Gazeta, roccaforte del giornalismo libero per la quale scriveva Anna Politkovskaja, uccisa nel 2006. «Sappiamo quanto ci sia costato raccontare la guerra cecena – dice Kirill Martynov, il vicedirettore, riferendosi all’assassinio di Politkovskaja – ma quella guerra abbiamo potuto almeno scriverla. Questa guerra non possiamo neppure più pronunciarla». Dopo una prima pagina dal titolo Putin. Bombs. Ukraine, la redazione centrale ha chiuso.

Ieri Martynov è approdato all’Europarlamento per portare la voce della libera informazione costretta all’esilio. Anche sul tema della libertà dei media, la guerra in Ucraina innesca un cambiamento in Europa. L’Unione europea si ritrova coinvolta nella guerra all’informazione, sia perché fa fronte alla censura imposta dal Cremlino in Russia, sia perché dopo l’invasione dell’Ucraina ha reagito bloccando Sputnik e Russia Today. La scelta ha innescato una battaglia legale, intanto la Commissione europea va a bussare alle porte di Big Tech sperando che anche Google e soci facciano da argine alla propaganda di Mosca.

La censura russa e l’Ue

«La mattina mi sveglio, cerco le notizie del giorno e d’istinto penso a quale collega potrebbe occuparsene. È a quel punto che realizzo che il mio giornale non c’è più». Non è la prima volta che Kirill Martynov si ritrova senza lavoro per aver difeso la libertà di pensiero. «Come professore di filosofia ero già stato licenziato dalla mia facoltà per aver criticato Putin e a inizio marzo sono stato redarguito da altre istituzioni educative per come ho parlato della guerra: sono stato licenziato più volte». Novaja Gazeta, sotto la direzione del premio Nobel per la Pace Dmitry Muratov, ha provato fino all’ultimo a resistere alla repressione del Cremlino. Ma con l’irrigidirsi della legge sulla censura, a fine marzo ha dovuto fermarsi.

In quel momento la Commissione europea ha diffuso le sue dichiarazioni di supporto. «L’Ue continuerà a contrastare le campagne di disinformazione del Cremlino e a supportate i giornalisti e i media indipendenti russi nel loro importante lavoro», sono le parole dell’alto rappresentante Ue Josep Borrell il 28 marzo. Martynov ieri ha partecipato alla conferenza dei presidenti dell’Europarlamento, e fuori da quell’incontro a porte chiuse ha tracciato scenari futuri possibili. «Muratov, il premio Nobel, crede che in alcune situazioni circoscritte dovremmo ancora poter operare legalmente in Russia, io non ne sono così sicuro. Alcuni giornalisti stanno iniziando a operare fuori dalla Russia, underground, sotto copertura, con l’anonimato; non è nella nostra etica professionale, ma temo sia uno scenario concreto», dice il vicedirettore di Novaja Gazeta.

«Spero che potremo collaborare con le istituzioni europee per avviare progetti giornalistici e culturali». Cosa sta facendo in concreto l’Ue per supportare i giornalisti in esilio? La commissaria che si occupa di libertà dei media, Vera Jourova, dice che «bisogna pensare alla protezione dei giornalisti indipendenti russi in fuga. Organizzazioni come lo European Centre for Press and Media Freedom hanno programmi appositi».

Ma questo stesso centro citato dalla Commissione ha dovuto sottoscrivere un appello agli stati membri Ue perché «diano l’esempio e rilascino i visti ai giornalisti in fuga». Ricardo Gutierrez della federazione europea dei giornalisti dice che «più che le parole servono i fatti: le nostre richieste di visto rimangono senza risposta, centinaia di giornalisti indipendenti russi sono fuori dal paese, bloccati in Turchia, o in Georgia, e arrivare in Ue per loro non è facile».

L’Ue e lo stop ai portali russi

Con estrema rapidità, appena la Russia ha invaso l’Ucraina, Bruxelles ha preso una decisione inedita: mettere al bando Sputnik e RT. Lo ha fatto con un presupposto, e cioè che non si tratti di media ma di macchine di propaganda; e con uno strumento, cioè quello delle sanzioni. «Tempi fuori dall’ordinario richiedono misure fuori dall’ordinario», ha detto la commissaria Jourova. Gutierrez (Efj) registra «una svolta nelle politiche dell’Ue: prima della guerra, combatteva la disinformazione promuovendo il giornalismo etico, lavorando a un ecosistema mediatico positivo». Con la guerra, si è passati al blocco. «Dovrebbero essere semmai le autorità regolatorie dei media a valutarne la chiusura. Qui è stato il Consiglio, quindi i governi, a farlo tramite sanzioni; e affidare ai governi la definizione di cosa sia propaganda e vada chiuso apre a derive scivolose e controproducenti», dice il segretario della Federazione europea dei giornalisti. Intanto la corte di giustizia Ue ha respinto la richiesta del portale francofono di Russia Today di sospendere temporaneamente la misura presa dall’Ue, il che vuol dire che bisogna attendere che la corte si esprima sul caso. La commissaria Ue Jourova intanto rinsalda i rapporti con Big Tech: questa settimana ha incontrato l’amministratore delegato di Google. La commissaria riferisce con soddisfazione che Sundar Pichai «ha confermato che sta implementando le misure restrittive verso RT e Sputnik e vuol arginare la disinformazione russa».

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