Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la Commissione europea ha preso una decisione inedita: mettere al bando Sputnik e RT. Lo ha fatto con un presupposto, e cioè che non si tratti di media ma di macchine di propaganda; e con uno strumento, cioè quello delle sanzioni. «Tempi fuori dall’ordinario richiedono misure fuori dall’ordinario», ha detto non a caso la commissaria Vera Jourová.

La guerra porta a una scelta finora mai vista dal lato Ue. Eppure il tema delle interferenze russe e della disinformazione era sui tavoli europei da anni. Lo sanno bene Sandra Kalniete e Raphaël Glucksmann. «Siamo rimasti troppo a lungo inascoltati», dicono, mentre a Strasburgo l’Europarlamento sancisce con il voto la relazione alla quale hanno lavorato: Sulle ingerenze straniere nei processi democratici nell'Ue, inclusa la disinformazione.

Un finale annunciato

«Non è certo da febbraio che la macchina della propaganda russa ha iniziato a dividere le nostre società», dice Sandra Kalniete, oggi relatrice del dossier ed eurodeputata popolare, in precedenza commissaria europea. Kalniete viene dalla Lettonia, uno dei paesi baltici che più teme la politica aggressiva del Cremlino, ed è nata a Togur, in Siberia, dove i suoi genitori erano stati deportati. Con la commissione sulle interferenze straniere (Inge) dell’Europarlamento, ha lavorato alla relazione, votata martedì, per diciotto mesi.

Era conclusa prima che l’invasione iniziasse. «Avevamo dato l’allarme e siamo passati per quelli che creavano problemi», dice lei. Ancor più duro il presidente della commissione, l’eurodeputato Raphaël Glucksmann: «Da anni il regime di Putin è in guerra con noi, ma gli stessi dirigenti europei per anni si sono rifiutati di riconoscerlo. La commissione è nata per metter fine alla colpevole indolenza e all’ingenuità delle istituzioni europee». Per Glucksmann c’è una svista di fondo: pensare che la disinformazione sia un pericolo esterno; le ingerenze del Cremlino hanno già infiltrato la nostra «società aperta».

Lega e infiltrati speciali

Il punto – e la relazione – mette in difficoltà quei movimenti e partiti politici che sull’onda della guerra stanno provando a smarcarsi dalle relazioni intrattenute con Putin. La Lega ad esempio, tiene a precisare che «si schiera con l’Occidente»; ma l’eurodeputato leghista in commissione Inge, Marco Dreosto, ha preferito astenersi sul dossier per un motivo evidente: la Lega è finita dentro la relazione. Al punto in cui si parla dei contatti di Mosca con esponenti politici europei per influenzare l’Ue, sono citati «partiti come Freiheitliche Partei Österreichs, Rassemblement National e Lega Nord: hanno firmato accordi di cooperazione con il partito Russia Unita di Putin e ora devono affrontare le accuse di essere disposti ad accettare finanziamenti politici dalla Russia».

Anche altri partiti europei, come Alternative für Deutschland, Fidesz, Jobbik e il Brexit Party «avrebbero stretti contatti con il Cremlino, e l'AfD e Jobbik avrebbero lavorato come cosiddetti "osservatori elettorali" alle elezioni controllate dal Cremlino a Donetsk e Lugansk». L’elenco delle commistioni è lungo: «Come mai non ci si è scandalizzati prima, per il fatto che chi ha determinato la politica energetica in Europa è al soldo di Gazprom?», dice Glucksmann. Allude all’ex cancelliere Gerhard Schröder, iniziatore di Nord Stream 2.

Propaganda e Big Tech

Ingerenze politiche e disinformazione si evolvono di pari passo, conferma il politologo Edoardo Bressanelli del Sant’Anna di Pisa; è autore di uno studio chiesto proprio dalla commissione Inge dell’Europarlamento, Investire nella destabilizzazione. E spiega che l’allerta delle istituzioni Ue per le campagne di disinformazione di Mosca si innesca «proprio nel 2014 con l’invasione della Crimea: a quel punto l’Ue stabilisce una task force per monitorare le interferenze». Brexit, le europee del 2019 e la pandemia accelerano la presa di coscienza. «Già prima di questa guerra, la Commissione aveva previsto un pacchetto che intende regolare anche il marketing politico», dice Bressanelli. L’invasione dell’Ucraina è un ulteriore catalizzatore. Finora Bruxelles si era mossa «monitorando, investendo nella ricerca e mappatura del problema: è la prima volta in cui sanziona».

La svolta non si riduce al blocco di RT e Sputnik. I commissari Ue Vera Jourová e Thierry Breton hanno incontrato gli amministratori delegati di YouTube e Google, chiedendo «di implementare le sanzioni e demonetizzare siti di disinformazione legati a messaggi pro-Cremlino». La strategia dialogante di Bruxelles verso i colossi tech rischia per paradosso di inficiare i risultati.

L’Europarlamento, che nella relazione denuncia «mancanza di trasparenza» nei rapporti con le aziende, porta avanti da mesi una versione ambiziosa della legge sui servizi digitali (dsa), ora in fase negoziale (“trilogo”) tra istituzioni Ue. «Chiediamo il divieto di usare dati sensibili a fini pubblicitari e pretendiamo trasparenza delle piattaforme su algoritmi e modelli di business: così si previene l’amplificazione di contenuti falsi», dice l’eurodeputata verde Alexandra Geese che partecipa al trilogo. Peccato che i governi finora non abbiano sostenuto la visione più ambiziosa.

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