«Il giornalismo funziona così, e questa è una lezione che il ministro Guido Crosetto deve ancora imparare a quanto pare». Corinne Vella è la sorella di Daphne Caruana Galizia, la giornalista investigativa maltese assassinata nel 2017 con un ordigno esplosivo piazzato nella sua auto. La fondazione Daphne Caruana Galizia – della quale proprio Corinne si occupa – ha avuto un ruolo chiave perché l’Unione europea si dotasse della «legge di Daphne», cioè la direttiva di recente approvazione contro le querele bavaglio (“slapp”). E proprio questa fondazione è tra le 80 organizzazioni e le testate internazionali che hanno firmato l’appello di questo giornale “contro gli attacchi a Domani e per la libertà di stampa in Italia”.

Tre colleghi rischiano 9 anni di carcere. Sono indagati con l’accusa di aver chiesto e ricevuto documenti riservati da un pubblico ufficiale, e di aver violato il segreto istruttorio. Che ne pensa?

Tutta questa vicenda mi appare come un lampante attacco al cuore del giornalismo. Anzitutto è assurdo che si vada in cerca delle fonti dei cronisti: la protezione delle fonti è di primaria importanza, perché se non hai informazioni non puoi fare giornalismo. A volte i documenti possono essere ottenuti per via ufficiale. Ma quando le notizie sono scomode anche ottenere le informazioni non è sempre così agevole, e quindi altre volte i giornalisti devono contare almeno in parte su una fuga di notizie (il cosiddetto leak). Il giornalismo funziona così, e questa è una lezione che chiaramente Crosetto non ha ancora imparato.

Ritiene usuale che un membro di un governo si rivolga alla sfera giudiziaria perché vada alla ricerca delle fonti dei giornalisti?

Assolutamente no. Questa mossa è molto pericolosa: spingere il sistema giudiziario ad attaccare i media, e farlo quando si rappresenta il potere politico e istituzionale, oltrepassa così tanti limiti e così tante norme democratiche… Guardi, l’idea che qualcuno che è al governo utilizzi il proprio potere per perseguitare un giornalista e risalire alle sue fonti è semplicemente inaccettabile. Lo European Media Freedom Act – la nuova legge Ue per la libertà dei media che ovviamente riguarda anche l’Italia – è cristallino sul fatto che non si rivelano le fonti, e che l’unica bussola è la difesa dell’interesse pubblico, non certo di quello di chi è al potere. Proprio per il fatto che gli interessi di chi governa e l’interesse pubblico non sempre coincidono, serve – ed è fondamentale – il giornalismo investigativo.

I tre cronisti finiti nel mirino riferiscono che l’indagine nei loro confronti sta già avendo l’effetto concreto di impedir loro di lavorare: con la caccia alle fonti in corso, le altre fonti sono timorose. Che effetti hanno episodi come questi?

Questo tipo di attacchi ai giornalisti provoca a tanti livelli un effetto inibitorio. Non coinvolge solo le fonti, che non si affidano più. Pure tra gli altri giornalisti si crea un clima di autocensura. L’ho visto con mia sorella. In tanti la ammiravano e volevano fare il suo mestiere, ma quando è diventata un bersaglio la gente ha iniziato a pensare: chi me lo fa fare di passare quel che sta passando lei? Quel che Crosetto sta facendo non è solo cercare di generare un effetto inibitorio (il cosiddetto chilling effect) ma pure realizzare una sorta di vendetta; al di là di quale sia la sua motivazione ufficiale, quella reale non è di salvaguardare l’interesse pubblico, bensì di abusare del proprio potere. Spero che l’opinione pubblica italiana si mobiliti perché la vicenda non riguarda solo tre cronisti di Domani che rischiano la prigione, ma i diritti di tutti che finiscono sotto attacco. E non è un attacco ai media isolato: chi è autoritario impara dagli altri autoritari. Se lasciamo che la politica normalizzi la criminalizzazione dei giornalisti, ci rimetterà la nostra democrazia.

In Italia fanno discutere il caso Scurati, le vicende Rai. E sia un report dell’Europarlamento che i rilievi fatti dalla Federazione europea dei giornalisti (Efj) mostrano la gran quantità di “slapp” (querele bavaglio) in corso in Italia, in aumento nell’èra Meloni. Vede una deriva in atto?

L’intolleranza alla libertà dei media è tipica dell’estrema destra, dunque non sono sorpresa. Sono contenta che la Media Freedom Rapid Response stia organizzando una missione urgente in Italia per il 16 e 17 maggio. So bene cosa significhi avere una tv pubblica del tutto catturata dal potere politico: lo vivo nel mio paese, Malta, dove il paesaggio mediatico è totalmente politicizzato. La buona notizia è che l’Emfa varrà anche in Italia, così come la direttiva anti slapp. La cooperazione su scala continentale serve, e lo dimostra il ruolo avuto dalla nostra coalizione europea anti slapp (la “Case Coalition”): se non ci fosse stata questa rete ampia di organizzazioni che sostenevano in Ue gli sforzi per una direttiva, non si sarebbe riusciti ad approvarla. Unire le forze fa la differenza.

La direttiva è detta anche “la legge di Daphne”. Intanto siete ancora alle prese con le querele bavaglio contro di lei. Non è surreale?

La legge di Daphne all’epoca non c’era, ed è nata anche dalla sua esperienza. Magari non le avrebbe salvato la vita, ma avrebbe reso più difficile abusare degli strumenti legali per denigrarla e farle subire pressioni di ogni sorta. Quando l’allora premier Joseph Muscat e sua moglie Michelle hanno avviato azioni legali contro mia sorella, lei era ancora viva. Ma hanno continuato dopo che è stata assassinata. Marito e figli hanno ereditato quelle “slapp”.

Da premier, Muscat diceva di avviare quelle cause «da privato cittadino». Meloni, che porta in tribunale i vertici di Domani, dice di farlo «da cittadina». Ma è così?

Sa in che modo Muscat faceva «il privato cittadino»? Utilizzando lo staff della presidenza e facendo show in tribunale che se non fosse stato premier non sarebbero mai stati possibili. Sulla carta era cittadino, ma in termini di potere restava il premier.

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