Non chiedetevi chi ostacola l’erogazione dei fondi europei. La vera domanda è chi li sbloccherà e in che modo questo cambierà le dinamiche politiche nazionali oltre che continentali. Il presupposto è che non ci sono soldi europei senza prima il via libera dei parlamenti nazionali. L’erogazione del Recovery fund scatta infatti solo dopo che i deputati di tutti gli stati membri avranno approvato la cosiddetta “decisione sulle risorse proprie”. Ma per farlo servono maggioranze ampie e non sempre le forze di governo da sole hanno i numeri. Finora si è parlato di quei paesi che, proprio per queste difficoltà, tergiversano e rischiano così di ritardare l’erogazione delle risorse per tutti gli europei. Vista così, sul Recovery ci si divide.

Ma è anche vero il contrario. E cioè che sul Recovery, per la necessità di larghe coalizioni e per l’opportunità di nuove risorse da gestire, ci si unisce inaspettatamente. I soldi europei sono una potente leva politica per costruire Große koalitionen, grandi coalizioni, impensabili in altre fasi. Fuori dall’Italia il caso più eclatante è quello della Polonia: qui la destra ultraconservatrice di Pis stavolta non può contare sugli alleati euroscettici dell’estrema destra, ma si trova allineata, per uno scopo delimitato, con la sinistra di Lewica. Gli assetti nazionali e quelli europei si intersecano con esiti sorprendenti.

Maggioranza qualificata

La maggioranza assoluta non basta, non è sufficiente che la metà più uno dei parlamentari approvi la decisione sulle risorse proprie: bisogna che a dire sì siano i due terzi. Così si è espressa martedì in Finlandia la commissione Affari costituzionali del parlamento. Non è un caso che a esprimere una posizione simile sia il parlamento di un paese “frugale”. Mikko Kinnunen, deputato centrista che in commissione ha sostenuto questa scelta al fianco dell’opposizione, la motiva in due modi. Anzitutto «un trasferimento simile di competenze da un paese membro all’Ue richiede un sostegno ampio» e poi «il messaggio sia chiaro: il fondo di ristoro è una soluzione eccezionale, una tantum, e tale deve rimanere». Fatto sta che la scelta di procedere con i due terzi ha costretto la premier socialdemocratica Sanna Marin a cercare un consenso ampio sul pacchetto di ristoro; mercoledì è stato trovato un primo accordo con i centristi per ricompattare la maggioranza. Helsinki non è l’unica a non aver ancora dato il via libera sulle risorse proprie: mancano anche Austria, Estonia, Irlanda, Paesi Bassi, Romania, Ungheria e Polonia.

Destra e sinistra

A Varsavia la necessità di un semaforo verde sulle risorse proprie produce un esito altrimenti impensabile: quello di unire l’ultracattolico e ultraconservatore Jaroslaw Kaczynski, leader del partito di governo Pis, e Robert Biedroń, che è la sua nemesi. È stato il primo candidato gay alle presidenziali in Polonia e ora, da europarlamentare, si batte per aborto, diritti Lgbt e stato di diritto.

Cosa ha avvicinato i poli opposti? Il Pis, anche se è il principale partito della coalizione di centrodestra, senza i suoi alleati non ha la maggioranza. Fra questi c’è il ministro della Giustizia Zbigniew Ziobro, il polarizzatore della destra polacca: riformatore della giustizia inviso all’Ue, è contrario all’aborto, nemico dei diritti Lgbt (ha triplicato i fondi alle amministrazioni “Lgbt free” alle quali l’Ue li aveva sottratti), ed è tra i più decisi promotori dell’iniziativa di far uscire la Polonia dalla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne. Fino a una decina di anni fa, Ziobro era nel Pis e puntava a guidarlo. Ora il suo partito Polonia solidale compete da destra con il Pis.

Già in autunno la coalizione ha rischiato di rompersi su una legge per i diritti degli animali. Ora a scatenare la crisi fra alleati è proprio il Recovery fund. Polonia solidale nega i suoi voti sulle risorse proprie, Ziobro usa la retorica sovranista e contesta il meccanismo che condiziona i fondi al rispetto dello stato di diritto. «L’Ue vuole fare un’intrusione nella nostra sovranità nazionale», dice.

Ma i partiti di opposizione, dal centrodestra di Piattaforma civica alla sinistra di Lewica, non ci pensano proprio a respingere i 58 miliardi di aiuti. Così a tirar fuori Varsavia – e il resto dell’Europa – da un possibile stallo è la sinistra. «Non vogliamo certo bloccare i fondi per i cittadini; abbiamo raggiunto un accordo con Pis per condizionarne però l’uso», spiega lo staff di Biedroń.

Porre condizioni

La necessità di una maggioranza ampia per il voto sulle risorse proprie si sta trasformando in una potente leva per i partiti di opposizione, che in cambio del loro via libera possono porre condizioni e quindi plasmare il modo in cui i fondi europei verranno gestiti.

Sta succedendo in Romania dove i socialdemocratici non negano l’importanza del piano di ristoro ma condizionano il loro appoggio al governo nel voto sulle risorse proprie a un accordo preliminare sull’uso dei soldi.

Ed è appunto il caso della sinistra polacca, che in cambio del suo supporto ha chiesto finanziamenti per l’edilizia popolare e un controllo indipendente sull’uso dei fondi. Soprattutto, Lewica pone come condizione che un terzo del denaro europeo sia erogato direttamente agli enti locali. Non a caso, visto che le principali città polacche sono in mano all’opposizione.

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