Tra la Costituzione e la propaganda il governo Meloni opta per la seconda. Tra il governo tedesco decisivo sul debito e l’imprenditore più ricco del mondo, sceglie il secondo. Nelle mani della destra ormai il dossier migranti è soprattutto altro: è una campagna elettorale permanente, e una rivelazione del proprio isolamento.

Questo sabato, il tribunale di Catania ha avvertito che i decreti meloniani vanno contro la carta costituzionale italiana e contro le direttive Ue; per tutta risposta il Viminale ha annunciato ricorso e Fratelli d’Italia ha farneticato di «magistratura ideologizzata».

La lista dei presunti complotti quindi aumenta: il governo ne vede ovunque, dentro e fuori l’Italia, mentre si imbarca assieme a Elon Musk negli affondi contro la Germania, il paese che in questi mesi determina le sorti del patto di stabilità e quindi della nostra spesa pubblica.

«Avete fatto un sondaggio? Non pensate sia una violazione della sovranità italiana trasportare sul suo suolo migranti illegali?», twitta Musk rilanciando gli endorsement per Alternative für Deutschland e attaccando col suo megafono virtuale le istituzioni tedesche.

Un gioco di amplificazioni reciproche tra propaganda meloniana, estrema destra tedesca e uscite destrorse di Musk, mentre le allerte sulla violazione dello stato di diritto vengono ignorate.

La Melonexit

Appena un paio di anni fa, Giorgia Meloni si era spesa in dichiarazioni pubbliche di sostegno ai suoi alleati ultraconservatori polacchi, protagonisti della “Polexit”. La Corte costituzionale di Varsavia aveva disconosciuto l’ordinamento europeo e la leader di Fratelli d’Italia twittava: «La penso come la corte polacca!».

Ora che è a palazzo Chigi, Meloni assieme alla sua squadra di governo sta andando persino oltre: a colpi di decreti non rinnega solo l’ordinamento europeo, ma pure quello italiano.

Come ha appena rilevato il tribunale di Catania, le scelte recenti assunte dall’esecutivo in materia migratoria contraddicono la nostra fonte primaria del diritto, ovvero la Costituzione. Sono inoltre incongruenti con direttive europee e sentenze della Corte di giustizia Ue.

Il tribunale di Catania, sezione immigrazione, è costretto a considerare le scelte dell’esecutivo come carta straccia. E per questo non ha convalidato il trattenimento di quattro migranti.

Governo vs diritto

Il caso esemplare riguarda un tunisino arrivato a Lampedusa da un paese designato di origine sicura e che ha subito manifestato l’intenzione di chiedere protezione internazionale. Ma non ha «prestato idonea garanzia finanziaria secondo le disposizioni del decreto del 14 settembre». Insomma, non ha consegnato i cinquemila euro che il governo ora chiede in cambio della liberazione. Se si seguisse il decreto meloniano il ricorrente tunisino potrebbe quindi essere trattenuto nel nuovo centro di Pozzallo, imbastito in 40 giorni coi container.

Quando ha inaugurato quel centro, circa una settimana fa, il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha fatto sfoggio della «direttiva europea nel recepimento della quale avvieremo la prima struttura di trattenimento di richiedenti asilo provenienti da paesi sicuri, come la Tunisia, per fare in modo che si possano realizzare entro un mese procedure di accertamento per l’esistenza dei presupposti di status di rifugiato».

Il tribunale di Catania evidenzia invece che trattenere chi richiede protezione non solo non è l’esito di direttive Ue, ma contraddice sia queste che la Costituzione: «Alla luce del principio costituzionale fissato dall’articolo 10 comma 3, la mera provenienza del richiedente asilo da paese di origine sicuro non può automaticamente privarlo del diritto a fare ingresso nel territorio italiano per richiedere protezione internazionale».

E che dire dei 4.938 euro che stando al decreto del governo aprono le porte della libertà? Il giudice segue quanto ha stabilito la Corte di Giustizia Ue e cita gli articoli 8 e 9 della direttiva 2013/33/Ue: «Devono essere interpretati nel senso che ostano a che un richiedente protezione internazionale sia trattenuto per il solo fatto che non può sovvenire alle proprie necessità», salvo proporzionalità e necessità della misura.

Insomma «non sussistono i presupposti per il trattenimento del richiedente asilo»: il decreto meloniano è un flop.

All’arrembaggio con Musk

Il Viminale ha annunciato ricorso; il capogruppo di FdI alla Camera, Tommaso Foti, ha accusato i giudici di «decisioni irragionevoli»; la meloniana Sara Kelany ha evocato (ennesimi) complotti parlando di ostacoli frapposti da «una parte della magistratura ideologizzata».

Intanto il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, dal palco di Forza Italia a Paestum, continuava gli affondi contro Berlino: «Se si tratta di una ong finanziata dai tedeschi che porta bandiera tedesca, è giusto che porti i migranti in Germania». Parole che rievocano quelle pronunciate da Meloni venerdì a margine di Euromed 9.

Dopo che la presidenza spagnola ha trovato un compromesso con la Germania per sbloccare il patto sulle migrazioni, il governo italiano si è attaccato a un paragrafo che chiarisce che le operazioni umanitarie non rientrano tra le «strumentalizzazioni dei migranti» e ha congelato la stretta di mano sul dossier. Intanto Elon Musk ha lanciato strali (via tweet) contro le ong e la Germania, ed è partito pure il suo scontro col governo tedesco. Le destre estreme, e i loro ricchi supporter, stanno portando avanti una campagna coordinata per capitalizzare il tema migranti.

Nel frattempo la riforma del patto di stabilità rischia di restare un’austerità con un colpo di fard. E dei grandi piani di Meloni per l’Africa, da discutere nei vertici di ottobre e novembre, gli italiani sentono per ora soprattutto le fanfare.

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