Dieci anni fa irrompeva sulla scena spagnola un nuovo soggetto politico, Podemos, nato dalla volontà di un gruppo di professori dell’Università Complutense di Madrid, che intendevano tradurre in una proposta concreta le aspirazioni del movimento degli Indignati del maggio 2011.

L’avventura cominciò con le elezioni europee del 2014, con una lista capeggiata da Pablo Iglesias e cinque seggi conquistati. Poi furono le elezioni amministrative del 2015 e le politiche di quello stesso anno a portare 69 seggi al partito, a dare spazio alla nuova ondata di cambiamento che metteva in discussione il tradizionale paradigma spagnolo, fondato sul bipartitismo.

Podemos riuscì così a portare le coalizioni progressiste al governo del paese, rendendosi protagonista della legislatura più avanzata della storia spagnola. Dieci anni dopo, il partito ha solo cinque deputati e ha rotto la coalizione elettorale con Sumar.

Confida però in un nuovo inizio alle prossime europee, sotto la guida dell’ex ministra delle Pari Opportunità, Irene Montero.

La storia

Quella di Podemos è una storia originale nel panorama della sinistra alternativa europea, sia nella genesi che nel suo percorso. Mentre in Europa la crisi del 2008 favoriva la nascita di formazioni di estrema destra, in Spagna il disagio sociale e il disincanto nei confronti della politica veniva canalizzato nel movimento degli Indignati, il cosiddetto M-15, che poi si espanse nel territorio andando ad alimentare le tante piattaforme di difesa delle politiche di welfare.

In Spagna era sufficiente il Partido Popular a rappresentare tutte le destre, anche gli ex franchisti. Solo diversi anni dopo, da una costola del Pp, nascerà l’estrema destra di Vox. Eppure, nelle ultime elezioni del luglio scorso, gli spagnoli hanno confermato di non volerla al governo del paese.

Alla base di Podemos, c’è il pensiero del filosofo argentino Ernesto Laclau. Il rapporto con le esperienze di governo e i movimenti di lotta sudamericani ne segna in parte l’identità. Ma c’è anche molto di Antonio Gramsci, soprattutto successivamente, nel passaggio dalla critica alla casta all’ideologia come chiave della politica, nei concetti di egemonia e di blocco storico.

In principio, Podemos non si dichiara né di sinistra né di destra, parla di “alto” e “basso”, assume la critica alla casta dell’M-15. Che fosse un partito di sinistra era chiaro, ma i suoi dirigenti erano interessati a offrire un terreno trasversale all’elettorato per ampliare il campo progressista.

Poi, la vittoria di Pedro Sánchez nelle primarie interne al partito socialista, ripropone l’asse destra-sinistra, costringendo Podemos a schierarsi. D’altronde, Podemos era nato senza nessuna vocazione minoritaria, ma con l’esplicito proposito di arrivare al governo del paese per migliorare le condizioni di vita della maggioranza dei cittadini. E al governo non è più sufficiente gridare contro la casta.

La rottura

Podemos rompe il patto implicito, tra socialisti e popolari, di alternanza al governo, ereditato dal regime del 1978. L’arrivo al governo in coalizione col Psoe è il suo più grande risultato e la sua principale eredità: Pablo Iglesias, suo fondatore, ex segretario ed ex vicepresidente dell’esecutivo spagnolo, insiste ad attribuirne il merito alla sua formazione. Certo, la matematica parlamentare gioca a favore, perché è finita da un pezzo l’epoca delle maggioranze assolute o autosufficienti di un solo partito.

Juan Carlos Monedero, cofondatore di Podemos e professore universitario, parla a questo proposito di una sorta di “podemizzazione” del Psoe, un atteggiamento che trova nel vincitore all’interno del partito Pedro Sánchez, un segretario più libero di muoversi dei suoi predecessori.

E la legislatura di quella prima coalizione di governo sarà costellata da numerosi e innovativi provvedimenti di legge per salvaguardare il lavoro e il reddito delle famiglie più fragili, difendere e ampliare i diritti sociali e di cittadinanza, promuovere le politiche nel campo delle pari opportunità tra i sessi e del riconoscimento delle persone Lgbtq.

Poi, un eccesso di istituzionalizzazione, uno scarso radicamento nel territorio, le molte lotte intestine che ne rimpiccioliscono lo sguardo esterno, portano Podemos a perdere la sua originalità e quindi gran parte del suo consenso elettorale.

Il resto è cronaca: il cartello elettorale Sumar di tutta la sinistra alternativa, nato attorno alla vicepresidente e ministra del Lavoro Yolanda Díaz, regge appena per le politiche del luglio scorso.

Verso le europee

Podemos, che non trova spazio nel gruppo della coalizione, lo abbandona e passa al gruppo Misto. L’area alla sinistra del Psoe è sempre più frammentata e complica una legislatura sotto continuo attacco delle destre.

Così Podemos si riprende la sua libertà di azione e punta sulle europee, sotto la guida della segretaria Ione Belarra e di Irene Montero, futura capolista in Europa. Aspirano a farne l’inizio di una nuova fase, con ancora l’obiettivo di tornare al governo appena possibile.

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