Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla cinquantesima edizione dello European Focus. Cinquanta! Fra tante incertezze globali, stiamo almeno condividendo una relazione stabile tra te che ci leggi e la redazione paneuropea...
Io sono Teresa Roelcke, la caporedattrice di questa settimana, e ti scrivo da Berlino.
Incertezze globali, dicevamo... I conflitti del mondo si stanno intensificando ad una velocità a cui è difficile stare dietro. Dopo aver vissuto in un tempo di guerra ormai per un anno e mezzo, ora stiamo assistendo allo scoppio di un altro conflitto, alla morte e alla sofferenza di migliaia di civili, e a recrudescenze di antisemitismo nei paesi europei.
Tutto questo scuote profondamente anche la nostra redazione paneuropea, e si riverbera in ogni tema che affrontiamo. L'energia, ad esempio.
Per gli abitanti di Gaza la guerra significa anche carenza di energia che, tragicamente, mette a rischio la disponibilità di cure essenziali negli ospedali. L’energia è stata per noi cittadini europei un tema chiave un anno fa. Allora, in molti in Europa si chiedevano come avremmo affrontato l’imminente inverno, data la nostra dipendenza dal gas russo.

La situazione per noi europei si è rivelata meno grave di quanto molti temessero, forse per via di un inverno mite, e forse anche perché la gente è stata coscienziosa nel risparmiare energia.
Oggi quasi nessuno parla più di risparmio di energia. Almeno non in Germania, il paese nel quale vivo, e non in termini di sicurezza. Quel che ci preoccupa e scuote con urgenza sono i due conflitti in corso. Il tema del risparmio energetico suscita anzi diffidenza in un'ampia parte di opinione pubblica tedesca. A volte questa indicazione di risparmio è vista come l’ennesima restrizione imposta ai più poveri proprietari di immobili dai “cattivi” Verdi, con il loro amore per i divieti.
Noi vogliamo capire qual è la situazione. In questa puntata proviamo a rispondere alle seguenti domande: è cambiata, la situazione energetica? Quest’inverno possiamo rilassarci almeno in fatto di energia, oppure no?
Buona lettura!
Teresa Roelcke, caporedattrice di questa settimana


IN UNGHERIA L'ENERGIA È COME UNA ROULETTE RUSSA

Premier ungherese e presidente russo insieme. Foto pres.cons.Ungh.

BUDAPEST - Mentre i paesi dell’Ue pubblicano i propri rapporti vittoriosi sul loro divorzio dalla Russia e sulla loro emancipazione dalla dipendenza energetica da Vladimir Putin, l’Ungheria intanto usa parole che suonano invece molto gradite alle orecchie del presidente russo.
Proprio di recente, a pronunciarle è stato il vertice più alto della diplomazia ungherese ovvero il ministro degli Esteri, Péter Szijjártó, già conosciuto a livello internazionale soprattutto per le sue amichevoli visite alle dittature d’oriente. Durante il suo intervento all’apertura della Conferenza sulla sicurezza euroasiatica a Minsk, Szijjártó ha detto: «Vediamo la sicurezza energetica come un problema fisicamente reale, non come una questione politica». E poi ha aggiunto che l’Ungheria manterrà una cooperazione pragmatica con la Russia.
Le sue parole sono facili da tradurre: l’indipendenza dall’energia russa è ancora fuori discussione. Eppure nella relazione della Commissione europea sullo stato dell’Unione dell’energia si sottolinea che un livello così elevato di dipendenza costituisce una minaccia per la sicurezza dell’approvvigionamento all’Ungheria.
Sul fatto che il gas russo sia veramente l’unica soluzione, come sostiene regolarmente il governo, si può discutere, dal momento che l’Ungheria ha diverse alternative grazie ai collegamenti via gasdotto ai paesi vicini. In effetti, esisterebbero già dei piani per diversificare ulteriormente le fonti di gas dell’Ungheria. Il collegamento con il gasdotto del Baltico aprirebbe i giacimenti di gas del Mare del Nord direttamente fino a Budapest. L’anno scorso la Romania ha anche rilanciato lo sviluppo del giacimento di gas Neptun, nel Mar Nero, di cui l’Ungheria sarebbe un importante cliente. L’Ungheria ha pure iniziato ad acquistare gas dall’Azerbaigian, in linea con i piani Ue.
Tuttavia, il governo ungherese non ha intenzione di recedere da un contratto di fornitura di gas di 15 anni che Orbán ha firmato con Putin nel 2021. L’esecutivo orbaniano dice che il contratto è necessario in quanto garantisce una fornitura prevedibile, a lungo termine e a un prezzo scontato. Poche settimane prima dell’invasione dell’Ucraina, Putin ha anche affermato che il contratto avrebbe permesso all’Ungheria di ricevere il gas a un quinto del prezzo di mercato. Ciò si è rivelato una bugia, perché i prezzi dell’energia sono rimasti variabili; ma la popolazione pare non essere consapevole di questa truffa.
Balázs Tiszai si occupa di economia e politiche energetiche a HVG


IL NUMERO DELLA SETTIMANA: 10

SKOPJE - Quando a ottobre la Bulgaria ha introdotto una tassa “punitiva” di 10 euro per megawattora sul transito del gas naturale russo, la vicina Serbia e l’Ungheria, quest’ultima anche membro dell’Ue come la Bulgaria, hanno gridato allo scandalo.
I due governi favorevoli a Mosca hanno definito questa una mossa “ostile, che mette a repentaglio la loro sicurezza energetica in vista della stagione del riscaldamento invernale.
La tassa imposta è pari a circa il 20 per cento del prezzo di riferimento del gas in Europa, e dovrebbe portare circa 1,1 miliardi di euro alla Bulgaria in questa stagione. Questa mossa potrebbe anche ridurre tali profitti.
Siniša-Jakov Marusic è un giornalista di Balkan Insight


IL MIO DIARIO. IN ATTESA CHE PUTIN MI SPENGA LA LUCE

I vigili del fuoco ucraini gestiscono le conseguenze di un raid aereo russo sulle infrastrutture energetiche vicino a Kiev, il 19 dicembre 2022. Questo è stato uno degli ultimi attacchi massicci. Foto Servizio statale d’emergenza ucraino

KIEV - Se dovessi descrivere l’atmosfera di questi giorni di autunno in Ucraina con una parola, sarebbe “attesa”. Sappiamo che i missili russi arriveranno. Stiamo aspettando che il nemico cerchi di privarci dell’elettricità e, se sarà fortunato, dei riscaldamenti. Ci rendiamo conto che la nostra infrastruttura energetica è più fragile dell’anno scorso, e che la Russia è probabilmente così a corto di missili che non può permettersi di commettere errori.
Un anno fa
L’anno scorso, il primo massiccio attacco missilistico che ha preso di mira le infrastrutture energetiche ucraine ha avuto luogo il 10 ottobre. Quella sera, le autorità ucraine avevano chiesto alla popolazione di ridurre al minimo il consumo di elettricità.
Una settimana dopo, dopo un altro attacco, sono iniziati i blackout, le strade sono diventate buie, ed era possibile trovare i caffè e i negozi seguendo il rombo dei generatori a diesel che li alimentavano.

Ora stiamo cercando di essere più preparati.
Ci prepariamo
Molti dei miei amici hanno ottimizzato il proprio accesso a Internet per assicurarsi che la connessione possa durare più a lungo durante le interruzioni della corrente. Le ong stanno fornendo a diverse comunità e aziende delle stazioni di ricarica in grado di alimentare diversi dispositivi per un giorno. Ne ho ricevuta una anche io. Alcune persone stanno realizzando l’isolamento termico nelle proprie case e nei propri appartamenti, in modo da ridurre la perdita di calore.
Il tempo che non c’è
Ma, per quanto riguarda i sistemi di produzione e di trasmissione dell’energia, è difficile prepararsi. Le linee elettriche sono state ripristinate dopo i danni subiti, però è costoso e complicato riparare i grandi impianti di generazione o di distribuzione che sono stati pesantemente colpiti. A volte è addirittura meglio costruire una nuova sottostazione o centrale termica, invece di riparare quella vecchia. Ma questo richiede molto tempo che, ovviamente, non abbiamo avuto dall’inverno scorso.
Il mio orizzonte
Quando vado a letto, spesso penso: sarà forse questa la notte dell’attacco russo? L’attacco sarà probabilmente massiccio, in modo tale da travolgere il nostro sistema antiaereo. Forse saranno anche coinvolti degli sciami di droni. Per ora, l’invasore non è ancora pronto. Quando arriverà, non sembrerà catastrofico. I nostri cortili sono ancora punteggiati di generatori, grandi e piccoli. Se saremo sfortunati quest’inverno, le strade saranno semplicemente di nuovo piene del loro ronzio.
Anton Semyzhenko si occupa della sezione in lingua inglese di Babel.ua


L'"ORSO POLARE" E QUEI GUAI SOTTOMARINI…

La premier estone affronta il caso del gasdotto baltico assieme ai suoi omologhi finlandese e svedese. Foto Kaja Kallas / Twitter

TALLINN - Nelle prime ore di domenica 8 ottobre, la pressione nel gasdotto Balticconnector tra Estonia e Finlandia ha iniziato improvvisamente a calare.
Quel fine settimana c’era stata una forte tempesta, ma quando le autorità sono state finalmente in grado di indagare il fondale marino, hanno scoperto tracce di qualcosa che veniva trascinato sul fondo, una conduttura staccata e un’àncora rotta.
Un cavo dati a decine di miglia a est è stato spezzato a metà. Anche un altro cavo che collega l’Estonia alla Svezia non funzionava correttamente. Tracce simili a quelle rinvenute presso il gasdotto sono state trovate in entrambi i luoghi.
Il principale sospettato di questi incidenti è la nave mercantile cinese Newnew Polar Bear, che ha toccato ognuno dei siti menzionati nel periodo in cui si sono verificati i danni. Una foto, scattata pochi giorni dopo, mostra che alla Newnew Polar Bear manca un’àncora e i suoi container sono fortemente inclinati da un lato.
L’equipaggio della nave si è rifiutato di rispondere alle domande degli investigatori. Non è chiaro se qualcuno abbia causato i danni consapevolmente o accidentalmente, ma l’incidente mostra quanto sia facile sabotare delle infrastrutture sottomarine cruciali.
Il Balticconnector non sarà operativo almeno fino ad aprile dell’anno prossimo, ma le forniture di energia dei due paesi sono al sicuro. Tuttavia, la Nato ha intensificato la sorveglianza dell’area del Mar Baltico per prevenire ulteriori incidenti.
Holger Roonemaa è a capo del team di inchieste di Delfi


PRIMA L'AUSTERITÀ, POI LA GUERRA IN MEDIO ORIENTE. E MACRON SPINGE SUL NUCLEARE

L'intervistato, l'analista Nicolas Goldberg

PARIGI - Un anno fa l’Europa discuteva di austerità energetica e dell’urgenza di ridurre i consumi di fronte al rischio di scarsità delle risorse. Il tema era ben presente anche in Francia. Inoltre alle vecchie centrali nucleari francesi, lo scorso inverno sono stati spenti diversi reattori per manutenzione, costringendo il paese a importare elettricità per la prima volta dal 1980.
Secondo Nicolas Goldberg, esperto di energia presso la Columbus Consulting e il think tank Terra Nova, quest’anno si prevedono meno turbolenze per il settore energetico del paese, e la Francia sta di nuovo diventando un importante esportatore di elettricità. Abbiamo chiesto all’analista cosa è cambiato rispetto a un anno fa, in che modo il conflitto in Medio Oriente condiziona gli scenari, e gli effetti concreti per i cittadini europei di tutte queste variabili.
Le centrali nucleari francesi sono preparate meglio per l’inverno rispetto all’anno scorso?
La situazione è innegabilmente migliore rispetto all’anno scorso. La disponibilità di energia nucleare a ottobre è stata paragonabile a quella del 2019 (ossia al livello più alto in quattro anni). Non tutti i problemi di manutenzione dei reattori sono stati risolti, ma sono stati fatti dei progressi. Le preoccupazioni per questo inverno sono molto moderate, soprattutto perché ci sono ancora tracce del piano di risparmio energetico dell’anno scorso.
Ciò significherà prezzi più bassi per i clienti?
I prezzi di mercato vengono fissati prevedendo il prezzo del giorno successivo e basandosi sulla fiducia nella produzione. A settembre i prezzi sul mercato francese sono stati inferiori a quelli tedeschi, il che è quasi inaudito. Questo dimostra che la fiducia è tornata. Si tratta di buone notizie anche per l’Europa. La Francia sta esportando ancora una volta elettricità, e siamo addirittura vicini alla capacità massima di esportazione. Il sistema nucleare francese è tornato a essere una risorsa per il mercato europeo.
D’altro canto, la situazione in Medio Oriente potrebbe far aumentare i prezzi dell’energia in Europa?
I mercati del gas sono molto nervosi, e i prezzi del gas sono schizzati leggermente dopo gli attacchi di Hamas. Ma nel medio termine non ci dovrebbero essere conseguenze importanti. Il gas israeliano non viene esportato quasi mai in Europa.
Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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