Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla cinquantaduesima edizione dello European Focus!
Sono Nelly Didelot, la caporedattrice di questa settimana, e ti scrivo da Parigi.
Per l'Unione europea il proprio peso economico è senz'altro un punto di forza; si può dire il contrario, invece, del suo peso diplomatico.
Eppure l’Unione sta giungendo a un punto della propria storia in cui la guerra infuria ai suoi confini e la divisione Est-Ovest, Mosca-Washington, sta di nuovo diventando una parte inevitabile della politica.
Si può dire che l'Ue, per sopravvivere, sia costretta a diventare geopolitica. In tal senso l’allargamento è la chiave del suo successo.

L’Unione europea deve aprirsi all’Ucraina che lotta per la propria libertà, alla Moldavia che lotta contro l’influenza russa, e ai Balcani occidentali, che sperano da molto tempo di entrare a far parte del club.
Gli scettici, soprattutto a Parigi, risponderanno che i precedenti allargamenti dell’Ue hanno talvolta reso l’Europa ingovernabile e che è difficile immaginare un’Unione funzionale di 36 membri, quando è già così spesso divisa ora che ne ha 27. Negli ultimi anni, Emmanuel Macron ha promosso “un’Europa a più velocità” piuttosto che un allargamento autentico.
È vero che l’Ue non sarà più in grado di funzionare come oggi. Ma l’aggiunta di nuovi membri offre al blocco la possibilità di reinventarsi e riformarsi come ha fatto in passato.
Nelly Didelot, caporedattrice di questa settimana


LA LOCOMOTIVA TEDESCA TRA ACCELERAZIONI E FRENI

Annalena Baerbock. Foto Olaf Kosinsky

BERLINO - La ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock è un’ardente sostenitrice dell’allargamento dell’Ue. Tuttavia, non è chiaro se la Germania acconsentirà all’adesione rapida dell’Ucraina e di altri stati candidati.
Il timore che l'Ue ripeta gli errori passati, per quel che riguarda corruzione e stato di diritto, resta un timore forte. Per controbilanciarlo, Baerbock ha ribadito le misure necessarie per riformare l’Unione, quali la rimozione del principio dell’unanimità nel processo decisionale.
Ma questo suggerimento suscita anche molte polemiche, persino all’interno della coalizione di governo. Il partito liberale Fdb, membro della coalizione semaforo in questione, per esempio si oppone al fatto che la Germania possa perdere il proprio potere di veto per quanto riguarda le questioni finanziarie e fiscali.
Inoltre, il sostegno all’adesione rapida dell’Ucraina all’Ue è in calo tra il popolo tedesco. Nel maggio del 2022, il 63 per cento era favorevole, ma nel giugno del 2023 il consenso è sceso ad appena il 45 per cento, con un 42 per cento di dissenso deciso.
Judith Fiebelkorn guida il team euro|topics di n-ost


L'UCRAINA VUOLE L'UE MA «POCHI ANNI NON BASTANO»

L'intervistato

KIEV - Gran parte del lavoro relativo all’adesione dell’Ucraina all’Ue deve ancora essere svolto, rivela Serhiy Sydorenko, uno dei maggiori esperti ucraini in materia di integrazione europea e caporedattore della Yevropeiska Pravda.
La Commissione europea ha riconosciuto i risultati ottenuti dall’Ucraina nell’ambito delle riforme dell’estate del 2022. Ma queste riforme sono state sostanziali o un maquillage burocratico?
Mi oppongo fermamente alla narrazione secondo la quale ci sarebbe una differenza tra riforme “vere” e riforme “solo sulla carta”. Gran parte delle riforme viene effettivamente realizzata, tra l’altro, nella sfera degli atti legislativi e dei cambiamenti procedurali. In termini di riforme che possono trasformare il paese, spesso non c’è alcun elemento realmente tangibile per il pubblico in generale. Se si tiene conto della situazione in Ucraina, in un anno è stato fatto molto. Lo hanno riconosciuto persino i burocrati dell’Ue che non sostengono l’Ucraina.
Ma, se vogliamo davvero entrare nell’Unione europea, stiamo ancora facendo troppo poco, troppo piano. La quantità di lavoro ancora da svolgere è circa dieci volte maggiore rispetto a quella sufficiente per diventare un membro associato dell’Ue.
Quali sono, dal suo punto di vista, le principali sfide?
Se vi state aspettando la parola “anticorruzione” da me, non la dirò. Penso che ci saranno sfide più difficili, ma ora non possiamo nemmeno immaginarle. Ad esempio, di solito le riforme ambientali sono molto difficili da mettere in pratica. Ma, forse, in Ucraina le cose andranno diversamente.
I politici ucraini dicono che è possibile concludere i colloqui di adesione all’Ue in circa due anni. C’è un altro paese che abbia fatto così tanto lavoro in così poco tempo?
Non credo che due, o nemmeno quattro anni, siano realisticamente possibili. Ma paragonare l’Ucraina ad altri paesi è una trappola, dal momento che l’Ue è cambiata dal suo più recente e sostanziale allargamento. Ora è più leale e più veloce in alcune cose, come ad esempio l’accettazione di nuovi membri che rientrano nei suoi interessi per quanto riguarda la sicurezza. Ma la situazione, adesso, è questa. Se in Francia, per esempio, Marine Le Pen diventasse presidente al posto di Emmanuel Macron, la storia cambierebbe.
Anton Semyzhenko si occupa della sezione in lingua inglese di Babel.ua


IL DOPPIO LACCIO DI ORBÁN SULL'ALLARGAMENTO

Il premier ungherese

BUCAREST / BUDAPEST - «Kiev è lontana dall’adesione all’Ue quanto il comune ungherese Makó è lontano da Gerusalemme», ha dichiarato in tono scherzoso il primo ministro ungherese Viktor Orbán ai media statali del suo paese, il giorno dopo il via libera della Commissione Ue ai negoziati di adesione dell'Ucraina.
Il premier cita un vecchio proverbio su Makó, che essendo una remota cittadina rurale dà il segno della grande distanza da colmare.
L’Ucraina rappresenterebbe un paese più lontano, per il governo di Orbán, rispetto alla Moldavia? Il governo ungherese sembra non preoccuparsi particolarmente per l’adesione della Moldavia all’Ue.
Il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, ha visitato la Romania, dove ha discusso di cooperazione energetica con le proprie controparti romene e non ha sollevato obiezioni contro l’adesione della Moldavia, questione importante per la Romania. Ma con l’Ucraina, dice Szijjártó, «la guerra arriverebbe in Ue».
Soprattutto, ha avvertito l’eurodeputata Kinga Gál del partito Fidesz di Orbán, «l’Ue deve prima mantenere le promesse fatte ai Balcani occidentali, compresa la Serbia», stretta alleata di Budapest.
Boróka Parászka è una giornalista di HVG


DELUSIONE BALCANICA: CARA UE, NON PRENDERCI IN GIRO

Ursula von der Leyen. Foto Commissione Ue

SKOPJE - Due decenni fa, a Salonicco, l’Unione europea era andata promettendo ai Balcani occidentali la piena adesione al blocco politico europeo. Facciamo un salto fino a oggi e, nonostante sia passato molto tempo, sembra che non siano stati fatti passi avanti.
Certo, la scorsa settimana Bruxelles ha espresso un “sì” condizionale all’inizio dei colloqui di adesione della Bosnia ed Erzegovina chiedendo ulteriori riforme, e ha dato una pacca sulla spalla agli altri cinque stati per il loro impegno nel processo di adesione.
Inoltre, l’Ue ha lanciato il suo nuovo Piano di crescita per i Balcani occidentali con l’obiettivo di raddoppiare le dimensioni delle economie dei sei paesi e avvicinare i loro mercati, e ha stanziato sei miliardi di euro per le riforme.
Ma nessuno nei Balcani occidentali si è dimostrato entusiasta. Ed è qui che si nasconde la fregatura di tutta questa faccenda.
Il fatto è che l’Unione europea ha semplicemente perso i cuori e le menti dei cittadini della regione.
La Bosnia ed Erzegovina rimane bloccata in un incubo interetnico e giuridico, la Serbia e il Kosovo sentono di doversi tagliare un braccio e una gamba per progredire, la Macedonia del Nord resta di fatto bloccata per delicate questioni di identità dalla Bulgaria, membro dell’Ue, l’Albania è costretta ad aspettare la Macedonia del Nord, mentre il Montenegro è caduto vittima di un’impasse politica interna.
La gente ha già fatto proprie le ben congegnate narrazioni euroscettiche, anti Ue. Sento molti dire che «Bruxelles è ipocrita» e che «l’Ue è sul punto di sgretolarsi».
L’Unione europea deve decidere. O prende coraggio ed esporta la stabilità nella regione, raccogliendo così i benefici a lungo termine di un’unione più grande, oppure la regione scivolerà nel caos e l’Ue dovrà prepararsi a importare l’instabilità nei propri confini.
Bruxelles dovrà mostrare di avere una lungimiranza strategica, una visione. È quello che ha fatto durante l’allargamento ai paesi dell’Europa orientale negli anni Duemila.
Altrimenti, dovremmo smetterla di indorare la pillola della mancanza di volontà e di capacità del blocco europeo. In tal caso, l’Ue verrebbe cacciata fuori dalla propria porta, e noi ci trasformeremmo nel luogo di un naufragio, dove i valori dell’Ue sono finiti per morire.
Sinisa-Jakov Marusic è giornalista di Balkan Insight


COSA INSEGNA IL CASO POLACCO SULL'ALLARGAMENTO

In piazza per l'Ue a Cracovia nel 2021, durante il caso "Polexit". Foto Jakub Włodek / Agencja Wyborcza.pl

VARSAVIA - Vent’anni fa nessuno avrebbe scommesso che l’adesione della Polonia all’Unione europea avrebbe rappresentato un grande successo per il paese e per l’Europa.
Ingresso a credito
I timori dominanti erano che la Polonia avesse bisogno di ulteriori riforme, che avesse un’economia debole e un’elevata disoccupazione, e che quindi i suoi abitanti avrebbero inondato il mercato del lavoro dei paesi occidentali.
La Polonia è entrata nell’Ue a credito. I governi che si sono susseguiti hanno messo in pratica le riforme richieste. 
L’idraulico polacco
È vero che i polacchi hanno viaggiato in massa per trovare lavoro nei paesi dell’Ue, ma l’idraulico polacco è diventato il simbolo dell’artigiano instancabile e affidabile.
Dal momento che l’adesione all’Ue della Polonia è stata un successo, si pensava che lo stesso sarebbe avvenuto anche in altri paesi. Nel 2007, la Romania e la Bulgaria hanno aderito all’Ue.
Realtà e fantasie
È qui che sono iniziati i problemi gravi, perché questi paesi, segnati da diversi conflitti politici, non sono stati in grado di attuare le riforme sistemiche necessarie.
Presto le crisi economiche e migratorie hanno iniziato a colpire l’Europa, e l’allargamento serio dei confini è stato rinviato a un futuro imprecisato. Per di più la Polonia, la recente favorita in Europa, aveva iniziato a causare grossi problemi.
Il nemico interno
Il governo che è stato al potere dal 2015 ha iniziato a smantellare lo stato di diritto, uno dei principali pilastri su cui si fonda la comunità dell’Ue. Oltretutto, ci si è resi conto che non esisteva un modo efficace per disciplinare la Polonia, perché l’Ue non dispone degli strumenti per farlo.
L’Unione si trova ancora una volta a un bivio: deve accogliere nuovi paesi o riformarsi per prevenire la propria dissoluzione?
Apertura regolata
L’esempio dell’esperienza polacca mostra che sono necessarie entrambe le cose. Senza l’allargamento e la volontà di accogliere nuovi paesi, l’Ue perde la propria credibilità. Ma deve avere in mano gli strumenti per disciplinare i paesi che infrangono le sue regole.
Michal Kokot fa parte della redazione Esteri di Gazeta Wyborcza


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Alla prossima edizione! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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