Eccoci di nuovo insieme, Europa!
Siamo alla cinquantaseiesima edizione dello European Focus! Questa è l'ultima puntata pre-natalizia, poi ci ritroveremo mercoledì 17 gennaio. Se ti sembra una vacanza lunga pensa che ci sono ben nove redazioni in tutta Europa che si assentano in giorni diversi...
Oggi però eccoci, e nel giorno del Consiglio europeo che discute se dare il via ai negoziati per l'ingresso dell'Ucraina in Ue, parliamo proprio di Kiev.

Tra poco saranno trascorsi due anni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina su vasta scala, e l’Europa sembra sempre più stanca di un conflitto che non accenna a finire. È giusto questo? Abbiamo dimenticato che gli ucraini stanno combattendo i russi non solo per la propria libertà, ma anche per la nostra?

Questa settimana discutiamo di come i paesi occidentali, quali Germania e Francia, stiano annunciando l’aumento delle forniture militari all’Ucraina, ma di come ciò sia comunque appena una goccia nell’oceano. Se anche la Germania raddoppiasse gli aiuti militari, ciò significherebbe che il paese più grande dell’Ue spenderebbe appena lo 0,2 per cento del suo Pil per l’Ucraina.

Alcuni paesi dell’Europa centrale e orientale contribuiscono ancora meno. L’Ungheria rifiuta completamente di fornire aiuti militari in modo da ottenere un tornaconto politico con la propria posizione di non intervento.
Ancora una volta la politica di difesa europea si dimostra debole, e senza gli Stati Uniti non ci sarebbe alcuna garanzia di sicurezza nel continente. L’Europa deve finalmente agire. Questo è nel nostro interesse e in quello dell’Ucraina.
Buona lettura,
Michał Kokot, caporedattore di questa settimana


RIFLESSIONI DAL FRONTE, "QUELLO VERO"

Pavlo Kazarin nel centro della città di Huliaipole, nella regione della Zaporizhzhia, aprile 2023. Spesso commenta foto del genere con la didascalia “lavoro e viaggi”. Foto dal suo profilo Facebook

KIEV - A Pavlo Kazarin non è mai mancata l’abilità di trovare le parole giuste al momento giusto.
Nato e cresciuto in Crimea, ha lasciato il suo lavoro come conduttore radiofonico nella penisola dopo l’annessione da parte della Russia nel 2014, e si è trasferito a Kiev.
In pochi anni è diventato uno dei principali editorialisti del paese, combinando uno stile sobrio a un approccio amaro, ma sempre radicato nel realismo. Verso la fine del 2021 ha pubblicato una pluripremiata raccolta di saggi, Eastern Europe’s Wild West, in cui racconta la propria esperienza di vita nel sud dell’Ucraina e l’occupazione straniera, e di come abbia riconosciuto la propria identità ucraina e si sia costruito una nuova vita.
Il secondo giorno dell’invasione russa Pavlo si è unito alle forze armate ucraine. «Si è trattato di una necessità rimandata», ha spiegato. «Non l’ho fatto nel 2014 e il tempo che mi è stato concesso dai miei compatrioti, che hanno difeso l’Ucraina e sono stati uccisi, l’ho sfruttato per costruirmi una carriera e riflettere su me stesso. Ora è giunto il momento che sia io a dare qualcosa in cambio».
Non ha smesso di scrivere. Quando diversi uomini d’affari e artisti hanno detto che non avrebbero combattuto in prima linea perché avrebbero difeso il fronte “economico” e quello “culturale”, lo scorso luglio Kazarin ha scritto: “Non esiste altro fronte se non quello vero”.
Ora che la controffensiva ha deluso molti e la determinazione occidentale a sostenere Kiev sta vacillando, il morale degli ucraini sembra cupo. Dopo quasi due anni di pesanti combattimenti, la maggior parte dei soldati e dei civili è esausta. Come reazione alle sfide da affrontare sono tornate le dispute politiche. Il punto di vista secco, realistico e ben informato di Kazarin è, ancora una volta, attuale.
«Questo inverno potrebbe essere più duro rispetto a quello passato», ha scritto di recente. «Ora non si tratta più di missili e corrente elettrica. Stiamo iniziando la stagione con una riserva minore di resilienza mentale e una maggiore stanchezza collettiva. Potrebbe risultare più facile dividerci. E non c’è niente di peggio di questo, perché è proprio questo che potrebbe portarci alla sconfitta».
Anton Semyzhenko si occupa della sezione in lingua inglese di babel.ua


IL NUMERO DELLA SETTIMANA: 0,1%

PARIGI - Il governo francese ha nascosto a lungo l’ammontare esatto degli aiuti militari che ha fornito all’Ucraina. Ufficialmente, l’obiettivo era quello di evitare di dare all’esercito russo qualsiasi indicazione del tipo di armi che i francesi avevano inviato all’Ucraina.
A novembre, una relazione del parlamento ha finalmente rivelato la cifra precisa: dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia, la Francia ha donato all’Ucraina lo 0,1 per cento del proprio Pil, ossia 3,2 miliardi di euro. Per fare un confronto: l’Estonia spende l’1,2 per cento del proprio Pil in armi per l’Ucraina.
Il trasferimento di equipaggiamento militare in quanto tale ammonta a soli 1,7 miliardi di euro. Inoltre, questo prezzo non costituisce il valore delle armi inviate, ma il costo della loro sostituzione con equipaggiamento più moderno.
Nelly Didelot fa parte della redazione Esteri di Libération


LA GERMANIA SI IMPEGNA A "DARE CIÒ CHE SERVE"

Nonostante il calo dell’interesse pubblico, il governo tedesco guidato da Olaf Scholz rimane uno dei più fermi sostenitori militari dell’ucraina. Foto Twitter @Bundeskanzler

BERLINO - Mentre la durata dell’invasione russa dell’Ucraina sta per raggiungere il traguardo dei due anni, il governo del presidente Volodymyr Zelensky si trova con l’acqua alla gola.
La controffensiva si è rivelata molto meno decisiva di quanto ci si aspettasse, e le critiche interne stanno aumentando. A peggiorare le cose, anche il sostegno internazionale all’Ucraina sta diminuendo.
Secondo uno studio dell’Istituto di Kiel per l’economia mondiale (IfW), l’aiuto dell’Occidente all’Ucraina è sceso al livello più basso dal gennaio del 2022. Nell’ultimo trimestre gli alleati di Kiev hanno promesso poco più di due miliardi di euro, un calo di quasi il 90 per cento rispetto all’anno precedente.
L’Ucraina, sottolinea l’IfW, ora dipende sempre di più da un piccolo gruppo di donatori principali. Al centro di questo gruppo ci sono solo due paesi: gli Stati Uniti e la Germania.
L’affermazione di Berlino come uno dei sostenitori più fermi di Kiev sembra quasi paradossale. L’attenzione del pubblico è scesa a un livello tale che ultimamente il ministro degli Esteri tedesco ha criticato questa apatia definendola “fatale”. Inoltre, il cancelliere Olaf Scholz è stato più volte sottoposto a pressioni internazionali in passato per non aver donato più equipaggiamento proveniente dall’arsenale militare del suo paese.
Ma le cifre non mentono: anche se molti altri protagonisti della scena europea hanno rimarcato il proprio impegno nella difesa dell’Ucraina, le loro promesse sono ben lontane da ciò che Berlino è pronta a dare.
Il mese scorso la Germania ha annunciato che raddoppierà il proprio aiuto militare all’Ucraina, passando da quattro a otto miliardi di euro nel 2024. Per fortuna, la spesa supplementare spingerà questo paese contribuente della Nato, un tempo avaro, a superare l’obiettivo di spesa per la difesa di almeno il due per cento del suo Pil annuale. Ma solamente pochi giorni dopo, il governo è precipitato in una crisi di bilancio.
I falchi dell’austerity si sono lanciati rapidamente a individuare nella spesa sociale l’agnello sacrificale, evocando immagini di rifugiati ucraini quali beneficiari indegni del sistema di welfare tedesco.
In questo clima politico inquieto, Scholz ha utilizzato parole forti e decise durante il suo intervento al congresso del suo partito socialdemocratico tedesco (SPD), lo scorso fine settimana. «Non ci saranno tagli alla spesa sociale», ha annunciato tra gli applausi entusiasti.
E per quanto riguarda gli impegni della Germania all’estero, ha desiderato che il messaggio fosse chiaro al presidente russo: «Non aspettatevi che faremo marcia indietro. Daremo all’Ucraina ciò di cui ha bisogno per difendersi».
Alexander Kloss è un reporter del Tagesspiegel


IL CHIODO FISSO UNGHERESE

Presidente ungherese e francese insieme. Foto dal profilo facebook di Orbán

BUDAPEST - «L’Ucraina è nota per essere uno dei paesi più corrotti al mondo», ha detto il primo ministro ungherese Viktor Orbán la scorsa settimana a Parigi, dove si è unito al presidente francese Emmanuel Macron per i colloqui in vista del vertice dell’Ue. «È uno scherzo affermare che il paese sia pronto ad aderire all’Ue», ha aggiunto.
Pare che il presidente francese abbia cercato di convincere il premier ungherese a cambiare idea, ma Orbán ha ostinatamente insistito nel respingere la domanda di adesione dell’Ucraina.
Bloccando le ambizioni dell’Ucraina nei confronti dell’Ue, Viktor Orbán sta dicendo ancora una volta al proprio elettorato che «l’Ungheria viene prima», e sostiene che un’adesione rapida dell’Ucraina sarebbe “negativa” per gli ungheresi. Il primo ministro ungherese ha detto che se gli ucraini fossero ammessi al mercato comune, porterebbero alla rovina l’agricoltura europea il giorno successivo.
Al tempo stesso ha sottolineato che l’Ungheria si aspetta che i diritti della minoranza ungherese in Ucraina vengano pienamente garantiti, e che gli sforzi compiuti finora dall’Ucraina in questo senso sono stati insoddisfacenti.
Boróka Parászka è giornalista ed editorialista di HVG


LA SPERANZA È STATA COMPROMESSA?

Foto Anastasiia Krutota / Unsplash

SKOPJE - Quasi nessun esperto militare si illudeva che il tentativo dell’Ucraina di liberare il proprio territorio sarebbe stato facile come fare una passeggiata. Prima dell’offensiva estiva di quest’anno, molti avevano avvertito che i progressi sarebbero potuti essere lenti e che la guerra sarebbe potuta diventare ancora più faticosa.
Tuttavia, incoraggiati dai sorprendenti successi dell’Ucraina nel 2022, in molti avevano sperato in un’altra grande svolta.
Non è andata così. L’anno scorso, quando l’esercito ucraino stava combattendo la macchina da guerra russa, ormai logorata e frammentata, aveva l’elemento sorpresa dalla sua parte. Quest’anno, l’area in cui era stata pianificata la controffensiva, verso il Mar d’Azov, è stata telegrafata con largo anticipo, e i mezzi per metterla in pratica sono stati sbandierati tramite contrattazioni pubbliche tra gli alleati, che si sono azzuffati su chi avrebbe inviato quale arma per primo. Mosca ha avuto il tempo di preparare una linea di difesa formidabile.
Il mancato raggiungimento dell’obiettivo principale, ossia tagliare il ponte terrestre della Russia verso la Crimea, è una battuta d’arresto che preoccupa molti combattenti ucraini e scoraggia alcuni in Europa.
Ma è il caso di disperarsi? No.
Ogni guerra ha le sue battute d’arresto. Ma i combattenti determinati sfruttano i momenti difficili per rivedere tutto, riorganizzarsi e impegnarsi ancora di più.
Però questa volta consiglierei all’Ucraina e ai suoi alleati di ostentare di meno i propri carri armati e i propri missili, e di comportarsi in maniera più saggia per ottenere quel che è necessario a modellare una nuova strategia per una svolta alla prossima occasione che si presenterà.
Non ho dubbi sulla determinazione dell’Ucraina. Ma l’Europa è altrettanto decisa a difendere i propri principi e mantenere la propria promessa di essere presente “per tutto il tempo necessario”?
Siniša-Jakov Marusic è un giornalista di Balkan Insight


Qual è la tua impressione su questo tema? Ci piacerebbe riceverla, alla mail collettiva info@europeanfocus.eu se vuoi mandarcela in inglese, oppure a francesca.debenedetti@editorialedomani.it
Lo European Focus torna il 17 gennaio! Buone feste! Francesca De Benedetti


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Marco Valenti)

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