Buongiorno Europa! Eccoci alla sesta edizione dello European Focus!

Sono Nelly Didelot, la caporedattrice di questa settimana, e scrivo da Parigi.

In questi giorni, in fatto di clima, non si può dire che siamo a corto di notizie, e non sono certo buone. Stiamo vivendo, credo, l’autunno più caldo mai registrato. E questo è solo l’inizio. L’Onu ci ha messi in guardia: andiamo dritti verso un riscaldamento globale catastrofico, con un aumento di almeno 2,5 gradi entro la fine del secolo.

A pochi giorni da una nuova Conferenza sui cambiamenti climatici che rischia di essere l’ennesima infruttuosa, attivisti sempre più giovani e sempre più arrabbiati stanno cercando di scuoterci dalla nostra indifferenza, o dalla rassegnazione. Sembra aumentato il ricorso a tattiche radicali come gettare zuppe contro dipinti di Van Gogh, Monet e Vermeer o appiccicarsi su strade ad alto scorrimento.

Nell’Europa occidentale questi nuovi metodi hanno scatenato un dibattito acceso, ma altrove a stento se ne sente parlare: «Per noi in “Est-Europestan” il clima non è una priorità assoluta», ci ha detto il nostro collega polacco, un po’ ironizzando, un po’ seriamente.

Ma a volte il radicalismo è nascosto dove non diresti. Chi è che assume su di sé più rischi? Un gruppo di attivisti che incolla le mani a un dipinto in Germania, o chi in Romania sfida la mafia del legno?

Nelly Didelot, caporedattrice di questa edizione


La mia lettera ad Angela Merkel

(Giovani attivisti durante uno sciopero per il clima in Germania il 20 settembre 2019. Foto: Fridays for Future Germania)

BERLINO – Qualche mese fa, rovistando in una pila di vecchie carte che avevo messo via nella soffitta di mia nonna, ho trovato una lettera datata 2007 che l’assistente dell’allora cancelliera Angela Merkel aveva scritto a me e mia sorella.

Si trattava della risposta a un appello per il quale avevamo raccolto 364 firme nelle nostre scuole superiori. Chiedevamo a Merkel di non mettere in primo piano gli interessi dell’industria automobilistica tedesca, e di mantenere piuttosto la sua promessa: affrontare la tutela del clima come una priorità assoluta.

La risposta che abbiamo ricevuto – certo, espressa con parole gentili - ci informava di quanto Merkel fosse completamente dedita alla tutela del clima. Nel leggerla, avevi la percezione immediata di quanto fossero vuote quelle parole.

E sembrano se possibile ancor più superficiali oggi, che siamo distanti anni luce da un’adeguata tutela del clima. La crisi si è aggravata. Nell’ottobre di quest’anno la Germania ha registrato temperature di 3,8 gradi più alte rispetto alla media di ogni ottobre a partire dal 1881.

Vedo gli attivisti di oggi e mi ricordo della mia disperazione di quindici anni fa. Ricordo le notti insonni, passate a ragionare su che cosa potessi fare per sensibilizzare. Mi dicevo che almeno qualcosa andava tentato, e così decisi di organizzare una conferenza sui rischi del riscaldamento globale nella mia scuola.

Ricordo di essermi rassegnata un po’, qualche tempo dopo, perché niente sarebbe cambiato per effetto del mio disperato “attivismo”; perché ero un’adolescente sola che non aveva influenza sulle decisioni politiche.

Per i giovani attivisti di oggi, dev’essere ancor più forte, la sensazione che si ottenga troppo poco, e troppo tardi. Per me, ad ogni modo, vederli in azione è un sollievo. Preoccuparsi per il clima non è più una prospettiva isolata. Oggi l’idea che si debba lottare per questo è un’idea e un carico collettivo, il che rende tutto più potente. È la lotta di una generazione pronta a utilizzare tattiche più radicali pur di farsi ascoltare. Questo mi dà un po’ di speranza. Anche se quelle parole vuole che rivelavano un far niente ancora risuonano dentro di me, e ancor più pesantemente.

Teresa Roelcke è una giornalista di Tagesspiegel


«Siamo i vulnerabili d’Europa»

MADRID – Nel 2011 Juan López de Uralde ha rinunciato alla propria carica di direttore di Greenpeace Spagna per fondare il primo Partito verde del paese, ma con scarsi risultati. Oggi i verdi sono divisi in diverse coalizioni.

Partiamo dal problema. Pensa che la Spagna sarà il primo paese in Europa a subire le conseguenze peggiori del riscaldamento globale?

Probabilmente all’interno dell’Unione europea siamo la prima vittima, nonché la più vulnerabile, del riscaldamento globale. Secondo l’agenzia meteorologica spagnola l’aumento di temperatura ha già raggiunto 1,2 gradi, con ripercussioni in termini di aumento di incendi boschivi, riduzione nella disponibilità di acqua, espansione delle zone aride e molto altro. Stiamo pagando caro un atteggiamento passivo; noi avevamo lanciato l’allarme da tempo.

Essendo di Córdoba, ricordo le estati a 47 gradi e, in certi anni, il razionamento dell’acqua. La consapevolezza del disastro climatico esiste, in Spagna. Eppure non esiste né un Partito verde, né un forte attivismo ambientalista. Perché?

Ci abbiamo provato, senza successo. I problemi principali sono tre: in primo luogo, la mancanza di fondi; in secondo luogo, il sistema elettorale spagnolo, che penalizza i partiti più piccoli; infine, non c’è un forte appoggio da parte della società civile per la causa ambientalista, a differenza che in altri paesi europei. La consapevolezza è cresciuta, ma la questione climatica non è ancora un fattore decisivo nelle scelte di voto. Questa è la differenza principale con l’Europa. I problemi economici, o occupazionali, contano di più.

Lei è finito in carcere per essersi introdotto alla Conferenza sui cambiamenti climatici (Cop) del 2009 con uno striscione. Oggi c’è il lancio della zuppa sui quadri di Van Gogh. Per farsi ascoltare, gli attivisti spagnoli devono mostrarsi più radicali?

Noi eravamo andati direttamente dai responsabili del problema. Ma ho grande rispetto per ciò che stanno facendo questi attivisti: è un grido d’aiuto da parte delle giovani generazioni. In Spagna c’è stato anche un fattore che finora non abbiamo menzionato: le più grandi mobilitazioni per il clima sono avvenute in risposta alla Cop 25, a Madrid, poco prima della pandemia. Alcuni fra i partiti principali cominciano a far propria l’agenda climatica, ma bisognerà vedere se fanno sul serio. Altrimenti, l’attivismo crescerà.

Alicia Alamillos è una giornalista di El Confidencial, specializzata in notizie internazionali


Il numero della settimana: 1,3 %

TALLINN - Secondo gli ultimi sondaggi, soltanto l’1,3 per cento degli elettori estoni sostiene il Partito verde. In Estonia i partiti politici devono superare la soglia del 5 per cento per entrare in parlamento, e quindi è improbabile che a marzo, alle prossime elezioni, i Verdi riescano a ottenere una rappresentanza parlamentare.

Molti commentatori attribuiscono il basso indice di gradimento al fatto che al partito manchi un programma politico completo, che comprenda questioni diverse da quelle ambientali.

Questa valutazione sembra essere confermata da un altro sondaggio, secondo il quale il 71 per cento degli estoni vorrebbe condurre uno stile di vita più rispettoso dell’ambiente, ma le ristrettezze economiche e le regole attuali non danno fiato a questo cambiamento.

Dal momento che questa è l’idea che gli estoni hanno di sé, è curioso osservare come la preoccupazione per l’ambiente non si traduca in sostegno politico.

Sono i Verdi gli unici a poter risolvere il problema, o sono forse gli estoni a doversi fare un esame di coscienza?

Kristin Kontro è una reporter di Delfi / Eesti Päevaleht, e si occupa di temi ambientali


Un ponte tra Est e Ovest

(La deforestazione costante della Romania. Foto: Mihai Constantineanu / Wwf Romania)

BUCAREST – L’autunno scorso un attivista ambientalista e due giornalisti che giravano un documentario sulla deforestazione della Romania sono stati aggrediti, picchiati e minacciati di morte.

Anche gli aggressori erano a dozzine, ma la polizia a quanto pare è stata in grado di arrestarne soltanto quattro. Alcuni erano dipendenti dell’agenzia forestale nazionale, dunque pagati dallo stato per proteggere le foreste.

È solo la punta dell’iceberg, ma indica quale realtà gli attivisti si trovino ad affrontare. Non c’è da stupirsi che i loro tentativi siano per lo più destinati al fallimento.

L’appoggio di attivisti dell’Europa occidentale potrebbe rivelarsi fondamentale, come lo è stato nel caso dei piani di estrazione dell’oro della Roșia Montană Gold Corporation.

Questo progetto - un investimento del valore di miliardi di dollari sui monti Apuseni, in Romania - è stato bloccato dopo quasi vent’anni di lotte, che comprendevano anche la cooperazione tra attivisti locali e gruppi internazionali.

Le statistiche ufficiali stimano in 20 milioni di metri cubi la quantità media di legname abbattuto illegalmente ogni anno in Romania. Secondo Greenpeace Romania, «la legislazione locale non è in grado di proteggere la natura, neanche nei casi in cui intervenga un’azione legale».

Alcune ong stanno cercando di incoraggiare l’Ue a proteggere le foreste. Servono molti anni prima che queste politiche entrino in vigore e producano risultati, sempre che si riesca mai a metterle a segno. Non c’è una reale volontà politica di implementarle.

In tutto questo, la Romania è in una situazione privilegiata. Mentre i paesi dell’Europa occidentale sono impegnati in un’operazione di rewilding, di rinaturalizzazione di alcune loro regioni, alla Romania basterebbe proteggere ciò che per ora c’è già: più di 500mila ettari di foreste vergini e primarie, più di ogni altro paese dell’Unione europea.

La nostra biodiversità è unica. È necessario sensibilizzare l’intera popolazione se vogliamo prevenire le corruzione e proteggere, con l’aiuto di una società civile robusta.

Laddove gli attivisti romeni non hanno competenze e mezzi a sufficienza, i colleghi dall’Europa occidentale potrebbero aiutarli, con una strategia che venga adattata al contesto locale.

Il ponte che dobbiamo costruire fra Est e Ovest poggia su fondamenta diverse collocate ai lati opposti di un fiume, e a reggerlo deve essere una struttura eccezionale, che sia in grado di unire i due versanti.

Kinga Korondi è una giornalista freelance di Târgu Mureș e si occupa di questioni sociali e ambientali


L’estrema destra cannibalizza il verde

(Foto dal profilo Twitter di Giorgia Meloni)

«Sappiamo che ai giovani sta particolarmente a cuore la difesa dell’ambiente naturale. Ce ne faremo carico. Perché, come ebbe a scrivere Roger Scruton, uno dei grandi maestri del pensiero conservatore europeo, "l’ecologia è l’esempio più vivo dell’alleanza tra chi c’è, chi c’è stato, e chi verrà dopo di noi”» (Giorgia Meloni)

ROMA - Nel suo primo intervento da premier davanti al parlamento, Giorgia Meloni si è mostrata consapevole che l’istanza climatica non può essere ignorata.

Ma quando evoca ideologi di destra come Roger Scruton la leader sta di fatto manipolando quell’istanza per poi proporre misure tutt’altro che ambientaliste.

Il suo partito ha osteggiato il Green Deal europeo e ha etichettato in modo spregiativo gli attivisti per il clima come “gretini”, una crasi tra “Greta Thunberg” e “cretini”.

Ora che Fratelli d’Italia è alla guida del governo, Meloni sta utilizzando l’apparato ideologico dell’”ecologismo” di destra per sostenere l’idea – come la chiama lei – “della natura con l’uomo dentro”.

Significa di fatto che la premier difende il diritto delle imprese di inquinare in nome della produttività.

Francesca De Benedetti, redazione Europa ed Esteri di Domani


(Versione in inglese e portale comune qui; traduzione in italiano di Simone Caffari)

© Riproduzione riservata