Se non può prendersi il governo di Spagna, che almeno vada a prendersi Vox in un sol boccone. Il Partido Popular ha investito il suo leader Alberto Núñez Feijóo della sua nuova missione: logorare i «patrioti» già provati dalla débacle elettorale, e quando ormai il cadavere del partito di estrema destra giace a terra inanimato, soffiargli gli elettori. La missione sarà anche nuova; nuovo non è, invece, il tormentone.

Già visto in Francia, già visto in Italia e in Ue: più le destre si somigliano fra loro, più svanisce il cordone sanitario e si viene a patti per la presa del potere, più tutto questo si traduce in una serrata competizione interna. Non riguarda tanto i contenuti politici, quanto chi deve guidare i processi. Ecco perché più le destre finiscono per somigliarsi, più è difficile sulla carta fonderle.

Il caso esemplare porta il volto di due italiani, Giorgia Meloni e Matteo Salvini: da una parte lui, il leader della Lega, che professa l’unione delle destre, dall’altra lei che le spacca per poi tentare di egemonizzarle. «Union des droites»: l’unione delle destre, questo è anche lo slogan senza tempo di Marion Maréchal; la stessa che però ha attivamente spaccato il fronte, contrapponendo la sua creatura politica, Éric Zemmour, a sua zia, Marine Le Pen.

La mutazione spagnola

Come mai proprio Feijóo, il leader popolare dell’avvicinamento a Vox, deve mangiarselo? Il punto è proprio che tra le amministrative di maggio e le generali di domenica scorsa il Partido Popular ha collaudato patti con l’estrema destra, e ne ha introiettato il discorso politico; stile, temi. Quando la competizione non è sui contenuti, è sul potere. Il leader popolare, pur avendo più voti dei socialisti, diversamente da Sánchez ha meno margini per formare un governo.

«Oggi il Pp ha due opzioni. O prova a ricalibrarsi verso il centro, un po’ come è successo nel 2009 con Rajoy; oppure rivendica senza nessun pudore gli accordi già conclusi con Vox e ne compra il discorso, con l’intenzione di divorarlo», dice Steven Forti, autore di Extrema derecha 2.0.

Finora il partito aveva oscillato verso la seconda opzione, e la impossibilità per Feijóo di formare un governo dà ancora più peso all’ala più destra del partito. La governatrice madrilena Isabel Díaz Ayuso – la stessa che ha rubato gli applausi e il tifo da stadio a Feijóo la notte delle elezioni – per ora ha pubblicamente deposto le armi, ma se l’attuale leader non esibisce i muscoli, rischia l’ammutinamento. Dunque c’è da scommettere che asseconderà i quadri del Pp, ora che lo strattonano perché si impadronisca di tutto il campo a destra, elettori di Vox compresi.

Chi mangia chi

Più che unirsi, impadronirsi, quindi. È in sintesi la dinamica che si sta producendo in Europa da almeno un paio d’anni. Nel 2021 l’ipotesi di unione tra conservatori e sovranisti è fallita, sotto il peso del boicottaggio di Giorgia Meloni. Non vuol dire che i popolari non abbiano del tutto tagliato il cordone sanitario, anzi. Dal 2022 sono partite alleanze con le destre estreme sia a livello Ue che ai livelli nazionali.

Ma la mancata fusione tra destre estreme ha consentito a Manfred Weber di essere lui – con Meloni vassalla – a governare i processi. Ora che Fratelli d’Italia è al governo, e gli equilibri con la Lega sono a parti invertire rispetto al 2021 dell’unione mancata, ancora una volta Salvini invoca invano un’alleanza tra destre; ma i meloniani faranno con la Lega ciò che Weber ha fatto con Meloni. Da cooptati della prima ora, coopteranno a loro volta: per dirla col capogruppo dei conservatori Nicola Procaccini, la Lega resti tra i sovranisti e svolga una «preziosa funzione di mediazione» con l’ala più a destra.

Matteo Salvini aveva previsto la tendenza attuale, due anni fa: sosteneva che senza un elisir elettorale delle destre estreme, i popolari – la destra moderata – sarebbero appassiti elettoralmente. Ma questa previsione non ha portato le destre a fondersi; al contrario, ha stimolato la competizione interna. Tutte le formazioni di destra si dirigono verso gli estremi, ma ognuna vuol essere pilota.

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