Ursula von der Leyen si è accorta che «i prezzi dell’energia alle stelle mettono in evidenza i limiti del nostro mercato» e ora lavora a «un intervento d’emergenza». In realtà l’«emergenza» è tutt’altro che nuova, e l’inazione di Bruxelles si è protratta a lungo. La svolta decisionista arriva assieme al cambio della Germania, che ora pare disposta a intervenire sul funzionamento del mercato comune.

A scoppio ritardato

L’aumento dei prezzi è una tendenza in corso da ormai molte stagioni, anche se von der Leyen oggi si accorge che «tutto ciò per famiglie e aziende non è più sostenibile». Neppure il fatto che il «nostro mercato dell’elettricità ha dei limiti» è una novità: tra i governi e le famiglie politiche, c’è chi lo fa notare con insistenza da mesi.

La vera novità è politica, ed è l’apertura del governo tedesco su una nuova modulazione di prezzi e mercato; ora Bruxelles si smuove dal torpore. Lo schema è ricorrente. Con la crisi pandemica, l’Italia ha dovuto attendere che anche Berlino percepisse la gravità del problema, perché finalmente l’Ue si muovesse in modo solidale.

Con la crisi finanziaria, sono stati sperimentati tutti i limiti dell’austerità, perché poi finalmente iniziasse l’era dell’indebitamento comune. Il ritardo di von der Leyen sul mercato energetico è un mix di quei due precedenti: il fatto che finalmente la Commissione prometta di agire si può leggere come una rivincita dell’Europa meridionale su Berlino, o come una sconfitta del “libero mercato a ogni costo”.

Il dogma del mercato

Per come è concepito, «il nostro mercato dell’elettricità non è più adeguato», dice von der Leyen. «Ecco perché lavoriamo ora a un intervento d’emergenza e a una riforma strutturale di quel mercato». L’inadeguatezza attuale è dovuta al fatto che, per come il mercato funziona oggi, il prezzo del gas – anche se stratosferico – contagia quello delle altre fonti energetiche (rinnovabili incluse).

Era davvero necessario arrivare ai record attuali per percepire «l’inadeguatezza» e fare un piano? In realtà le pressioni – inascoltate – per una riforma arrivano sin dalla fine del 2021. L’Europa meridionale – Madrid, Lisbona, Roma – chiedeva di svincolare il prezzo del gas da quello di altre fonti già in autunno.

Da ottobre la sinistra all’Europarlamento propugna la riforma del mercato. «Vi ricordiamo che i prezzi dell’energia sono straordinariamente alti da prima della guerra: la Commissione deve agire», puntualizzava a maggio in un emendamento. Eppure la sordità di capitali come Berlino, oltre che di Bruxelles stessa, si è protratta finché la crisi è diventata ineludibile per troppi governi, pure quello tedesco.

Toccare prezzi e profitti

«Ci sono varie possibilità per influenzare i prezzi», riconosce adesso il vicecancelliere tedesco Robert Habeck. Finora proprio le incertezze della Germania, che temeva le ritorsioni di Mosca, avevano contribuito a frenare la proposta di Mario Draghi, che negli ultimi vertici europei ha tentato invano di far passare il tetto ai prezzi delle importazioni di gas dalla Russia. A giugno si è concluso solo di riparlarne in autunno.

Nel frattempo Mosca ha impunemente ridotto ancor di più le forniture, anche a Berlino. Fino alle promesse recenti dell’Ue, l’Europa meridionale ha dovuto in sostanza cavarsela da sola. Spagna e Portogallo, che in una certa fase hanno fatto blocco comune con Italia e Grecia, hanno ottenuto dall’Ue questa primavera l’«eccezione iberica» per tenere sotto controllo i prezzi.

Al Consiglio Ue del 9 settembre la ministra spagnola Teresa Ribera dirà di farne un modello per tutta Europa. Draghi dal canto suo ha tentato da sé una tassa sugli extraprofitti – che resta tuttora in gran parte elusa dalle aziende energetiche – e solo adesso von der Leyen si accorge che «davanti a profitti simili, non si può tenerli tutti per sé».

© Riproduzione riservata