In un minuto e trentotto secondi di video, Giorgia Meloni ha lanciato ieri il manifesto di Fratelli d’Italia per l’ambiente, partendo dalle idee di Roger Scruton, filosofo d’area per la materia. «L’ecologia è la quintessenza della causa conservatrice, dell’alleanza tra i morti, i vivi e i non ancora nati», ha detto la leader FdI. Segno che la discussione sta entrando nel vivo. 

L’energia sarà il tema decisivo delle elezioni. È qui che si aggancia la questione ambientale, visto che i consumi energetici sono la prima causa della crisi climatica e la loro sostenibilità è l’unico modo per evitarne gli effetti peggiori. Siccità e caldo di questa estate sono stati un acconto.

I programmi vanno letti con cautela, perché sono stati scritti spesso di fretta (e si vede), servono più a posizionarsi che a prepararsi a governare e soprattutto contengono fotografie del presente ma poca visione del futuro. È un metodo che va bene per i problemi dell’energia (da risolvere oggi) ma non per quelli del clima (che si misurano in scale trentennali). Da sinistra verso destra, è il problema della politica italiana: la fatica a vedere il clima e l’energia come un solo tema.

Destra

Nel video Meloni si dedica al «bene naturale per eccellenza», l’acqua. Propone la rete di invasi per la raccolta di quella piovana, invocata da tutti gli esperti, la manutenzione della rete idrica (l’equivalente ecologico di combattere l’evasione fiscale, promessa trasversale e mai attuata, il punto non è se farlo, ma come farlo) e investimenti in desalinizzazione dell’acqua marina.

Quest’ultima tecnologia servirà a poco per la crisi idrica su scala nazionale, perché è costosa ed energivora. Per il resto, la sezione energia e ambiente del programma di coalizione è – per usare un eufemismo – scarna, con una serie di titoli sui quali difficilmente si può obiettare: «transizione energetica sostenibile», «nuove riserve naturali», «educazione al rispetto della fauna e della flora» e così via.

Si parla di nuovi pozzi di gas, strada che ci metterebbe fuori da ogni raccomandazione scientifica e dall’accordo di Parigi. C’è un richiamo al «nucleare pulito e sicuro», ma nel programma ufficiale della coalizione non c’è un numero a sostegno.

Qualche dettaglio in quello della Lega, che invoca neutralità tecnologica e sviluppo dei biocarburanti. Sarebbe un conflitto con la politica europea dell’auto elettrica senza eccezioni dal 2035. La Lega propone un terzo rigassificatore oltre ai due già previsti, nuovi gasdotti con l’Africa e il Mediterraneo orientale e un piano per l’idrogeno blu, quello prodotto da gas. Insomma, a fronte del richiamo propagandistico al nucleare (ma si parla solo di scambi di know how, incoraggiare il dibattito, ricerca, non di reattori), l’Italia di Salvini è alimentata pienamente a gas per tutti i decenni che – secondo gli accordi internazionali che loro stessi citano – dovrebbero invece portarci alle zero emissioni.

Azione – Italia viva

Il terzo polo dedica cinque pagine al tema e ogni affermazione è supportata da dati e costi (caso raro in questa campagna elettorale). Dal punto di vista energetico, il programma è sovrapponibile a quello del centrodestra: gas per il presente, rinnovabili nel medio periodo, nucleare come vaga soluzione per il futuro.

Sul gas, a differenza della destra, Matteo Renzi e Carlo Calenda non propongono nuovi pozzi ma solo la riattivazione di quelli esistenti. Sul nucleare, colpisce la cautela: non c’è traccia delle affermazioni più spericolate di Calenda, come i trenta reattori in trent’anni. È anche l’unica coalizione a temere un sovra-sviluppo delle rinnovabili, con uno scenario in cui arriviamo a 140 GW invece che 70 GW entro il 2030.

È il programma energetico più tecno-ottimista e include la cattura e stoccaggio della CO2 per le emissioni della produzione di gas, una tecnologia che a oggi su scala esiste solo sulla carta. Sulla crisi idrica è l’unico programma ad avere il coraggio di proporre un (necessario) aumento delle tariffe, tra le più basse d’Europa. Sull’economia circolare, c’è la proposta di ampliare il modello pay as you throw, per bilanciare la Tari sui rifiuti reali.

Insomma, sarebbe anche un programma serio, se non esistesse la crisi climatica (che purtroppo c’è, anche se Renzi e Calenda la menzionano solo due volte, parlando di altro, in 52 pagine).

Movimento 5 stelle

Nonostante potesse essere una delle basi del loro rilancio, sul programma ambiente di Giuseppe Conte c’è poco da dire perché c’è poco nel programma: idee scarne, espresse solo per un elenco di titoli (no trivellazioni, no inceneritori) e un solo numero, che per altro non è niente di più che uno slogan, quello della «società a 2.000 watt».

Il M5s rilancia il superbonus, senza correggerne il suo principale problema climatico (tralasciando gli altri): il non puntare esclusivamente sull’elettrificazione del riscaldamento. Conte propone un altro superbonus per l’energia, ma ci vorrebbero più dettagli di quelli che ci sono per valutarlo. C’è anche una novecentesca «promozione del vuoto a rendere» tra i tre pilastri per l’economia circolare, insieme all’economia rigenerativa (altro slogan senza ulteriori informazioni) e al «no a tecnologie obsolete» (difficile per altro immaginare qualcuno a favore).

Partito democratico

Il lungo programma del Pd è articolato per tre pilastri con cui immaginare l’Italia del 2027 e il primo è «sviluppo sostenibile e transizioni ecologiche e digitali». Ci sono un richiamo alle politiche europee di riduzione delle emissioni e un’aspirazionale menzione della ricca riforma climatica di Joe Biden.

Enrico Letta chiude la porta al nucleare, accetta i rigassificatori «a condizione che siano soluzioni ponte» e propone un Fondo compensativo anti nimby per convincere i territori ad accettare infrastrutture sgradite, alimentato dalle imprese che operano sugli stessi territori.

La chiave del programma è l’ecologia come motore di sviluppo, anche qui nel solco del presidente americano, col mezzo milione di posti di lavoro creati dalle rinnovabili o 130mila punti di ricarica per le auto elettriche.

Ci sono tanti abbozzi di idee non sviluppate, molto simili a slogan, vaghezza frutto della scarsa elaborazione sul clima che c’è stata nel partito in questi anni: «riforma fiscale verde», «porti verdi», «forum nazionale per il lavoro e il clima» e così via.

Alleanza Verdi e sinistra

Come prevedibile, un quarto del programma della lista creata da Europa verde e Sinistra italiana (a cui ha aderito Possibile) è dedicato al clima. È il più ambizioso dal punto di vista ambientale, propone addirittura di anticipare i tempi della transizione: riduzione del 70 per cento delle emissioni al 2030 (invece del 55 europeo) e azzeramento al 2045 invece che al 2050 (irrealistico ma non irreale, la Finlandia programma di arrivare a zero al 2035).

Rispetto agli altri programmi, c’è un forte richiamo al contesto internazionale e alle Cop, le conferenze delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici. È l’unico dal quale si capisce che l’azione climatica non ha senso in bolle nazionali isolate ma è uno sforzo globale.

Tra gli obiettivi ragionevoli c’è l'istituzione di una legge sul clima (siamo tra i pochi paesi europei a non averne una) e l’attuazione del Piano di adattamento ai cambiamenti climatici, fermo in un cassetto da cinque anni. Più drastica (anche se è un impegno preso al G7) l’idea di azzerare i sussidi ambientalmente dannosi in tre anni (il Pd propone di ridurli).

Temibile infine l’idea di accorpare il ministero della Transizione ecologica con sviluppo economico e infrastrutture: già la formula del Mite sotto il governo Draghi ha operativamente funzionato molto male.

Unione popolare

La lista guidata da Luigi de Magistris propone addirittura di nazionalizzare il settore energetico, per portare tutto il sistema sotto il controllo pubblico: è il primo e il più acrobatico dei tanti punti dedicati ad ambiente e clima. Oltre alla socializzazione dei mezzi di produzione energetica però ci sono anche idee che in Italia sembrano più radicali che altrove, come un abbonamento unico nazionale ai trasporti pubblici (già sperimentato in varie formule in Spagna o Germania), lo stop ai jet privati (in Francia se ne discute concretamente) e ai voli sulle tratte coperte collegamenti ferroviari. 

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