A fine marzo, il governo spagnolo ha approvato un real decreto per la riparazione morale e familiare delle vittime della guerra civile e della dittatura franchista. Ha destinato 665mila euro per i lavori di esumazione e identificazione delle vittime per lo più repubblicane, sepolte nel Valle de los Caídos.

Si comincerà con l’esumazione di 62 corpi di vittime reclamati dalle famiglie. L’avvio dei lavori dovrebbe avvenire a fine estate: nel mese di giugno il comune di San Lorenzo de El Escorial, cui appartiene la Valle de Cuelgamuros, ha finalmente approvato la licenza per le opere necessarie all’intervento nella basilica. Nel Valle de los Caídos ci sono i resti di quasi 34mila persone che negli anni Sessanta, per gran parte all’insaputa dei familiari, furono trasferiti dalle fosse comuni delle diverse province spagnole e ritumulati nelle cappelle della basilica.

Il mausoleo del franchismo

Ci sono voluti quasi venti anni per costruire il monumento voluto dal dittatore Francisco Franco in memoria dei “Caduti per Dio e per la Spagna 1936-1939”. Il complesso del Valle de los Caídos, che si eleva sulla Valle de Cuelgamuros, di proprietà del Patrimonio nazionale, è pieno di simboli precostituzionali, l’aquila di San Giovanni campeggia in ogni dove. La croce in pietra che s’innalza sulla basilica scavata nella roccia, è alta 150 metri e ha braccia che misurano 24 metri ciascuna. Fino al 2019, all’interno della basilica, davanti all’altare maggiore, si trovava la tomba di Franco.

Dopo la sua esumazione rimane ancora sepolto nel Valle, sul lato opposto dell’altare, José Antonio Primo de Rivera, il fondatore della Falange spagnola. La basilica cattolica, affidata all’ordine dei benedettini, è considerata la fossa comune più grande della Spagna per i quasi 34mila cadaveri sepolti, 12mila dei quali senza identificazione, trafugati da altri cimiteri spagnoli. I lavori per la costruzione del Valle iniziarono nel 1940, la sua inaugurazione avvenne nel 1959. Il monumento fu costruito utilizzando soprattutto prigionieri politici del regime, ben tre imprese di costruzioni vi fecero ricorso.

Lo scorso maggio una squadra di archeologi del Consejo superior de investigaciones científicas ha iniziato i lavori di escavazione in una parte del territorio attorno al monumento, per far venire alla luce i resti delle abitazioni delle famiglie di quanti lavorarono alla sua edificazione. Si trattava di baracche di non più di nove metri quadrati, senz’acqua né elettricità, abitate dalle compagne degli operai che, con i loro figli, si erano trasferite lì a vivere. Lo studio si è concentrato su 15 case, dove sono stati rinvenuti reperti dell’epoca, utensili di vita quotidiana, giochi per bambini e, in generale, il segno di una importante presenza femminile.

Le tombe trafugate

Con il permesso rilasciato dal comune di San Lorenzo de El Escorial, 62 famiglie aspettano di far uscire dal Valle i resti dei propri cari e riportarli a casa. Da anni lottano per questo, ma non sono convinti che avverrà in tempi brevi. «L’autorizzazione a iniziare i lavori è un passo in più in questa lotta che nel mio caso dura da 13 anni, speriamo che si proceda», dice Joan Pinyol, scrittore e professore di scuola secondaria. Suo nonno, Joan Colom Solé, è nella lista delle prime vittime i cui resti verranno esumati. «Speriamo che non si tratti solo di buone intenzioni da parte del governo, ma che si possa accedere ai corpi, identificarli e restituirli alle famiglie. Quello di mio nonno, tra le 62 esumazioni autorizzate, è l’unico che si trova nella Cappella del Pilar». Nella Cappella del Santo Sepolcro sono sepolti i fratelli Manuel e Antonio Ramiro Lapeña, militanti del sindacato anarchico Confederación Nacional del Trabajo, assassinati dai franchisti nel 1936; per i loro corpi si ebbero le prime autorizzazioni all’esumazione. Nella Cappella del Santissimo ci sono i resti del soldato repubblicano valenciano Ángel Fernández Moya, sua sorella ha dovuto aspettare venti anni per essere autorizzata a esumarne il corpo.

«Il processo di trasferimento dei corpi dei repubblicani durante la dittatura si fece all’insaputa delle loro famiglie. Ma lo fecero registrando tutti i movimenti dell’operazione: nel caso di mio nonno, il 21 luglio del 1965 fu trasferito da Lleida con altri 501 corpi e, in un primo tempo, furono inumati nella Cappella del Santissimo», dice Pinyol. «Poi, per colpa delle infiltrazioni d’acqua piovana, nel 1990, col governo di Felipe González, lo tolsero da lì senza avvisarci e lo seppellirono in una cassa nuova nella Cappella del Pilar. Tutti i 502 corpi che arrivarono da Lleida furono ritumulati nella Cappella del Pilar in casse nuove. Perciò ora si tratta di identificarli tutti e contrastare i resti con i nostri campioni di dna per localizzare il cadavere di mio nonno». Era «un uomo di pace, aveva 40 anni, tre figli piccoli e una moglie. Nell’ottobre del 1938, quando la guerra civile era quasi conclusa, lo chiamarono non per andare al fronte, ma nella retroguardia a vigilare i campi di aviazione della Repubblica. Quando entrarono i Nacionales e occuparono Barcellona, fu fatto prigioniero e lo portarono a Lleida.

Lì c’era un campo di prigionia in condizioni igieniche disastrose, senz’acqua e al freddo. Mio nonno vi arrivò nel febbraio del 1939 e vi morì nel giro di un mese, malato di tifo. Mia nonna cominciò già allora la mia lotta: cercò di portare il corpo di suo marito al paese, Capellades; ma non le fu possibile. È morta con la convinzione che suo marito fosse sepolto a Lleida, lei morì nel 1977 e io scoprii che lo avevano trasferito solo nel 2008». Pinyol venne a sapere del trasferimento del corpo del nonno «per caso. La rivista di storia Sàpiens aveva pubblicato l’elenco di quelli che Franco aveva trasferito dalle fosse comuni al Valle e lo lessi per vedere se c’era qualcuno del mio paese».

Pinyol ha scritto un libro su questa storia, Avi, et trauré d’aquí!, “Nonno, ti tirerò fuori di qui!”. «Quando scoprì dov’era finito mio nonno, mi proposi tre obiettivi: toglierne il corpo dal Valle, ricostruirne la storia e farla conoscere; da Lleida trafugarono 502 corpi e c’erano altrettante famiglie coinvolte», la sua è la storia di tanti che hanno scoperto per caso la verità o vivono ancora nell’ignoranza. «Ho presentato il libro in 46 occasioni finora, in Catalogna, a Valencia, nelle Baleari, e in quattro università Usa».

Nelle presentazioni, la reazione del pubblico è di sorpresa e indignazione. «Se sono territori che furono molto coinvolti nella guerra, come l’Ebre o il Segre, allora la reazione è forte. Ho anche incontrato altri discendenti di repubblicani portati al Valle con cui sono rimasto in contatto». Nell’ottobre 2019, il cadavere di Franco viene portato via dal Valle e quindi ritumulato nel cimitero di Mingorrubio – El Pardo. «Con l’esumazione di Franco, mio nonno è stato liberato di una cattiva compagnia», dice lo scrittore catalano. «Ma ho sempre sostenuto che i primi a uscire sarebbero dovuti essere quelli che furono portati lì, trafugati dalle loro tombe. Mio nonno continua a stare in un mausoleo franchista, con il fondatore della Falange sepolto sotto l’altare maggiore».

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