Coesione, desideri, luoghi e persone… Un dizionario molto speciale per ricordarci che le politiche di coesione appartengono a tutti, e che il loro spirito va salvaguardato. L’approfondimento conclusivo di #CoesioneItalia, il progetto realizzato con Fondazione Basso e Forum Disuguaglianze e Diversità
Con il 2024 si chiude il ciclo del progetto #CoesioneItalia. Assieme alla Fondazione Basso e al Forum Disuguaglianze e Diversità, abbiamo viaggiato in lungo e in largo per l’Italia, sulle tracce dei fondi di coesione e del loro impatto sui territori.
Ogni viaggio ci trasforma: questo viaggio ci consegna alcune parole chiave da non dimenticare, e la consapevolezza che la coesione è un patrimonio collettivo di tutti noi europei.
Coesione
Cos’è la coesione? «L’adattamento reciproco e la compattezza fra cittadini e cittadine dell’Unione europea, della quale è uno dei princìpi fondanti»: questa è la definizione sintetica data da Barca e De Luca.
Ma si può anche risalire ai trattati. La coesione è infatti un diritto di noi europei ed è tutelata dalle fonti primarie dell’ordinamento europeo. Il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) pone le basi legali per la politica di coesione agli articoli che vanno dal 174 al 178.
L’articolo 174 dispone che: «Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite. Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna».
Il Fondo europeo di sviluppo regionale, che è uno dei principali strumenti finanziari della politica di coesione, occupa l’articolo 176: «Il Fondo europeo di sviluppo regionale è destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell'Unione, partecipando allo sviluppo e all'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonché alla riconversione delle regioni industriali in declino».
Desideri
La coesione è un diritto quindi. Ma ha anche a che fare coi desideri: «desiderio» è la parola emersa con più costanza nei nostri incontri sui territori. La politica di coesione libera le aspirazioni, facilita la esigibilità dei diritti, fa emergere le capacità, i talenti e le possibilità di una comunità e degli individui che la compongono.
Un esempio? Sarebbe riduttivo dire che i fondi di coesione hanno permesso a casa Fiorinda, a Napoli, di dare rifugio a donne vittime di violenza. Un progetto così complesso – che mette in gioco la professionalità e l’umanità di psicologhe e mediatrici culturali, e che arriva a coinvolgere le imprese del territorio per orientare al lavoro – non offre solo sicurezza, non gioca solo in difesa. Guarda al futuro: una casa e un futuro propri, la possibilità di emancipazione economica e professionale delle ospiti.
Il momento chiave di casa Fiorinda è quello in cui dal rifugio si esce.
Una bella metafora anche per le politiche di coesione: funzionano quando emancipano, o per usare le parole dell’ex ministro alla Coesione Fabrizio Barca, svolgono il loro compito quando «cambiano la vita delle persone tirandole fuori dalla trappola del sottosviluppo con un salto definitivo».
Una buona politica di coesione non è quella che aumenta le dipendenze, ma che promuove le libertà. Ad esempio è pensata sui territori non per convincere chi li abita a non scappare da lì, ma per dar loro una piena libertà di scegliere se restare o partire. Solo condizioni eque rendono una scelta davvero libera.
Addizionalità
Le risorse europee non devono sostituire lo stato membro dell’Unione nel suo compito di garantire l’esigibilità dei nostri diritti: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese», come recita la nostra Costituzione; «I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi», per fare un altro esempio. Il diritto alla salute e all’istruzione pubbliche deve essere esigibile a prescindere dall’iniezione di fondi europei. Qual è allora il compito specifico delle politiche di coesione?
Quello di aggiungersi e di corroborare. È il principio di addizionalità: citando quanto Fabrizio Barca e Sabina De Luca scrivono nel volume Quale Europa, «l’addizionalità è un principio fondante. Richiede in primo luogo di assicurare che le risorse comunitarie non sostituiscano quelle nazionali per alleggerire il bilancio, ma che si aggiungano a esse (“addizionalità finanziaria”). C’è inoltre la “addizionalità strategica”; le risorse che finanziano politica di coesione e Next Generation EU, il debito a carico delle generazioni future, si giustificano solo se agiscono come leva per innescare cambiamenti permanenti, che spostano la traiettoria dell’azione pubblica. Realizzare investimenti pubblici straordinari non basta, se le politiche nazionali ordinarie restano immutate». Non solo le risorse europee non devono sostituirsi a quelle nazionali (addizionalità finanziaria), ma devono produrre cambiamenti virtuosi dei quali anche le politiche nazionali possano beneficiare nel medio e lungo periodo (addizionalità strategica).
Integrazione
La capacità dell’Unione europea di implementare le politiche di coesione è costitutivamente legata alla sua capacità di integrare ulteriori stati membri. Secondo i dati forniti a Domani dalla Commissione europea, in vent’anni il Pil medio pro capite degli stati membri entrati nel 2004 è aumentato dal 52 per cento a circa l’80 per cento della media dell’Ue: il divario rispetto al resto dell’Unione è stato dimezzato. Il tasso di disoccupazione in questi stati membri è diminuito da una media del 13 per cento al 4.
La Polonia, che prima del 2004 non era membro dell’Unione, è attualmente il principale beneficiario dei fondi di coesione.
L’ingresso di nuovi paesi – che è di estrema attualità dato che l’aggressione russa dell’Ucraina ha dato una spinta propulsiva all’allargamento – può implicare una riduzione delle risorse a vantaggio dei grandi beneficiari attuali, come è successo durante il ciclo di allargamento del 2004, a meno che l’ammontare di risorse aumenti assieme all’aumentare degli stati membri. In passato le percentuali per i grandi beneficiari come Italia e Spagna sono calate più dei fondi in sé perché sono aumentate le risorse a disposizione.
Luoghi e persone
Le politiche di coesione non possono essere concepite, né realizzate, in assenza dei protagonisti: i luoghi e le persone. Una politica attenta a luoghi e persone, o «sensibile alle persone nei luoghi», è anche detta in gergo tecnico «politica place-based». Questo linguaggio è diventato parte integrante del patrimonio collettivo dell’Unione nel 2009, con la pubblicazione di “An Agenda for a Reformed Cohesion Policy: A Place-based Approach to Meeting European Union Challenges and Expectations” (Un’agenda per una politica di coesione riformata: un approccio attento ai luoghi per rispondere alle sfide e alle aspettative dell’Unione) scritta da Fabrizio Barca e commissionata da Danuta Hübner (all’epoca commissaria Ue per le Politiche regionali).
Bruxelles non può mai ignorare governi ed enti locali: il dialogo costante coi territori è tutelato nelle fonti primarie del diritto europeo. Vale la pena ricordare ad esempio che – proprio come la coesione – il principio di sussidiarietà è incardinato nell’ordinamento Ue. Leggendo l’articolo 5 del Trattato sull’Unione europea, troviamo che «in virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione».
L’Agenda pubblicata 15 anni fa mette al centro una politica pubblica attenta alle persone nei luoghi, praticando il superamento di approcci esclusivamente top down (cioè calati dall’alto di Bruxelles ignorando desideri e impatti sulle comunità locali) o esclusivamente bottom up (cioè che non dialogano con gli obiettivi comuni europei né vengono adeguatamente supportati).
Controllo collettivo
Il dialogo costante tra il livello europeo e quello territoriale richiede e implica anche il monitoraggio, un’altra parola chiave delle politiche di Coesione, che ne sottintende una più profonda: democrazia, ovvero controllo collettivo sulle politiche di coesione. Nessuna transizione – né quella ecologica, né digitale – può avvenire senza un profondo ancoraggio democratico delle politiche pubbliche europee.
La ragione è esplicitata da Fabrizio Barca stesso nell’intervista su Domani: «I fondi possono essere usati in due modi opposti, ed è per questo che il monitoraggio è cruciale: uno è distribuire rendite per acquietare momentaneamente; l’altro è cambiare la vita delle persone, tirarle fuori dalla trappola del sottosviluppo con un salto definitivo. Una qualità di monitoraggio bassa implica un deficit di controllo collettivo».
Sotto l’egida della “flessibilità”, si è attinto ai fondi di coesione per tutte le gravi crisi ed emergenze: per la pandemia, per l’accoglienza dei rifugiati ucraini, per attutire l’impatto dei disastri climatici. Ma le politiche di coesione non sono, né devono diventare, un semplice cerotto sulla ferita, un contentino; in quanto politiche pubbliche, hanno anzitutto la funzione di prevenire – non di tamponare – le sperequazioni e i disastri, promuovendo le aspirazioni di tutti gli europei.
Questo contenuto giornalistico fa parte del progetto “#CoesioneItalia. L’Europa vicina”, che è finanziato dall’Unione europea. I punti di vista e le opinioni espresse sono tuttavia esclusivamente quelli dell’autore e non riflettono necessariamente quelli dell’Ue. Né l’Ue né l’autorità che eroga il finanziamento possono essere ritenute responsabili per tali opinioni.
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