«Sarà lei la presidente dell’Europarlamento. Sarà la più giovane, finalmente una donna», dice Manfred Weber, leader dei popolari europei, nell’annunciare che il suo gruppo ha scelto di puntare sulla maltese Roberta Metsola, vicepresidente d’aula. «Ho un mandato forte», gli fa eco lei. Mentre il governo della Germania slitta verso sinistra, l’Europarlamento cerca il suo assetto. A gennaio, con le elezioni di metà mandato, gli eurodeputati rinnovano presidente, vice e commissioni. E i popolari, il centrodestra d’Europa, nonostante la débacle tedesca, puntano ad avere la loro presidente.

La posizione di Sassoli

L’alternanza di metà mandato, e il passaggio di presidenza da socialdemocratici (S&D) a popolari (Ppe), non è digeribile per l’attuale presidente dell’Europarlamento, David Sassoli; a luglio del 2020, il Ppe si è preso anche la presidenza dell’Eurogruppo, con Paschal Donohoe, e secondo il gruppo S&D una presidenza popolare sarebbe a questo punto uno squilibrio, tanto più che il nuovo governo tedesco è orientato in senso progressista. Ma c’è un motivo per cui Sassoli finora ha detto che è «a disposizione», senza ufficializzare però la candidatura. Senza una convergenza solida sul suo nome, non solo dei socialisti che già l’hanno accordata, ma di altri gruppi che lo votino, è improbabile che Sassoli rischi la sconfitta.

Alleati naturali sarebbero i Verdi, stando al modello Berlino, ma neanche il loro sostegno è scontato, anzi. Ska Keller, presidente del gruppo, insiste sulla questione della rappresentanza: in sostanza, i green vogliono una donna. Caratteristica che ha Metsola.

A questo punto l’ago della bilancia, come di frequente, sono i liberali. Sassoli oggi ha incontrato Stéphane Séjourné, leader di Renew in Europa. Ma i popolari stanno già lavorando a un accordo: Metsola vuole partire da loro, «dai gruppi europeisti che erano nello scorso patto del 2019», e Weber battezza il dialogo per un patto coi liberali. Anche per il ruolo dei liberali, nel 2017 Tajani, popolare, ha vinto sul socialista Pittella.

Se non ci sono abbastanza forze a convergere sulla candidatura socialista è plausibile che Sassoli non si bruci con il voto. Del resto in molti, nei corridoi dell’Europarlamento, e da ogni spicchio dell’asse politico, sono abbastanza convinti che alla fine il dialogo tra i gruppi porterà a una convergenza su una figura comune.

Spostamenti a destra

La scelta dei popolari di andare avanti con un proprio candidato, diverso dal fronte progressista, è un’opportunità per le forze più a destra, che si offrono come stampella a un Ppe, e a una Cdu, fiaccati dalla sconfitta in Germania. Metsola dice di voler partire dal dialogo con i gruppi europeisti, ed è questa la risposta che dà alla domanda se con la Lega sia possibile un accordo.

Interloquire, per lei e per i popolari, è più plausibile con una fetta di conservatori (Ecr). Lunedì il gruppo Ecr ha deciso che presenterà una sua candidata, o candidato, da individuare a breve. Scegliere un nome di bandiera è normale, ciò che non lo è è che la delegazione polacca, il Pis, si sia opposta a questa scelta. Questa posizione si lega agli sforzi del partito ultraconservatore al governo a Varsavia di cooperare coi sovranisti, Lega inclusa. Mossa su cui invece Fratelli d’Italia frena. «Si può sempre dialogare sui temi, ma escludo altro», e cioè un nuovo gruppo o alleanza, dice Raffaele Fitto, meloniano d’Europa oltre che copresidente del gruppo conservatore. «Non riteniamo che ci sia esigenza, in questa fase, in pochi giorni, senza chiarezza».

Se davvero il Pis dovesse abbandonare i conservatori per abbracciare i sovranisti, cosa che Fratelli non osa auspicare, si aprirebbe però la possibilità di interloquire coi popolari. Nello scontro Tajani-Pittella, il primo l’ha spuntata anche grazie ai voti conservatori. Metsola ha rapporti stretti con Fratelli d’Italia, mentre c’è incompatibilità reciproca coi polacchi di Pis. Un Ecr a ranghi ridotti per paradosso avrebbe più margine negoziale; non solo per posti chiave, ma per consolidare l’accreditamento internazionale di Meloni, già presidente del Partito conservatore.

La Lega vuole rifarsi il look internazionale, non a caso Marco Zanni, leghista e presidente di Id (sovranisti), sta per volare a Washington. Lui all’alleanza crede ancora, almeno con chi la vuole; anche se ammette che «non è detto ci si arrivi entro il midterm», e intanto partecipa alle interlocuzioni sul midterm sperando «che il cordone sanitario cada». L’appuntamento a Varsavia il 4 dicembre chiarirà i tempi, ma le chance che siano brevi sono ridotte.

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