A Marsiglia è in corso l’ottantesimo congresso del partito socialista francese. Pochi lo considerano, alcuni lo deridono. E non perché sia morta la sinistra in Francia, ma perché è il partito socialista a essersi condannato all’ininfluenza. Questo è il congresso dell’estinzione; o se si vuole muoversi con le pinze da politologi, questo è il momento della crisi identitaria. Dice a Domani il direttore di ricerca di Ipsos France, Mathieu Gallard, che «il partito non rappresenta più granché». È «incapace di specificità». «La France Insoumise sa cosa vuole, e la gente sa perché votarla. Coi socialisti non è così».

Per farla breve, il PS si è fatto mangiare da Jean-Luc Mélenchon. E il paradosso è che – nonostante questo punto scateni le più veementi divisioni interne – proprio di Mélenchon non può più fare a meno se vuole garantirsi di sopravvivere.

Lo scontro interno

«L’unica elezione che un socialista possa dire di aver vinto si è comunque trasformata in un dramma», ironizzano i conduttori tv francesi. Il riferimento è alla competizione per la leadership del partito: a contendersi lo scettro erano il segretario uscente, Olivier Faure, e il principale avversario Nicolas Mayer-Rossignol, sindaco di Rouen.

Faure è il socialista che si è fatto carico di siglare, prima delle legislative di giugno, l’accordo che ha dato vita alla Nupes, l’unione popolare di sinistra ecologista della quale fanno parte anche la France Insoumise – da azionista chiave – e gli ecologisti. Mayer-Rossignol è l’avversario che contesta Faure e questa sua scelta; non osa dire no alla Nupes: dice «oui mais», si ma. Entrambi i contendenti hanno tentato di attirare a sé il sostegno dei militanti con lettere d’impegno che cominciano così: «Chères camarades, chers camarades».

Cari compagni: proprio questa parola, «camarades», dovrebbe evocare un linguaggio comune vivo. Ma sta diventando un idioma parlato e compreso da una comunità sempre più ristretta e destinata a estinguersi: la leadership socialista non riesce più a farsi capire dagli elettori e non s’intende neppure da sola.

Marsiglia e la «tristezza»

A dimostrazione della tendenza tafazzista, i socialisti arrivano a Marsiglia con l’eco delle rimostranze di Mayer-Rossignol nelle orecchie. Nonostante domenica scorsa sia stata decretata la vittoria di Faure, il suo contendente ha contestato l’esito. «Non riconoscerò la sconfitta senza che l’apposita commissione analizzi il tutto», ha tuonato Mayer-Rossignol aizzando i suoi contro il segretario e minacciando di infrangere l’unità del già malmesso partito. «Impossibile riconoscere un risultato simile!», gli sono andati dietro i suoi sodali, come Nicolas Rouly.

Ha provato a chiudere tra due parentesi la guerra fratricida Martine Aubry, la sindaca di Lille, figlia di Jacques Delors, che è stata la prima segretaria donna del partito. «Va bene, ci sarà anche stato qualche problema, ma limitato», ha chiosato: basta polemiche, «questo partito non è una banda di truffatori!».

E poi si è detta pervasa da «immensa tristezza».

Un futuro disintegrato

Questo venerdì i socialisti sono confluiti a Marsiglia, e qui resteranno per tutto il weekend, con l’obiettivo dichiarato di uscirne riuniti e con il sospetto tacito che Faure possa diventare un segretario commissariato.

Ma segretario di cosa, esattamente? I numeri dicono che solo 24mila militanti si sono espressi sulla leadership, e il parterre di iscritti al partito non supera i 40mila. La curva declinante comincia con la guida ondivaga di François Hollande, prosegue con l’opera di accentramento su di sé dell’ala moderata da parte di Emmanuel Macron, e deflagra due volte alle presidenziali: nel 2017 Benoît Hamon supera a mala pena il sei per cento, nel 2022 Anne Hidalgo si ferma sotto il due. Quell’1,75 per cento di voti è uno schiaffo della base, che pretende un’identità chiara e una sinistra unita.

A maggio scorso, Faure ha capito la lezione e ha stretto l’accordo con la France Insoumise, grande vincitrice a sinistra; ma parte della dirigenza non l’ha mai digerito, e dopo il voto di giugno per l’assemblea nazionale il patto è andato in fibrillazione.

Tra i socialisti c’è chi detesta l’idea di finire fagocitato da Mélenchon, ma la verità è che il partito questa fine se l’è cercata, e Gallard – dati alla mano – ricorda che «solo grazie all’alleanza a sinistra i socialisti non sono scomparsi dal parlamento: senza l’unione avrebbero eletto due, tre, cinque deputati; con la Nupes ne hanno portati in assemblea una trentina».

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