Mentre Giorgia Meloni telefonava a Javier Milei per «congratularsi e augurare buon lavoro», a un oceano di distanza dall’Argentina e dal suo nuovo presidente turboliberista, la piccola grande Olanda, paese fondatore d’Europa, si confrontava con il prototrumpiano Geert Wilders.

Tra tutte le caratteristiche chiave di queste elezioni olandesi, che si svolgono mercoledì, le fibrillazioni per i sondaggi favorevoli all’estrema destra populista e xenofoba sono forse la nota meno inedita.

Wilders era il Trump europeo prima ancora di Trump. Oggi quel che fa la differenza è che, proprio come è già avvenuto in Spagna, in Svezia o in Finlandia, il centrodestra di forgia tradizionale taglia ogni cordone sanitario.

Perché questo voto è inedito

Dopo i popolari europei, dialoganti con Giorgia Meloni, e i popolari spagnoli, pronti al patto con i postfranchisti di Vox, anche i liberalconservatori olandesi del partito di Mark Rutte si lasciano tentare dall’estrema destra di Wilders pur di non perdere il potere.

A seguito delle dimissioni di Rutte – che ora ambisce alla guida della Nato – e visto l’annuncio di elezioni anticipate, Dilan Yeşilgöz-Zegerius ha preso le redini del Volkspartij voor vrijheid en democratie (partito per libertà e democrazia, Vvd), e da candidata alla premiership ammette che «non escludiamo nessuno».

Insomma, pur di governare, per arrivare a una maggioranza si può discuterne pure con lo xenofobo e islamofobo della prima ora, Wilders.

Oltre allo smantellamento del cordone sanitario, l’altra tendenza visibile in Olanda è quella dello scontro elettorale sul clima.

Si può dire che quelle olandesi siano le prime vere elezioni climatiche d’Europa, visto che qui ha attratto attenzioni il populismo agrario di Caroline Van der Plas, con le sue crociate anti transizione ecologica. E sempre qui, in Olanda, è rientrato da Bruxelles per guidare il fronte di sinistra ecologista Frans Timmermans, l’ex commissario Ue al green deal sul quale si erano unite – per bersagliarlo – le destre estreme e non, facendone il loro bersaglio prediletto in vista delle europee di giugno.

A proposito di novità, il Nieuw sociaal contract – il Nuovo contratto sociale nato attorno alla figura di Pieter Omtzigt – è stato fondato soltanto quest’estate e c’è già chi scommette che sarà l’ago della bilancia per una futura coalizione di governo...

Non chi, ma con chi

I più arguti notano che dei sondaggi in generale non bisogna fidarsi troppo, e che Maurice de Hond in particolare ha già sbagliato previsioni in passato, sovrastimando l’impatto elettorale di Geert Wilders. Fatto sta che la settimana del voto olandese è cominciata discutendo i suoi dati, nei quali Wilders è dato in ascesa.

Parliamo di un leader politico che occupa gli scranni del parlamento olandese da un quarto di secolo, e di un partito – il Partij voor de vrijheid (Pvv) da lui fondato – che è sulla scena politica da quasi vent’anni. Prima del ciuffo istrionico di Trump, o della zazzera di Milei, c’era l’antesignano europeo del trumpismo Wilders, con le sue crociate euroscettiche e islamofobe.

Che stavolta ci abbia preso o no, il sondaggista de Hond, nel prevedere il testa a testa tra Vvd e Pvv, conta, ma non fa la vera differenza. Lo scarto – come dimostrano le elezioni spagnole e polacche – è dato dalla capacità di unione.

Da una parte, la novità è l’apertura di Yeşilgöz-Zegerius del Vvd a dialogare con Wilders; ma neppure l’apertura a Vox ha garantito ai popolari il governo in Spagna. Dall’altra parte, per Timmermans il pericolo dell’estrema destra da scongiurare può far da catalizzatore di consensi. L’ex commissario guida l’alleanza di sinistra ecologista composta da laburisti e verdi (GroenLinks-PvdA), qualcosa di simile alla Nupes che aveva funzionato alle legislative francesi.

I sondaggi assegnano per ora la terza posizione, non bastano i voti, bisogna aggregare forze, come Pedro Sánchez e Donald Tusk sono riusciti a fare a Madrid e Varsavia. Perciò la novità elettorale di Omtzigt, che si prevede faccia scorpacciata di voti, potrebbe fare la differenza.

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