Nella Francia della pandemia, la politica torna a esercitare il suo diritto di critica, e il Senato accusa il governo di gravi errori nella gestione della crisi. La commissione di inchiesta sul Covid-19 ha pubblicato un rapporto di cinquecento pagine che punta il dito contro «l’impreparazione, gli errori strategici e comunicativi», ripetuti anche di recente. Lo fa «con stupore e con collera», dice il presidente della commissione Alain Milon.

«Non siamo in guerra»

Sono passati nove mesi da quando il presidente francese Emmanuel Macron ha scandito le parole: «Siamo in guerra». La scelta della metafora bellica non è casuale, e nei primi frangenti della crisi ha funzionato: tra marzo e aprile, il consenso del presidente si è impennato del 34 per cento. Si è verificato quello che la scienza politica chiama effetto rally ‘round the flag: la percezione di una minaccia esterna induce a identificarsi con il capo di governo e riduce l’attenzione critica verso le sue politiche.

Il primo passo della commissione di inchiesta del Senato consiste proprio nel disinnescare questa narrazione, e nel riappropriarsi del suo diritto-dovere di critica. «Bisogna riconsiderare quella metafora bellica», dice Milon. «La Francia non ha fatto la guerra, ma ha cercato di contenere una epidemia. Con questo spirito bisogna valutare le scelte fatte. I cittadini devono poter individuare precise responsabilità politiche». La commissione è nata a fine giugno per vigilare sulla gestione della prima ondata; fa seguito all’iniziativa analoga presa dalla Camera due settimane prima. La spinta a crearla viene dall’opposizione di destra, che al Senato è dominante. Molti parlamentari républicains (come Milon) sono critici verso il governo, anche se una fetta di partito – la più vicina al fondatore Nicolas Sarkozy – ha finito per sostenere Macron: il premier Jean Castex e il ministro dell’Interno Gérald Darmanin sono uomini di Sarkozy.

Senza protezioni

Dopo aver ascoltato 130 persone in 50 audizioni, la commissione fa un elenco dei passi falsi governativi. Catherine Deroche, anche lei repubblicana e relatrice della commissione, mette al primo posto il «fiasco delle mascherine». «Abbiamo dedicato molte pagine a questa faccenda perché è simbolica: ricordiamo tutti le immagini dei volti di medici e operatori sprovvisti di protezioni; volevamo capire come si sia potuti arrivare a quel punto». La risposta data è che dal 2010, ma soprattutto in questi ultimi due anni, l’amministrazione ha abdicato al suo ruolo strategico, rinunciando a procacciare materiale protettivo in favore di risparmi sul bilancio.

L’ultimo ordine di mascherine prima della crisi Covid-19 risale al 2013. Gli stock di maschere ffp2, che nel 2011 erano 700 milioni, nel 2016 sono ridotti a 700mila. Quanto alle mascherine chirurgiche, nel 2017 erano 754 milioni, nel 2019 circa 100 milioni: il direttore generale della Sanità ha consapevolmente ridotto le provviste e ordinato meno mascherine. Quando la pandemia è esplosa, dice il dossier, «i responsabili hanno negato tutto. Lo stesso governo, al corrente del problema almeno dal 13 marzo 2020, ha mascherato il problema sotto narrazioni falsamente ottimistiche». La mancanza di prevenzione ha fatto sì che la Francia abbia «finito per comprare le maschere a prezzi esorbitanti. Rimpolpare gli stock in tempo sarebbe costato 27 milioni, ne sono stati spesi invece 450».

Errori ripetuti

«Sull’uso delle maschere da parte di tutta la popolazione, poi, il governo ha dato indicazioni contraddittorie». Le incongruenze non valgono solo per i dispositivi di protezione: nonostante l’enfasi data, a parole, a tamponi e tracciamento, «il ricorso ai test è stato poco tempestivo, e la sua gestione poco strategica». Anche l’isolamento dei positivi e dei loro contatti «non è stato davvero praticato se non in casi sporadici; l’uso di alberghi e luoghi ad hoc è stato marginale, nessun provvedimento è stato preso». E il bello è che «nella seconda ondata finiamo per parlare di questi stessi problemi».

Tra le questioni tuttora irrisolte, e con radici lontane, c’è una sanità pubblica allo stremo. Già mesi prima della pandemia, il disinvestimento nel settore è stato denunciato dai primari, che hanno minacciato in blocco le dimissioni, e dal personale sanitario, con scioperi e proteste. La crisi ha reso la situazione esplosiva. Il dossier dà qualche elemento che aiuta a ricostruire come. Dal 12 marzo, fino al picco di ospedalizzazioni di metà aprile, le capacità di accoglienza in rianimazione sono più che raddoppiate; i letti sono passati da circa 5.100 a 10.700. Ma è stata affrontata l’emergenza da Covid-19, la punta dell’iceberg, mentre tutto il resto dei servizi sanitari è uscito dalla crisi ancor più indebolito e deprivato.

Gli ospedali sono stati rafforzati, ma non i servizi sul territorio. Una malattia è stata in parte curata, ma a discapito delle altre. «Alcuni, e spesso proprio i più vulnerabili, di fronte al messaggio martellante di restare a casa, hanno persino rinunciato da sé alle cure». I costi di tutto questo «sono ancora da vedere».

Gli uomini del presidente

Alle incertezze, ai ritardi e agli errori – ripetuti anche di recente – si accompagna secondo i relatori del report uno stile comunicativo “infantilizzante”, paternalista: Macron ha trattato i francesi come bambini, è l’accusa. Sotto la lente finisce anche la creazione di una sorta di governo parallelo: «Le agenzie ed enti scientifici già esistenti sono stati mal sfruttati dal governo, che ha preferito creare task force ad hoc che supportassero le sue decisioni». Sono nati così il consiglio scientifico, quello sui vaccini, e altre entità «il cui funzionamento e indipendenza rimangono poco chiari». Si parla di “deficit di legittimità”, che è deficit di democrazia.

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