Quando si tratta di clima, la Francia fa la rivoluzione, nel bene e nel male. Qui nel 2015 è stato siglato un trattato di portata globale per fermare il surriscaldamento terrestre, noto come “l’accordo di Parigi”. E sempre nella capitale francese, questo febbraio, lo stato viene condannato per “inazione climatica”, cioè perché non ha rispettato i propri impegni. Questo è il disaccordo, di Parigi, e degli oltre due milioni di cittadini che non si accontentano delle dichiarazioni ambientaliste dell’Eliseo. Emmanuel Macron, per blandire l’anima verde dell’elettorato, ha anche sorteggiato 150 cittadini, li ha radunati in un comitato consultivo e ha promesso di trasformare le loro idee sul clima in legge. Ma quando si tratta di emergenza climatica le promesse non bastano. Le sentenze invece contano.

Il verdetto in questione è inedito per la Francia. Il tribunale amministrativo di Parigi dà ragione alle quattro organizzazioni che hanno fatto ricorso: Greenpeace, Oxfam, la fondazione Nicolas Hulot e l’associazione Notre affaire à tous, nata nello stesso anno dell’accordo di Parigi proprio per far valere in punta di diritto la giustizia climatica. Marie Touissant, che l’ha fondata e che oggi è europarlamentare verde, dice che «la sentenza del 3 febbraio è la prova di quanto ormai l’inazione climatica non sia più tollerata dalla giustizia: temporeggiare, quando si tratta di salvaguardia del clima, è considerato criminale. Lo stato ora è riconosciuto colpevole di non aver intrapreso azioni all’altezza degli impegni presi». In Francia è la prima volta, ma «la vittoria segue l’onda di iniziative in tutto il mondo per spingere i governi ad agire».

L’onda verde

L’apripista è stata l’Olanda: nel 2013 la fondazione Urgenda ha fatto ricorso contro il governo per spingerlo a prendere misure per ridurre le emissioni, nel 2015 una prima sentenza le ha dato ragione, e nel 2019 la Corte suprema ha confermato che l’esecutivo olandese ha l’obbligo di riallinearsi al più presto con i suoi obblighi sul fronte climatico. Qualcosa di simile è sancito ora dal tribunale francese. Il caso è stato battezzato dai ricorrenti come “Affaire du siècle” (caso del secolo) e la storia comincia nel 2018. A dicembre, le quattro organizzazioni lanciano una petizione: l’idea è di una grande mobilitazione per costringere l’esecutivo ad agire per il clima. Nel giro di 48 ore, arrivano due milioni di firme. L’anno successivo, un sondaggio dice che il 90 per cento dei partecipanti è pronto a mobilitarsi.

«L’estate del 2018 è stata il momento di svolta, per l’opinione pubblica francese», dice Jean-François Julliard, il direttore di Greenpeace France. «Bastava guardare la situazione del meteo nelle nostre città per rendersi conto di quanto la situazione fosse grave». C’è stato anche l’effetto Greta, e la mobilitazione dei Fridays for future. «Una combinazione di fattori ha fatto sì che adesso per i francesi il cambiamento climatico sia in cima alle preoccupazioni, al pari di temi come la disoccupazione».

Una vague, un’onda verde, che è cresciuta anche alle scorse amministrative, nell’estate 2020: soprattutto nelle grandi città, la spinta ambientalista è stata capitalizzata dal partito verde. Che ha vinto il municipio a Lione, a Bordeaux, Grenoble, Strasburgo, ed è stato sfidante di primo piano a Parigi e Marsiglia. «Terremoto di portata storica», lo definisce il giornalista Abel Mestre.

Il caso del secolo

Si arriva così a mercoledì, quando anche un giudice si siede dalla parte del clima: riconosce la responsabilità dello stato nella crisi climatica e dice che il mancato rispetto degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra è illegale. Come hanno fatto le organizzazioni a dimostrare che il governo è colpevole di “inazione”? Julliard dice che i documenti mandati alla corte vanno dai tempi di Jacques Chirac presidente fino a Macron. «Dimostrare che lo stato non ha fatto abbastanza non è stato difficile: lo dicevano gli scienziati e persino le istituzioni; il governo non poteva contraddirci». Anche l’alto consiglio per il clima, autorità indipendente lanciata da Macron, dice che se si continua così, non si arriva agli obiettivi che ci si è dati per il 2050, e che «le azioni intraprese non sono all’altezza».

Cosa succede ora? Secondo Greenpeace tutte le vittime dei cambiamenti climatici potranno rivolgersi alla giustizia e pretendere risarcimenti sulla base di questa sentenza. Soprattutto, «gli effetti saranno politici: finora Macron ha mostrato una doppia faccia» dice Julliard. Ha usato tantissimo i temi ambientali per la sua comunicazione, ma «è tutta facciata». Anche nelle platee internazionali, ad esempio quando si tratta dell’accordo commerciale tra Ue e Mercosur, l’Eliseo punta il dito sulle “bugie di Bolsonaro sul clima”. Ma «oltre alle inadeguatezze altrui, Macron pensi alle nostre».

Estratti a sorte

Un tentativo è quello della “convenzione cittadina per il clima”: per la prima volta, 150 cittadini, sorteggiati in modo da garantire che il campione sia rappresentativo dei vari territori, età, professioni e così via, hanno potuto elaborare le loro proposte, da tradurre – è la promessa di Macron – in legge. Già nel 1995, in Principi del governo rappresentativo, il politologo francese Bernard Manin invitava a riscoprire il principio cardine della democrazia di Atene: «Non che il popolo dovesse governare o esser governato, ma che ciascun cittadino fosse in grado di occupare le due posizioni a tempi alterni»; da qui l’importanza del meccanismo di estrazione a sorte.

C’è un motivo per cui Macron l’ha riscoperta: le rivolte dei gilet gialli per le tasse sulla benzina gli hanno mostrato che non basta agire per il clima, ma farlo in modo equo per le classi più svantaggiate. I 150 non a caso ora propongono di tassare le grandi imprese per finanziare la transizione climatica. Macron non si aspettava proposte così radicali e sta aggiustando il tiro: dice che con Covid-19 non si possono colpire ancora alcuni settori economici. Ecco quale potrebbe essere un effetto della sentenza: riportarlo sulla retta via del clima.

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