No, niente piano per portare i Cinque stelle nei Verdi europei: è saltato per le ambiguità di Giuseppe Conte sull’Ucraina. E le proteste dei trattori? Le destre attaccano le politiche green per non toccare i grandi interessi. Giorgia Meloni in coalizione dopo il voto di giugno? Non se ne parla. È schietto e va dritto al punto, Bas Eickhout: anche per questo, a inizio mese i Verdi europei hanno scelto lui per guidare la campagna elettorale. Assieme a Terry Reintke, Eickhout è lo Spitzenkandidat, e cioè il candidato green alla presidenza della Commissione Ue.

Qui a Strasburgo tutti danno per certa una presidenza bis di Ursula von der Leyen. Viene spesso in Italia, a far da sponda a Giorgia Meloni. Lei digerirebbe una maggioranza ibridata coi meloniani?

Von der leyen guarda alle elezioni. Ha da poco stabilito regole per i suoi commissari, sostenendo che debbano palesare quando fanno campagna elettorale, ma lei stessa le ignora. A ogni modo, per noi Verdi i Conservatori non possono essere parte della coalizione. Se davvero Meloni vuol entrare in coalizione, le conviene andare nel Ppe: scommetto che lì un posto per lei c’è. Per noi Ecr – e pure Meloni – è estrema destra, anche se i popolari fingono non sia così. Spero che anche Orbán entri in quel gruppo, così la cosa sarà sfacciata e i popolari avranno un problema. Finora hanno pensato di guardare un po’ a sinistra, un po’ a destra; ma l’ingresso di Fidesz complicherà questo gioco. A destra del Ppe, sarà tutto più nero; quindi dovranno guardare a sinistra, e non potranno evitare di discutere con noi.

Sosterreste von der Leyen?

Siamo aperti al dialogo. Cinque anni fa fu catapultata dai governi; stavolta quantomeno sarà la Spitzenkandidat dei popolari e la sua posizione sarà chiara. I liberali sono imprevedibili, anche sulle questioni climatiche sono spesso divisi; è come se fossero due gruppi camuffati dentro uno solo. Il Ppe rischia di mettersi nei pasticci. Servono i Verdi: su di noi si può fare affidamento.

Ma Von der Leyen sta colpendo il suo stesso Green Deal e il Ppe guida l’assalto al clima con l’estrema destra. Le sembra plausibile una maggioranza con i Verdi?

Sul Green Deal le destre saranno costrette a ravvedersi. Nel 2019 una strategia c’era, si chiamava Green Deal, e all’epoca c’era persino chi sosteneva che i Verdi europei avessero esaurito la loro funzione perché ormai le politiche green erano cosa di tutti. Il vento andava in quella direzione, e i politici seguivano la corrente. Ora che le cose si fanno toste, bisogna tenere la rotta: sbandare non aiuta neppure il comparto produttivo. Il Ppe può far campagna elettorale contro il green, ma sa bene che l’unico futuro roseo per la nostra industria è diventare leader nel settore: la Cina ha politiche industriali green – si pensi alle auto elettriche che diventano sempre più economiche – e gli Stati Uniti iniettano miliardi nella transizione (come con l’Inflation Reduction Act). I problemi non si risolvono certo costruendo un muro attorno al continente come proporrebbe l’estrema destra. L’Ue con il Green Deal aveva iniziato la sua maratona, ora dopo pochi chilometri il Ppe dice: ok, facciamo una pausa. Sfido l’industria europea: perché non si imbestialisce? Come mai resta in silenzio su questo? Se non è chiaro dove va l’Ue, diventa complicato anche investire. Noi vogliamo proseguire sulla strada del Green Deal, con una adeguata agenda industriale e soprattutto con un versante sociale molto più sviluppato: su quest’ultimo punto, la Commissione europea attuale è stata decisamente al di sotto delle nostre ambizioni. La democrazia europea è sotto attacco dentro e fuori (Orbán e Putin): anche questa è una nostra priorità. Noi Verdi vogliamo una società inclusiva, non come con Meloni, che attacca le minoranze. Se con von der Leyen se ne può parlare, lo faremo.

Qualche mese fa avete iniziato i negoziati con il Movimento 5 stelle. Oggi possiamo dichiarare il piano di ingresso di Giuseppe Conte nei Verdi europei ufficialmente fallito?

Prima delle elezioni europee sicuramente sì. Certo, in teoria potremmo ricominciare i negoziati dopo il voto, ma mi faccia essere chiaro: il problema è l’Ucraina, o meglio le posizioni di Conte su questo dossier. I Verdi sono sempre stati, e continuano a essere, un movimento pacifista, ma il nostro gruppo è schierato fortemente al fianco degli ucraini perché per noi fermare i combattimenti ora vorrebbe dire arrendersi a Putin, che non si fermerà a Kiev. Si riposerebbe qualche anno e poi ricomincerebbe, come è già accaduto. Non dovremmo essere ingenui. Proprio su questo tema con i Cinque stelle abbiamo avuto le discussioni più dure. In Europarlamento su molti temi siamo vicini, e votiamo similarmente, ma questo punto invece non sarà certo risolto prima delle elezioni, e quindi al momento non se ne fa nulla.

L’odierno partito dei Verdi in Italia è all’altezza della vostra sfida in Europa? O manca una formazione in grado di dare ai Verdi europei una rappresentanza corposa?

La formazione dei Verdi in Italia appare fragile, vero? E pensare che ci stiamo espandendo in tanti paesi. Eppure in Italia le cose vanno diversamente: il vostro è tuttora un paese assai più verde di quanto appaia dalla sua rappresentanza politica. Ciò mi ferisce molto, essendo l’Italia il mio paese preferito: ho visto quanto vitale sia il vostro movimento antinucleare, ho apprezzato i vostri referendum anti privatizzazioni. Il fermento dal basso c’è, ma non è ancora ben tradotto in politica stabile. Come Verdi europei possiamo dare un contributo, ma il cambiamento deve partire dal basso.

L’attuale capogruppo dei Verdi all’Europarlamento, Philippe Lamberts, non ha mai smesso di rimpiangere Elly Schlein come leader ecologista, nelle interviste con Domani, anche dopo che lei è diventata segretaria del Pd. Anche lei la vorrebbe nei Verdi? Intanto gli eurodeputati dem si sono appena divisi nel voto sugli ogm.

Ora che Schlein è a capo del Pd, non ha vita semplice. Penso che il Pd stia vivendo una lotta interna sulla direzione da intraprendere; ciò traspare talvolta anche nei voti sui temi green in Ue. La segretaria è il simbolo di una nuova generazione di politici progressisti: se avrà successo, sarà una buona notizia per il Pd. Se non dovesse andare così, da noi sarà sempre la benvenuta. La vecchia generazione del partito è quella più vicina a Copa Cogeca, a favore degli ogm, a favore della Politica agricola comune anche quando è anticlimatica e così via: anche su questi temi si vede la differenza interna rispetto a Schlein.

Le destre si stanno intestando le proteste contadine, ma le concessioni che vengono fatte da Bruxelles fanno felici anzitutto l’agroindustria e le multinazionali come quelle dei pesticidi. Davvero il problema per il mondo dell’agricoltura è il Green Deal?

Il mondo dell’agricoltura è sottoposto a grandi pressioni. Una è quella del sistema economico, che favorisce l’agricoltura su larga scala: più sei grande e più fai soldi. Poi c’è la crisi climatica: mostra che invece è l’agricoltura su piccola scala a resistere meglio, e a salvaguardare la biodiversità. Questi due aspetti stridono fra loro e gli agricoltori sono disperati. La soluzione non è confondere ancor di più la situazione, ma riallineare il livello economico e quello climatico: i sussidi devono premiare la giusta rotta. Le destre preferiscono attaccare la transizione piuttosto che ridiscutere un sistema economico iniquo, e così facendo tutelano i grandi interessi industriali, finanziari, della distribuzione, dell’agrochimica. Pretendono di parlare a nome degli agricoltori, ma stanno parlando per agroindustriali e lobbisti.

Giorgia Meloni e gli esponenti anche europei di Fratelli d’Italia non fanno che ripetere che la transizione ecologica è troppo “ideologica”. Come replicherebbe?

Prima di tutto, quale sarebbe il problema di avere un’ideologia? Senza idee comuni non sei una famiglia politica. E poi mi pare che potrebbero superarci, in quanto a posizioni ideologiche: la lotta di Fratelli d’Italia per i motori a combustione è qualcosa che richiama all’ideologia del secolo scorso; e non è forse ideologico sostenere che il problema in Europa siano i rifugiati? Quando si ostacola la possibilità per genitori gay di vivere la propria genitorialità, non si sta forse replicando un copione ideologico?

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