Le reazioni di Bruxelles alle vicende iraniane sono l’ennesimo episodio rivelatore delle divisioni interne che l’Unione europea esibisce sin da quando la guerra in Medio Oriente si è riaccesa a ottobre.

Nella stessa Commissione europea si possono ormai chiaramente distinguere falchi e colombe, le cui linee contrapposte sono incarnate da una parte da Ursula von der Leyen – la presidente di Commissione europea che ha schierato la sua istituzione al fianco del governo Netanyahu – e dall’altra dal vicepresidente, nonché alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell, che si è fatto sentire per denunciare il massacro in corso a Gaza e che spinge per un’Ue protagonista sul piano della mediazione diplomatica.

Il casus hashtag

Stavolta le divergenze sono emerse in occasione di un post social del commissario europeo per la gestione delle crisi, Janez Lenarčič, che ha le redini di protezione civile e aiuti umanitari. 

Domenica, mentre le squadre di soccorso iraniane faticavano a rintracciare il velivolo presidenziale, il commissario Ue ha reso noto che «a seguito della richiesta di assistenza proveniente dall’Iran, stiamo attivando il servizio di mappatura rapida di Copernicus visto l’incidente aereo che pare abbia coinvolto il presidente e il ministro degli Esteri iraniani».

Il Copernicus Emergency Management Service dell’Ue utilizza immagini satellitari e altri dati geospaziali per fornire un servizio di mappatura gratuita in caso di disastri ed emergenze su scala mondiale.

Non è tanto l’annuncio in sé, quando il fatto che fosse accompagnato dall’hashtag «solidarietà Ue» (#EUSolidarity) ad aver scatenato reazioni inviperite. In sé è riferibile alla prestazione di aiuto umanitario, ma «per me è un mistero come la Commissione possa mostrare solidarietà Ue all’Iran, che hashtag miserabile» ha commentato ad esempio Marie-Agnes Strack-Zimmermann. 

Marie-Agnes Strack-Zimmermann è uno dei volti di punta liberali – tra i tre nomi, è quello selezionato da Alde – come candidata presidente alla Commissione europea. Proviene dal partito liberale (e liberista) tedesco, il Fdp, e guida la commissione Difesa del Bundestag. Tra le femministe tedesche c’è chi la accusa di essere «la migliore amica dell’industria militare»; sicuramente è buona amica dei piani macroniani sugli investimenti nella difesa europea. Strack-Zimmermann non è l’unica ad aver stigmatizzato l’hashtag del commissario.

Pare non aver avuto perplessità, invece, l’alto rappresentante Ue Josep Borrell, che ha ritwittato Lenarčič, passando tutt’altro che inosservato.

Scontri e precedenti

I più avveduti delle dinamiche brussellesi ricorderanno che Lenarčič era stato già tra i protagonisti di una querelle riguardante la Commissione europea, a ottobre; e in quel caso le parti erano invertite.

Era stato il suo collega commissario all’Allargamento, l’orbaniano Olivér Várhelyi, ad annunciare su Twitter dopo il 7 ottobre lo stop a «tutti i pagamenti» di fondi per lo sviluppo rivolti ai palestinesi. Mentre gli osservatori esterni notavano il gesto scomposto, peraltro alla vigilia di un Consiglio Ue apposito, il freno a Várhelyi era arrivato proprio da Lenarčič, che aveva di fatto smentito il collega ungherese: «Condanno l’attacco terroristico di Hamas, ma proteggere i civili e rispettare il diritto internazionale umanitario è imperativo; gli aiuti umanitari dell'Ue ai palestinesi bisognosi continueranno finché necessario».

Mentre von der Leyen non ha mai stigmatizzato la mossa dell’ungherese – coprendo di fatto le spalle a Várhelyi nonostante avesse annunciato sui social una decisione che neppure gli altri commissari avevano condiviso – nel corso dei mesi è maturata la distanza tra la presidente e il suo vice Borrell. Lei che issava la bandiera israeliana a Berlaymont e esibiva supporto incondizionato al governo israeliano, lui che insisteva sul rispetto del diritto internazionale e invocava «de-escalation e prevenzione della destabilizzazione».

Anche tra i governi europei – come è apparso nitido in occasione dei voti degli stati in sede Onu – c’è un fronte schierato con Netanyahu, nel quale figura tanto Orbán quanto il governo tedesco, e c’è un’area che spinge invece per fermare il massacro a Gaza – qui sono corsi in solidarietà i premier spagnolo e belga per esempio – o che prende iniziative per il riconoscimento della Palestina, come ha fatto il premier socialista spagnolo, sostenuto tra gli altri dal governo irlandese.

Dietro le acredini sugli hashtag si cela una più generale divisione sul modo di affrontare e gestire il terreno di crisi mediorientale. 

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