E se fossimo noi la giungla? Fino a qualche mese fa, l’Alto rappresentante Ue Josep Borrell scatenava l’irritazione del mondo accademico e della società civile per le sue metafore da scontro di civiltà. Stando a lui, l’Unione europea era come un giardino, ordinato da regole, e fuori da lì c’era il caos, «la giungla», l’indomita barbarie. Ma oggi le espressioni tribolate di Borrell ce lo mostrano vittima delle sue stesse metafore: il fatto è che, alle prese con il conflitto in Medio Oriente, non appare poi così ordinata neppure l’Ue.

E più l’Alto rappresentante si esercita in equilibri ed equilibrismi, più gli rovinano il mestiere, dalla presidente della Commissione europea passando per il governo ungherese. La prima arte diplomatica che Borrell deve esercitare è dentro i confini europei.

Pausa di riflessione

Questo lunedì i ministri degli Esteri si sono ritrovati in Lussemburgo con la questione Israele-Gaza sul tavolo. Una «situazione complicata», come ha detto in parole semplici Antonio Tajani, l’italiano in Consiglio Ue. Il punto sul quale i governi europei paiono concordi è la necessità di consentire l’ingresso di aiuti umanitari nella striscia; di più, e più rapidamente.

L’Alto rappresentante su questo aspetto ha potuto insistere in modo chiaro: non serve solo acqua, ma anche combustibile, perché senza elettricità non si può desalinizzare l’acqua; prima entravano cento camion di aiuti al giorno, ora che le necessità sono più forti ne sono entrati al massimo una ventina.

Ma se si prova ad allontanarsi un attimo dalla stretta contingenza umanitaria, e ci si avventura nella sfera della politica, già l’Unione appare più incerta. Già il «cessate il fuoco» invocato dall’Onu era stato rimpiazzato nei dossier Ue dalla «pausa umanitaria», che per ammissione di Borrell stesso è «meno ambiziosa» e che serve per consentire in tempi rapidi l’ingresso di aiuti. Poi pure su quella a quanto pare c’è bisogno di riunire i leader: «Ne parlerà il Consiglio europeo, ma posso anticiparvi che trova sostegno negli stati membri».

Il nodo politico

Il fatto è che non può essere a lungo schivata la questione di fondo, e cioè la postura politica che l’Ue deve mantenere; ed è qui che la faccenda si fa più disordinata. Borrell la sua bussola strategica ce l’avrebbe. Consiste nel non finire nella trappola dei doppi standard. Condanna verso Hamas, supporto a Israele nel suo diritto di difendersi, ma anche un monito chiaro: «Israele faccia la guerra secondo le regole della guerra, rispettando il diritto internazionale e umanitario, perché le vite dei civili hanno tutte pari dignità».

Quando Borrell dice che «ho già assistito a cinque guerre a Gaza e ogni volta si diceva “distruggeremo Hamas”», e poi aggiunge che «bisogna lavorare a una soluzione politica» e invoca «de-escalation», l’Alto rappresentante sta pensando a un’Ue che svolga il ruolo di disinnesco. Ma non è questo il ruolo recitato invece da Ursula von der Leyen, che ha già schierato l’Ue su uno dei due fronti. E nella stessa direzione della presidente di Commissione europea scalpitano altri governi.

Mentre la premier francese invoca «risposte eque» e governi come quello spagnolo e irlandese invocano il diritto umanitario e le soluzioni politiche, la Germania è assai più sintonizzata sul fronte von der Leyen. E il governo di Orbán, sostenitore dichiarato di Netanyahu, approfitta del varco per seminare caos: «Ci sono posizioni divise», va a dire alla sua opinione pubblica Péter Szijjártó, quello stesso ministro degli Esteri ungherese che il Cremlino ha insignito della medaglia dell’amicizia.

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