Giorgia Meloni ha incassato l’ennesima porta in faccia dalla Germania sul patto di stabilità. I governi europei hanno fatto lunghe schermaglie sul plurale o singolare – concordando infine sulle «pause» umanitarie – mentre il conflitto in Medio Oriente richiedeva un’Unione europea lucida. Tuttavia la due giorni di Consiglio europeo che si è appena conclusa riserva almeno una nota di speranza agli europeisti e più in generale agli elettori europei che andranno insieme alle urne a giugno.

La nota è che ogni singolo voto sposta effettivamente gli equilibri in Ue, con effetti a cascata che arrivano fino a Gaza. Il premier socialista spagnolo Pedro Sánchez è – tra i capi di stato e di governo europei – colui che più di tutti ha fatto da apripista, negli ultimi due giorni, perché l’Ue pronunciasse parole chiare sulla protezione dei civili e sull’urgenza di una soluzione politica al conflitto. Se Sánchez avesse avuto solo la presidenza di turno in Ue, ma non l’incisività che gli deriva dalla imminente formazione di un nuovo governo a sua guida, le conclusioni del Consiglio europeo sarebbero state diverse non tanto nel lessico delle conclusioni, quanto nella loro sostanza politica.

Varchi di pace

A fine marzo del 2022 Pedro Sánchez ha – per citare le cronache di allora – «tenuto in ostaggio» gli altri leader europei finché non ha strappato loro la cosiddetta “eccezione iberica”, cioè deroghe riguardanti i prezzi dell’energia, per Spagna e Portogallo. Non risultano toni altrettanto accesi per questo Consiglio di fine ottobre, ma anche stavolta il premier spagnolo ha cercato di massimizzare i guadagni politici.

Dopo che l’estrema destra di Vox – alleata di Meloni – ha fatto flop alle urne e i popolari non sono stati in grado di formare un governo, Sánchez ha tutte le intenzioni di restare alla Moncloa e di ottenere la fiducia parlamentare entro un mese. Con gli alleati della sinistra di Sumar che spingono per la tutela dei civili palestinesi, il premier socialista è arrivato in Consiglio puntando al rialzo: ha chiesto il cessate il fuoco – posizione anche dell’Onu – e l’avvio di un processo politico per la risoluzione del conflitto, cominciando con una conferenza di pace. Ha spostato tutti i leader a favore del summit in questione – iniziativa che gli consentirà di mostrare un protagonismo spagnolo – mentre resta tra i pochi che dichiarano «legittimo il dubbio, di fronte alle sofferenze dei civili a Gaza, che Israele stia violando il diritto internazionale».

La dichiarazione finale dei leader non vede queste responsabilità se non per via indiretta quando «esprime preoccupazione per il deterioramento della situazione umanitaria e chiede di assicurare accesso umanitario senza restrizioni e aiuto ai bisognosi» tramite anche «pause e corridoi umanitari».

Guerre ed elezioni

Le elezioni polacche e slovacche hanno invece effetti su un altro dossier bellico, quello ucraino.

Prima che l’opposizione di Donald Tusk vincesse il 15 ottobre, la Polonia del Pis alleato di Meloni faceva squadra con Viktor Orbán per provare a scongelare i fondi bloccati a colpi di ricatti politici. Ora il premier ungherese deve contare sul neoeletto premier slovacco Robert Fico, contrario ad altri aiuti a Kiev, per fare quello stesso gioco.

Così la nuova coppia – politicamente più fragile – ha espresso rimostranze di fronte alla proposta di aumentare il bilancio dell’Ue anche per aiutare l’Ucraina. Il dibattito andrà avanti almeno fino al Consiglio di dicembre, ma su Kiev c’è un consenso. Il vero punto per il governo Meloni è che la Germania tira il freno su tutto il resto, e fa da falco anche sulla riforma del patto di stabilità. Ma questo è un altro conflitto.

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