Quando, dopo anni di timidezze, la famiglia popolare europea si è decisa a divorziare da Viktor Orbán, ha lasciato però in mano all’autocrate ungherese uno spiraglio aperto. Da pragmatico qual è, Orbán ha già l’escamotage per sfruttarlo appieno, oggi che il progetto di un grande gruppo delle destre europee è sfumato, e che l’Ungheria è sempre più isolata in Ue per il gioco di sponda con Vladimir Putin. Mentre l’attenzione è catalizzata sull’ostruzionismo orbaniano nelle sanzioni contro la Russia, intanto Orbán è al corrente di tutto ciò che avviene nel consesso popolare, lo stesso dove per anni ha potuto godere dell’indulgenza di Angela Merkel. Questa settimana il vicepremier ungherese Semjén Zsolt era serenamente seduto in poltrona al congresso del Ppe a Rotterdam, per dirne una. La strategia per non sfilacciare del tutto i rapporti europei si sviluppa anche per un’altra via. Mentre in Ungheria il primo ministro usa, come al solito, Bruxelles come capro espiatorio, fuori confine Katalin Novak, sua fedelissima, ieri ministra della Famiglia legata alla destra italiana, oggi presidente della Repubblica, va in missione dagli alleati storici: prima la Polonia, poi ieri anche Berlino.

Un piede nel Ppe

C’è una trappola che Orbán ha seminato sul campo di battaglia politico, a marzo 2021. E i popolari gliela hanno concessa, anzi tuttora ritengono di non dover porsi il problema. La primavera dell’anno scorso è il momento in cui si consuma la spaccatura tra Ppe e Fidesz, il partito del premier. Per anni la copertura politica di Merkel e i buoni rapporti con partiti come Forza Italia avevano evitato a Orbán la cacciata dal Ppe, relegandola tutt’al più a una blanda sospensione; quando poi, a marzo di un anno fa, il clima è diventato insostenibile, Fidesz si è sfilato poco prima che il Ppe approvasse le regole per espellerlo. Il punto è che un pezzo di governo ungherese resta ancora ben saldo dentro i popolari. Tutti sanno che quando il premier ungherese ha rotto col Ppe, ha cavalcato il progetto di un gruppo delle destre europee, caduto in disgrazia già prima delle elezioni di metà mandato dell’Europarlamento di gennaio. Pochi ricordano invece che il Kdnp, dal Ppe, non se n’è mai andato. Il Kdnp, e cioè il “partito popolare cristiano democratico”, è un partito-stampella di Orbán e del suo esecutivo, del quale fa parte. Sin dall’inizio della deriva dispotica del premier, dal 2010 in poi, il Kdnp governa con lui: quando si tratta di candidarsi alle elezioni, e poi di governare, il tandem Fidesz-Kdnp è cosa assodata. La presenza del Kdnp dentro i popolari si è fatta sentire per esempio quando Donald Tusk, prevedendo che il candidato di opposizione ungherese Péter Márki-Zay (stroncato nelle elezioni di aprile) avrebbe lanciato un suo partito, ha provato a promuoverne l’ingresso nel Ppe. Ma è soprattutto ciò che il Kdnp può sentire, che dovrebbe mettere in allerta: un satellite orbaniano è nella stanza delle decisioni.

Il nuovo escamotage

E non è tutto. In Ungheria, un esponente politico può avere sia la tessera di Fidesz che del Kdnp. Ora che il progetto del gruppo sovranista è sepolto, e che l’Ungheria è sempre più isolata in Ue, questo meccanismo diventa la trappola perfetta di Orbán per infiltrare il Ppe e la politica europea. Tibor Navracsics, politico di Fidesz, ex commissario europeo e oggi ministro con delega ai fondi europei – fondi che coi suoi veti Orbán mira a sbloccare – mercoledì si trovava al congresso del Ppe a Rotterdam. Navracsics, che ha la doppia tessera Fidesz-Kdnp dal 2003, sta puntando sempre più sull’affiliazione Kdnp, che è ciò che gli consente di sedersi in mezzo ai popolari. A suo dire, Fidesz stesso dovrebbe tornare nel Ppe, «perlomeno in qualche forma, per tener viva la cooperazione». Chiunque conosca le dinamiche della politica ungherese sa che Navracsics, membro del governo, non potrebbe fare affermazioni e mosse simili senza un beneplacito di Orbán. Infatti «il premier sa, e non è contrario», dice Navracsics. Una figura apicale del Ppe, che si è battuta per l’espulsione di Fidesz, prova a giustificare la permanenza del Kdnp nella famiglia con l’argomento che «si tratta di un solo eurodeputato, che è moderato, e spesso critico con Orbán: perché dovremmo cacciarlo?». L’unico eletto Kdnp al parlamento Ue è György Hölvényi. Per quanto possa essere «moderato», il suo partito governa con Orbán ed è compartecipe delle sue derive; il vicepremier, Zsolt Semjén, è il leader del Kdnp, e l’artefice della coalizione con Fidesz. Era anche lui al congresso del Ppe mercoledì.

Le tessiture di Novak

Mentre Orbán ai suoi elettori racconta che va alla lotta con Bruxelles sulle sanzioni, Katalin Novak si occupa delle missioni riconciliatrici. Da ministra della Famiglia, Novak è stata la campionessa orbaniana della «famiglia tradizionale». Ha partecipato al World Congress of Families, ha stretto i rapporti con la Lega e con personaggi come Lorenzo Fontana, e ha anche fatto una capatina a Roma ad agosto per poter esibire in curriculum (e su Twitter) un incontro con papa Francesco. Da questa primavera, grazie al sostegno di Orbán, Novak è in carica come presidente della Repubblica. La sua missione è sempre più nitida: provare a rinsaldare rapporti sfilacciati. Visto che per il governo polacco è diventato troppo imbarazzante accogliere Orbán per la prima visita ufficiale post-rielezione, a Varsavia è andata Novak. Il premier ungherese è ancora convinto che, almeno sullo stato di diritto, l’alleanza tra Polonia e Ungheria possa reggere, nonostante i tentativi di Bruxelles e degli Usa di rompere la coppia.

Ieri la presidente era a Berlino. Ha incontrato il suo omologo, Frank-Walter Steinmeier, sostenitore dei buoni rapporti con la Russia e ora sedicente pentito, e pure Bärbel Bas, che da presidente del Bundestag ha promesso a Kiev più supporto. Novak – o meglio Orbán – sa che le relazioni economiche e politiche con la Germania sono sempre state il punto forte, e senza Merkel, regina dei compromessi, è necessario rinsaldarle.

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