«Il presidente Biden ha detto l’altro giorno… l’obiettivo non era lo state-building. Bene, questo è discutibile». «Lasciatemi parlare chiaramente e senza mezzi termini. Questa è una catastrofe per il popolo afghano, per la credibilità occidentale e per lo sviluppo delle relazioni internazionali». Per descrivere l’uomo che ieri ha pronunciato queste parole, il socialista spagnolo Josep Borrell i Fontelles, capo della diplomazia dell’Unione europea e oggi voce dell’Unione sulla crisi dell’Afghanistan, l’aggettivo più usato è «undiplomatic». Non diplomatico Borrell lo è certamente per carattere. Di lui si dice senza distinzione di parte politica che abbia una intelligenza superiore alla media, una gigantesca esperienza, ma un’altrettanto gigantesca arroganza e un ego difficile da contenere.

Non diplomatico, poi, lo è anche per competenze. L’Alto rappresentante per gli Affari esteri europei ha una laurea in ingegneria aeronautica, un dottorato in scienze economiche, sua vera grande passione, e studi post laurea in matematica applicata, niente meno che a Stanford.

Docente di economia, nella sua lunga carriera nel partito socialista operaio iberico, iniziata negli anni Settanta quando ancora essere contro la Nato significava essere anti franchisti e essere anti franchisti significava essere contro la Nato, è arrivato al governo occupandosi di finanze, è stato per due volte ministro dei Lavori pubblici, è stato eurodeputato e presidente del parlamento, ma solo dopo la crisi catalana nel 2018 Pedro Sánchez lo ha richiamato agli affari esteri.

Il picconamento di Biden

Nei giorni dello smistamento col bilancino di incarichi e bandiere dei commissari europei, aspirava senza dubbio alla casella degli affari economici. Eppure questa sua indiplomazia naturale, di indole profonda, accoppiata al ruolo delicato che ricopre, lo rende in questi giorni uno dei pochi diplomatici capace di pronunciare parole sincere e di picconare la propaganda sulle vicende afghane. Ieri ha smentito Biden frontalmente quando ha detto: «Abbiamo fatto molto per costruire lo stato in Afghanistan». E del resto non poteva fare altrimenti, la maggioranza dei programmi europei dedicati al paese, tanto per dire, sono catalogati proprio come «state building». Ma la franchezza non è da tutti e Borrell è abituato a fare affermazioni per cui ad altri mancherebbe il coraggio.

In Spagna è molto popolare, ma fuori dalla sua regione. Nel paesino dove è nato, la Pobla de Segur, 3mila abitanti nella Catalogna lontana dal mare e dagli occhi dei Pirenei, non può tornare. Ha ricevuto minacce per essere da sempre un anti indipendentista cristallino, autore anche di analisi economiche sulla supposta autosufficienza della Catalogna.

Quando ha iniziato a circolare il suo nome come Alto rappresentante, i catalani indipendentisti hanno lanciato una campagna battente contro di lui. Nessuno invece ha considerato un ostacolo l’insider trading di cui si è reso colpevole vendendo decine di migliaia di azioni della società Abengoa Sa, prima che questa dichiarasse il fallimento. O ancora il fatto che abbia dovuto lasciare il rettorato dell’Istituto europeo universitario di Firenze per non avere dichiarato parte dei suoi redditi.

Qualche dubbio, forse, poteva esserci sull’età, 74 anni, considerata la necessità di spostarsi per il mondo di un alto diplomatico. Nei mesi scorsi dopo un intervento chirurgico, che gli ha lasciato parte del viso temporaneamente bloccata, il vicepresidente della commissione Ue è stato costretto a presentarsi per diversi giorni con un cerotto che gli tenesse aperto l’occhio.

Non è stato nemmeno attaccato pesantemente come la predecessora, Federica Mogherini, per istanze geopolitiche. Anche se hanno fatto rumore le sue dichiarazioni sulla riduzione della povertà in Iran o le proposte per rendere l’Unione europea un mediatore nella crisi venezuelana e non solo un alleato di Guaidò, l’anti americanismo di gioventù è stato messo nel cassetto da molto tempo. Al massimo non manca mai di ricordare, anche da Alto rappresentante, che la visione degli Stati Uniti che hanno Est Europa e Paesi baltici è molto diversa.

«Il vecchio nemico»

Da ministro degli Esteri il suo primo passo falso è stato anzi aver definito pubblicamente la Russia il nostro «vecchio nemico», provocando una rapida convocazione dell’ambasciatore spagnolo a Mosca. E sempre a Mosca Borrell a febbraio ha regalato all’Unione una delle peggiori pagine della storia della diplomazia europea, andando a visitare di sua spontanea volontà, il più sottile, solido e navigato dei diplomatici in circolazione, il ministro russo Sergej Lavrov. Il quale, nel momento della più alta tensione tra Bruxelles e Mosca, con l’oppositore di Vladimir Putin, Alexei Navalny arrestato e avvelenato, se lo è divorato di fronte al mondo, attaccando al suo fianco Ue e Stati Uniti, ed espellendo lo stesso giorno tre diplomatici europei che avevano difeso l’oppositore.

Chi lo conosce spiega quel fallimento con la sua grande fiducia in sé stesso e la convinzione di poter controllare tutto, problemi di udito inclusi. Ieri, forse memore di quella esperienza, ha detto chiaramente: «Non possiamo lasciare che Cina e Russia prendano il controllo della situazione».

 

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