Quasi un giovane europeo su due, il 46 per cento, ritiene che la crisi climatica sia oggi uno dei tre problemi più grandi dell’umanità. La percentuale varia da paese a paese, ma si mantiene alta dappertutto: è massima in Austria e Germania (circa il 55 per cento), è al livello più basso in Romania (32 per cento) e a Cipro (24 per cento). In Italia è al 47 per cento, dunque leggermente sopra la media.

Ancora: due giovani europei su tre pensano che i governi che agiscono poco e male per fronteggiare la crisi climatica, danneggiano non solo l’ambiente ma l’economia e dunque il futuro di tutti, e una percentuale ancora superiore – 75 per cento – dichiara che nelle proprie scelte di voto privilegerà i partiti e i candidati che danno priorità all’azione di contrasto della crisi climatica.    

Lo studio

Questi dati emergono da un sondaggio condotto nei primi mesi di quest’anno da Ipsos in 23 paesi europei intervistando oltre 22mila giovani tra 15 e 35 anni. La ricerca è stata condotta per conto di un gruppo di ong guidate dall’italiana WeWorld promotrici della campagna “Climate of change”: progetto finanziato dalla Commissione europea che vedrà dal 24 luglio uno street-tour con iniziative itineranti in varie città europee (a Milano l’1 e 2 ottobre, in occasione degli eventi italiani che prepareranno la Conferenza sul clima di Glasgow di novembre) per sensibilizzare i giovani d’Europa sul legame molto stretto ma sottovalutato tra clima che cambia e fenomeni migratori.

Il futuro entra in noi molto prima che accada, scriveva Rilke all’inizio del secolo scorso. Ecco, sul tema del clima che cambia sta succedendo qualcosa di simile, e questi lunghi mesi di pandemia – che secondo più d’uno avrebbero relegato sullo sfondo le preoccupazioni ambientali – nella realtà sembrano spingere in direzione opposta.

La pandemia sta mostrando con drammatica evidenza che la “natura” – sono “natura” gli equilibri climatici, sono “natura” i virus che saltano di specie dagli animali all’uomo – non è buona né cattiva: è semplicemente la dimensione nella quale anche noi umani ci troviamo a vivere. Tra noi e la natura c’è un rapporto asimmetrico: lei non dipende da noi, noi da lei dipendiamo abbondantemente. 

L’appuntamento tedesco

Diranno i prossimi mesi se l’attenzione crescente del mondo giovanile per la transizione ecologica sia destinata a coinvolgere la generalità dell’opinione pubblica. In questo senso il calendario delle prossime settimane propone una data forse decisiva: il 26 settembre, giorno delle elezioni politiche in Germania.

I sondaggi, sia pure oscillanti, prevedono per i Grünen, il partito Verde, un consenso superiore al 20 per cento, oltre quello dei socialdemocratici e vicino a quello della Cdu/Csu di Angela Merkel.

Se queste stime troveranno conferma nelle urne, è probabile che i Verdi faranno parte del prossimo governo tedesco ed è addirittura possibile, sarebbe una svolta rivoluzionaria, che a guidare come cancelliera una futura coalizione di governo sia chiamata Annalena Baerbock, leader dei Grünen.

Del resto, non sono soltanto i partiti Verdi a collocare ormai l’ambiente al centro della politica. Un terzo delle risorse del Next Generation Eu – 750 miliardi – messe a disposizione dei paesi dell’Unione per la “ripartenza” post-Covid dovrà finanziare progetti legati alla transizione ecologica: scelta che testimonia, prima ancora che generosità ecologista, la convinzione che l’economia europea abbia tutto da guadagnare da una decisa conversione “green”.

La sostenibilità ambientale, insomma, non è soltanto giusta nell’interesse delle future generazioni, è anche molto utile per la competitività attuale delle imprese. Lo confermano, per l’Italia, i dati raccolti dalla Fondazione Symbola, dai quali si dimostra che l’economia verde è un moltiplicatore di business: tra tutte le imprese italiane piccole e medie, da 5 a 499 dipendenti, la percentuale di quelle che nel 2021, malgrado la pandemia, aumenteranno il fatturato, l’occupazione, l’export è significativamente maggiore per quante negli ultimi anni hanno effettuato investimenti in “ecoinnovazione”, dal risparmio energetico all’economia circolare.

Diceva Lenin: «Ci sono dei decenni in cui non accade nulla. E poi delle settimane in cui accadono decenni». Ecco, l’impressione è che queste infinite settimane di drammatica crisi sanitaria, di un tempo apparentemente “immobile”, possano portare per lo meno in Europa un cambiamento che di solito nella storia richiede decenni. Per capire se è così, basta aspettare il 26 settembre.

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