«You don’t work for us, you work with us». «Tu non lavori per noi, tu lavori con noi», è la frase che dice un dirigente di una società come può essere Amazon quando assolda un padre di famiglia per consegnare i pacchi a ritmi a dir poco intensi. «Non lavori per noi, ma con noi» è la frase che mette in bocca ai personaggi di “Sorry, we missed you” Ken Loach, ormai ultraottantenne, e consapevole che i diritti dei lavoratori si giocano oggi nell’ambito del capitalismo delle piattaforme.

Questa settimana due sentenze, che riguardano Uber nel Regno Unito e Deliveroo in Olanda, sciolgono in punta di diritto l’illusione delle illusioni sulla quale si fonda la sedicente “sharing economy”: l’illusione è quella di essere dipendenti soltanto da se stessi, di essere «i propri capi». La realtà è una vecchia forma di schiavitù, sotto nuove vesti. 

Londra e Uber

Cominciamo dal verdetto di ieri della Corte suprema britannica. I conducenti Uber sono a tutti gli effetti workers, lavoratori, e perciò hanno diritto al salario minimo e alle ferie retribuite. La retorica del «non lavori per noi, ma con noi» sulla quale ha puntato Uber -  infatti ha sostenuto in tribunale che i guidatori fossero <partner self-employed>, datori di lavoro di se stessi - viene disinnescata. I lavoratori hanno diritto a veder soddisfatti tutti i loro diritti: compenso minimo orario, salario minimo, trattamento previdenziale, ferie retribuite.

Dipendente o autonomo? 

Aldo Bottini, presidente dell’associazione giuslavoristi italiani, invita a non equivocare la sentenza londinese: la Corte definisce i conducenti workers, non employees. Qual è la differenza? «Gli employees sono a tutti gli effetti lavoratori dipendenti. I workers sono una categoria intermedia».La sentenza inglese è storica perché stabilisce senz’altro una volta per tutte che i conducenti non sono imprenditori di se stessi, e che non è vero che Uber offre solo la tecnologia senza intermediazione tra chi guida e il cliente, come invece l’azienda voleva far credere. «Le piattaforme usano meccanismi di rating dei lavoratori, fanno controlli, impongono le loro condizioni, hanno una posizione di predominio». Però il verdetto non è ambizioso fino in fondo: il worker, pur non essendo certo imprenditore di se stesso, «non è neppure un lavoratore subordinato. È più simile a quel che in Italia chiamaiamo lavoratori autonomi».

I rider nostrani

In questa stessa direzione è andata una sentenza italiana sui rider, della corte di appello di Torino, poi confermata dalla Cassazione: «Quel verdetto - dice il giuslavorista Bottini - afferma che i rider sono lavoratori autonomi ma etero-organizzati, cioè la loro prestazione è organizzata unilateralmente dalla piattaforma». Rimane ancora ambiguo, nella giurisprudenza nostrana, se a questo tipo di lavoratori “etero-organizzati” sia garantita tutta la disciplina del lavoro subordinato, inclusa la tutela contro i licenziamenti. 

Amsterdam la più avanzata

Perciò è interessante osservare cosa è successo in Olanda con Deliveroo: la corte di appello Amsterdam va ben oltre rispetto al Regno Unito. Mercoledì ha stabilito che gli accordi tra la piattaforma e i suoi corrieri sono contratti di lavoro subordinato. I rider sono a tutti gli effetto employees, insomma. Questa sentenza arriva a seguito di una battaglia portata avanti sin dal 2018 dai sindacati olandesi, alla quale ha fatto seguito una vittoria inedita alla Corte suprema lo scorso novembre, contro la quale Deliveroo ha fatto ricorso. E ha perso.

Battaglia europea

«Nell’ultimo decennio, le piattaforme hanno sfruttato le lacune della legislazione giuslavoristica per fare grandi profitti, senza dare né paghe né condizioni adeguate. Non è equo né per i lavoratori né per gli altri tipi di aziende che invece garantiscono quei diritti» dice Ludovic Voet della confederazione europea dei sindacati (Etuc). La confederazione chiede ora che anche l’Unione europea intervenga, e spera nella consultazione che mercoledì la Commissione europea lancerà sulle “condizioni dei lavoratori delle piattaforme”. 

Bologna, Barcellona, Stoccolma, Parigi

Le sentenze apripista infatti si accumulano: in Spagna due mesi fa Deliveroo è stata obbligata a pagare 1,3 milioni di euro di contributi per 748 rider spacciati scorrettamente per “self employed”. Da noi, in Italia, il tribunale di Bologna si è espresso sul meccanismo di rating di Deliveroo, affermando che l’algoritmo usato è discriminatorio per i lavoratori, e finisce per penalizzare chi è indisponibile per sciopero o malattia. In Danimarca, Austria e Svezia i sindacati hanno negoziato contratti nazionali collettivi per i rider. In Francia Just Eat assumerà 4500 corrieri entro la fine dell’anno. Ma finora ogni avanzamento ha portato un piccolo passo. Serve invece un grande passo dell’Europa.

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