La parola d’ordine è «accelerare». Accelerare l’entrata in vigore del Patto sulla migrazione e l’asilo dell’Unione europea su spinta dei paesi del sud del Mediterraneo, che a Napoli si sono incontrati il 12 aprile chiedendo che l’accordo raggiunto dopo sei anni di trattative venga attuato il prima possibile. E accelerare le procedure con cui vengono analizzate le domande di asilo lungo le frontiere. Un primo impulso è arrivato dalla Commissione europea che ha proposto una lista di paese di origine sicuri.

Questo significa che le domande di protezione internazionale dei cittadini provenienti da Kosovo, Bangladesh, Colombia, Egitto, India, Marocco e Tunisia saranno accolte con maggiore difficoltà. Provenire da un paese inserito nella lista di quelli sicuri significa poter chiedere la protezione internazionale ma avere meno garanzie, tempi ristretti e una buona possibilità che la propria domanda di asilo venga rigettata perché la situazione del paese sarebbe tale da presumere che le richieste di protezione internazionale non siano fondate.

Cosa prevede la proposta

Come si legge nel comunicato della Commissione europea la lista dei paesi sicuri può essere cambiata dai paesi membri a seconda di ragioni specifiche o può essere modificabile per gruppi di persone chiaramente identificabili. 

Alcuni paesi hanno già delle loro liste. L’Italia ha designato con un decreto legge, poi convertito dal parlamento, come sicuri: Albania; Algeria; Bangladesh; Bosnia-Erzegovina; Capo Verde; Costa d’Avorio; Egitto; Gambia; Georgia; Ghana; Kosovo; Macedonia del Nord; Marocco; Montenegro; Perù; Senegal; Serbia; Sri Lanka; Tunisia.

L’elenco proposto dalla Commissione europea serve per creare una lista comune e uniforme per i vari stati. La lista potrebbe allargarsi, al momento da Bruxelles stanno valutando anche la possibilità di inserire anche i paesi candidati per entrare nell’Unione europea (tra questi Albania, Bosnia-Herzegovina, Georgia, Macedonia del Nord, Serbia, Montenegro, Moldavia e Ucraina). Ampio margine di autonomia è lasciato ai paesi membri, quindi, che potranno decidere di sospendere o rimuovere dall’elenco gli stati che non soddisfano più i criteri per essere designati come sicuri.

La proposta della Commissione seguirà ora la procedura legislativa ordinaria, sottoponendosi all’esame sia del Consiglio che del parlamento europeo, seguita da negoziati interistituzionali.

Esulta il governo

«Accolgo con grande soddisfazione la proposta di lista Ue paesi sicuri di origine presentata dalla Commissione europea e che ricomprende, tra gli altri, anche Bangladesh, Egitto e Tunisia», dice Giorgia Meloni.

«Ritengo altrettanto positiva la proposta di anticipare l’entrata in vigore di alcune componenti del Patto Migrazione e Asilo, in particolare la possibilità di designare Paesi sicuri di origine con eccezioni territoriali e per determinate categorie e di applicare il criterio del 20 per cento. Si tratta infatti di fattispecie che consentono di attivare le procedure accelerate di frontiera ai migranti che arrivano da determinate nazioni, come previsto dal protocollo Italia-Albania», ha aggiunto la premier che ha rivendicato una vittoria politica.

«È un’ulteriore conferma della bontà della direzione tracciata dal governo italiano in questi anni e del sostegno di sempre più nazioni europee. L’Italia ha svolto e sta svolgendo un ruolo decisivo per cambiare l’approccio europeo nei confronti del governo dei flussi migratori. Se oggi anche in Europa ci si pone come priorità la difesa dei confini esterni, il contrasto all’immigrazione irregolare di massa, il rafforzamento della politica dei rimpatri e l’attuazione di partenariati paritari con i paesi di origine e transito, lo si deve per buona parte alla determinazione e alla caparbietà dell’Italia».

Mentre il governo e la maggioranza di centrodestra esulta, le organizzazioni a difesa dei diritti umani sollevano interrogativi e dubbi sulla scelta della Commissione europea. Proprio oggi, Human rights watch ha pubblicato un rapporto su come il governo tunisino ha trasformato la detenzione arbitraria nel fondamento della sua politica repressiva. Arresti che sono volti a privare i suoi cittadini dei loro diritti civili e politici.

Cpr in Albania

In giornata è stata diffusa la notizia secondo cui dieci migranti trattenuti la settimana scorsa nel cpr in Albania sarebbero stati trasferiti nel carcere limitrofo dopo una rivolta. Partita da un quotidiano albanese la fake news è stata ripresa da alcune testate italiane, ma è stata smentita in un secondo momento da diverse fonti. Dal Viminale fanno sapere che le proteste dentro il centro hanno causato qualche vetro rotto, ma la situazione è rientrata nell’ordinarietà. Nessuna persona è stata portata in carcere, anche perché sempre secondo fonti del ministero dell’Interno non è stato ancora aperto ed è quindi al momento vuoto.

Nel frattempo, un secondo migrante dei quaranta trasferiti in Albania è rientrato a Bari. Si tratta di un georgiano di 39 anni ritenuto «inidoneo» alla «vita in comunità ristretta» perché in evidente stato di vulnerabilità psichica. A tentare di colmare l’assenza di monitoraggio su ciò che sta accadendo nel cpr ci sono le deputate del Partito democratico Rachele Scarpa e Ouidad Bakkali e alcuni rappresentanti del Tavolo asilo e immigrazione, che hanno visitato la struttura e sono riuscite a parlare con alcuni trattenuti. Una presenza che è stata assicurata anche nei giorni scorsi e ha rilevato diverse criticità sulle modalità di selezione e di trasferimento dei quaranta cittadini di origine straniera in Albania, a partire dall’utilizzo delle fascette ai polsi. 

Alcuni trattenuti hanno raccontato di aver fatto tutto il viaggio, dai Cpr di Milano e di Palazzo San Gervasio, in provincia di Potenza, fino all'imbarco a Brindisi e nella traversata in nave con le fascette ai polsi. Ad altri invece sono state messe direttamente sulla nave. 

Le deputate spiegano poi che il 13 aprile nel registro – dove vengono annotati tentativi di suicidio, atti di autolesionismo o proteste – risultavano otto eventi critici, aumentati drasticamente a 21 il 16 aprile.

«I criteri di selezione delle persone portate in Albania sono ancora misteriosi. Non abbiamo ricevuto alcuna risposta alle richieste di accesso agli atti che abbiamo presentato, a partire dall'elenco dei trattenuti o i fascicoli giudiziari», dicono Scarpa e Bakkali a Domani. «Alla luce dei documenti che abbiamo potuto consultare, due persone sono già rientrate in Italia e non tutti i trattenuti hanno precedenti penali. Diversi di loro hanno bambini in Italia e vivono nel nostro paese da 10/15 anni», aggiunge.

Nei prossimi giorni, fa sapere il Tavolo, il monitoraggio «continuerà a concentrarsi sulla verifica delle tutele fondamentali per le persone in trattenimento, in particolar modo sulle condizioni di accesso all’assistenza legale per tutte le persone trattenute e la tutela della salute». Ma, conclude, l’intero impianto del protocollo «rappresenta una violazione dei diritti fondamentali delle persone migranti e pone gravi interrogativi sul piano della legalità costituzionale ed europea». 

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