Per l’Unione europea la transizione energetica è sempre meno importante, mentre non mancano i fondi per aumentare la produzione di armi e sostenere le industrie militari. Tra creazione di nuovi progetti e l’incremento del budget di quelli già esistenti, negli ultimi mesi l’Ue ha puntato sempre di più sugli investimenti in Difesa, arrivando a fare forti pressioni anche sulla Banca europea per gli investimenti.

Il programma Step

A ottobre, il parlamento ha approvato la creazione di Step, una Piattaforma europea per le tecnologie strategiche il cui obiettivo è di "promuovere le tecnologie digitali, quelle a zero emissioni e biotecnologiche e rinforzare l’innovazione".

Il programma dovrebbe avere una dotazione di 10 milioni, espandibili a 13, derivanti in parte da sei fondi già esistenti tra i quali InvestEU, Horizon Europe, European Defence Fund and Innovation Fund. Inizialmente Step era stato pensato come un nuovo fondo europeo di sovranità, ma le ambizioni dell’Ue si sono costantemente ridotte, soprattutto nelle ultime settimane.

A metà gennaio, il Consiglio ha raggiunto un accordo parziale sul fondo limitandone drasticamente la portata, già non all’altezza delle ambizioni. La proposta di dedicare 10-13 milioni di euro a un progetto di così ampio respiro era ritenuta non sufficiente per raggiungere gli obiettivi prefissati, ma il risultato della negoziazione di gennaio ha fatto crollare ulteriormente le aspettative, oltre ad aver dimostrato ancora una volta come l’attenzione dell’Ue sia sempre più diretta verso il mondo militare e sempre meno verso la transizione ecologica.

Come si legge nella proposta del Consiglio pubblicata a metà gennaio, infatti, gli unici fondi aggiuntivi su cui è stato raggiunto un accordo sono quelli per il Fondo europeo per la difesa, pari a 1.5 milioni di euro. Gli altri 8.5 da dedicare al raggiungimento degli altri obiettivi, tra cui il sostegno alla transizione ecologica, sono stati depennati e la discussione rimandata a quando sarà terminata la revisione del Bilancio europeo. 

Le pressioni sulla Banca europea

Ma l’immissione di nuovi fondi non è l’unica forma di sostegno dell’Ue all’industria bellica. A finire nel mirino è stata anche la Banca europea per gli investimenti (Bei), creata per sostenere gli obiettivi politici dell’Ue. In una lettera congiunta firmata a dicembre, i ministri della Difesa dell’Ue hanno chiesto alla Bei di aprirsi ai finanziamenti verso il settore bellico puro, proponendo quindi una revisione dello statuto stesso della Banca. L’istituzione finanziaria infatti non può investire in progetti di carattere puramente bellico e fino ad oggi si è limitata a quelli dual-use. Per i ministri, però, è tempo di cambiamenti. 

A preoccupare le cancellerie europee e le stesse industrie della Difesa è la maggiore attenzione degli investitori verso i criteri Esg, ossia quegli indicatori che permettono di analizzare l'attività di un'impresa anche dal punto di vista ambientale, sociale e di buona governance.

Questi criteri escluderebbero il settore della Difesa, come lamentato da imprese e governi europei che continuano invece ad insistere sul valore sociale delle armi e sull’importanza che la loro realizzazione ha per la protezione della libertà.

È in questo contesto che si inserisce la dichiarazione congiunta dei ministri della Difesa, secondo i quali le banche europee devono fare di più per rafforzare la base tecnologica e industriale del Vecchio continente, garantendo l’accesso ai prestiti e ai servizi finanziari necessari per il suo sviluppo.

Tra queste, viene menzionata in maniera esplicita la Bei, che continua però a dimostrarsi riluttante nel cambiare il proprio statuto in un momento storico in cui l’attenzione verso l’impatto sociale e ambientale degli investimenti ha sempre più rilevanza. Al momento, la Bei può contare su un rating AAA, il più alto esistente, e il timore è che aprendosi del tutto al mondo militare possa subire un declassamento e perdere gli investimenti dei fondi pensionistici, fondamentali per la tenuta della Banca.

Secondo diverse indiscrezioni, a essersi espressi in favore di una revisione sarebbero stati anche il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, secondo i quali alla Bei dovrebbe essere concesso di partecipare a progetti che prevedono la creazione o l’acquisto di armi. In questo modo, la Banca sosterrebbe gli sforzi europei di armonizzare l’industria bellica del Vecchio continente e potrebbe finanziare i programmi di acquisto congiunto pensati anche per aiutare l’Ucraina, oltre che per rafforzare l’autonomia dei paesi Ue.

Se ufficializzato, il sostegno della Francia e ancora più della Germania sarebbe fondamentale per convincere la maggioranza del consiglio di amministrazione della Bei, composto da alti rappresentanti dei ministeri delle Finanze dei 27 stati membri, a cambiare lo statuto. Per arrivare a questo punto, è necessario il via libera di almeno 14 paesi che rappresentino il 50 percento del capitale sottoscritto della banca e la Germania è uno dei maggiori azionisti insieme a Francia e Italia. Molto però dipenderà dalla posizione della nuova presidente, Nadia Calviño, che a gennaio ha preso il posto di Werner Hoyer, notoriamente contrario a ogni possibile modifica.

Intanto però la Banca europea ha trovato un modo per partecipare almeno in parte allo sviluppo della Difesa europea. La Bei - tramite il Fondo Ue per gli investimenti - e il Fondo europeo per la Difesa hanno dato vita al Defence equity facility, un programma da 175 milioni da usare per stimolare gli investimenti privati in piccole e media imprese del settore difesa dal 2024 al 2027.

Ufficialmente sarà dedicato allo sviluppo di progetti innovativi con potenziale uso duale, ma il confine tra le tecnologie usate per l’ambito civile e quello militare è sempre più sottile e la Bei sembra si stia preparando ad attraversarlo. Il tutto mentre la transizione energetica passa sempre più in secondo piano.

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