Sotto la premiership di Kyriakos Mitsotakis, il leader del partito di destra Nuova democrazia, l’opposizione in Grecia è stata intercettata. «Lo scandalo dello spionaggio, che nel resto d’Europa è stato ribattezzato come “il Watergate greco”, è soltanto l’apice di una deriva che non si ferma certo a questo». Ne è convinto Stathis Gourgouris, che si trova in Grecia, ma è abituato a osservare il suo paese anche a distanza: ha insegnato a Princeton, a Yale, ed è professore alla Columbia University. Assieme a una lunga lista di accademici e giuristi greci, ha chiesto pubblicamente le dimissioni del premier Mitsotakis. Ci sono anche le “dieci domande a Mitsotakis”, assieme alla richiesta di fare un passo indietro. «Abbiamo assistito alle violenze della polizia, alle violenze verso i rifugiati, ai tentativi di condizionare la stampa, e quest’ultimo scandalo è un segnale troppo pericoloso per poter essere ignorato».

L’innesco europeo

Nikos Androulakis è il leader di uno dei partiti di opposizione in Grecia, ed è anche eurodeputato. Dopo lo scandalo Pegasus, il software israeliano utilizzato anche da governi europei come quello ungherese per controllare stampa e opposizione, l’Europarlamento ha costituito una commissione di inchiesta – il “Pega Committee” – proprio per investigare sull’uso di sistemi di sorveglianza. Si può dire che è grazie alla mobilitazione degli eletti europei, e alle verifiche messe in atto dopo lo scandalo Pegasus, che Androulakis ha scoperto di essere stato spiato dall’intelligence greca. «Grazie alle analisi effettuate sul mio telefonino dai servizi dell’Europarlamento, ho scoperto che sono stato preso di mira con il software Predator. Il mio telefono è stato messo sotto sorveglianza proprio nel periodo nel quale si tenevano le elezioni per la presidenza del partito socialista: sono stato intercettato tra il momento in cui sono iniziate e quello in cui sono stato eletto presidente del Pasok». Così racconta Androulakis stesso, nella testimonianza data questo lunedì in plenaria al Parlamento Ue.

Il Wategate greco

«Prendiamo seriamente questa storia amico, guarda un po’, perché qui c’è da guadagnarci». Così recita il messaggio-esca spedito a ridosso del voto per il congresso del Pasok sul telefonino di Androulakis, assieme a un link pronto a infettarne il cellulare con il software per lo spionaggio (lo “spyware”) Predator. Il leader di opposizione greco però all’epoca non clicca sul link: non si fida, non casca nella trappola. Quando, mesi dopo, i servizi dell’Europarlamento rintracciano l’esca, Androulakis decide di andare fino in fondo e si rivolge alle autorità greche. Scopre così che l’intelligence ha trovato comunque il modo di controllarlo, in quella seconda metà del 2021 nella quale si preparava ad assumere le redini del Pasok: «Le indagini dell’autorità per la protezione dei dati hanno dimostrato che il mio telefonino è stato intercettato. La cosa incredibile è che a quanto pare quando si è saputo che avevo presentato una querela il mio dossier è stato distrutto. Mitsotakis presiede i servizi segreti, deve darmi spiegazioni, deve darne pubblicamente».

Il premier e l’intelligence

«C’è stato un errore», ha detto ad agosto il premier greco, che ha difeso però l’operato complessivo dei servizi, e ovviamente il proprio: secondo la sua versione dei fatti, non è stato lui a dare mandato di spiare l’opposizione. Tuttavia il ruolo di Kyriakos Mitsotakis è per forza di cose centrale in questa storia. È infatti proprio a seguito di una riforma operata durante il suo governo, che l’agenzia nazionale di intelligence greca (Eyp) è stata posta sotto il suo diretto controllo. Quando tre anni fa Mitsotakis ha assunto la guida del paese, riformare il quadro in modo da assumere lui le redini dell’Eyp è stata una delle prime cose che ha fatto. Tuttavia ad agosto sono altre le teste che ha fatto saltare, dopo lo scandalo: dopo che l’ufficio del primo ministro ne ha stigmatizzato le «azioni non corrette», Panagiotis Kontoleon si è dimesso da capo dell’agenzia Eyp. Ha fatto un passo indietro anche Grigoris Dimitriadis, che era segretario generale del primo ministro. E che ne è pure il nipote.

Istituzioni fragili

«Molti aspetti di questa storia sono poco chiari, ed è quindi ancora difficile prevedere quale sarà la portata di questo scandalo», dice il politologo greco Stathis Kalyvas, che insegna all’università di Oxford. «Ma c’è un aspetto che non può sfuggire all’analisi. Per quanto sia difficile trovare un paese nel quale i servizi segreti non siano in qualche modo politicizzati, in Grecia il confine tra autorità pubblica e politica è particolarmente fragile e permeabile». Kalyvas parla di poor institutionalization, e cioè di istituzioni ancora immature. Può sembrare paradossale, nella patria della democrazia, eppure «si può dire che i servizi pubblici siano ostaggi del governo. Sono fragili, spesso sono guidati da figure di nomina politica, con dinamiche clientelari, e non mi stupisce che questo governo invece di favorirne l’indipendenza abbia lavorato per controllare ancor di più la macchina».

Lo scandalo si allarga

Il caso del presidente del Pasok evoca il Watergate americano, ma l’opposizione politica non è l’unica a sollevare il tema dello spionaggio in Grecia. Una delle prime avvisaglie è arrivata a dire il vero da un giornalista la scorsa primavera, e all’epoca il governo Mitsotakis ha negato ogni coinvolgimento. Se si riavvolge il nastro, quella storia oggi assume una luce diversa. Thanasis Koukakis si occupa di finanza per Cnn Greece, scrive per il Financial Times, e già nel 2020 ha notato che sul suo telefonino qualcosa non tornava; ma le autorità greche, di fronte alla sua segnalazione, gli hanno detto che era tutto a posto. Ha comprato un telefono nuovo, che poi è stato infettato con Predator nel 2021; Koukakis ne ha avuta la certezza la scorsa primavera, perché un’organizzazione per i diritti digitali, Citizen Lab, glielo ha confermato. Eppure ad aprile, quando ha chiesto spiegazioni, il governo greco si è tirato fuori. A inizio agosto, con la pressione dello scandalo “Watergate greco”, il capo dell’agenzia di intelligence ha però riconosciuto, davanti a una commissione parlamentare, che l’agenzia aveva spiato un giornalista.

Stato di diritto

Gli accademici e i giuristi che chiedono le dimissioni di Mitsotakis, con l’iniziativa “Ora 0 Demokratia” e le loro “Dieci domande al premier”, sono persuasi che in Grecia ci sia una deriva pericolosa. «In questo paese, che era sotto la giunta militare fino a non molto tempo fa, se c’era qualcosa sul quale tutte le parti politiche si trovavano d’accordo era di dover difendere la democrazia, invece ora ci ritroviamo persino con l’opposizione intercettata», spiega il professor Gourgouris, che è uno dei promotori. «Mitsotakis si è presentato come il gran modernizzatore della politica, ha esibito la sua laurea a Harvard, ma ora si vedono gli effetti della sua premiership: vediamo che inietta soldi per condizionare i media, assistiamo a violenze della polizia e contro i migranti». Tra le scelte del governo di Nea Demokratia c’è stata anche quella di riportare la polizia nelle università, il che ha scatenato non poche reazioni: per quanto i campus possano avere problemi, la scelta di gestirli in questo modo evoca i tempi della dittatura dei colonnelli. «Mitsotakis giustifica le sue scelte con una agenda nazionalista e con la propaganda della paura, ma il risultato di tutto questo è che lo stato di diritto è compromesso», chiosa Gourgouris.

Bruxelles guarda

La Commissione europea sta a guardare: se già con casi conclamati di violazione della rule of law come Polonia e Ungheria è intervenuta tardi e poco, con lo scandalo greco usa toni ancor più vaghi. Lunedì davanti al Parlamento Ue il commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders ha dovuto intervenire sul caso, e a quel punto ha precisato che «abbiamo scritto al governo greco» perché i governi non possono intercettare «a meno di dimostrare che la sicurezza interna è in effetti a rischio». Un intervento che ha mandato su tutte le furie la eurodeputata liberale olandese Sophie in’t Veld, della commissione Pega: «Come si fa a rinviare ai governi la questione, quando sono proprio loro il problema? Fate il vostro lavoro! Proteggete i cittadini europei, invece che i loro governi!».

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