Per l’ennesima volta Pedro Sánchez cerca la salvezza. Ma neanche la salvezza è più quella di una volta.

A maggio di nove anni fa, gli indignati di Podemos hanno sbancato alle europee strattonando il partito socialista. Lo Psoe aveva le ossa rotte nell’estate 2014, quando Sánchez ne ha assunto la guida. Sálvame – che vuol dire «salvami» – è il nome di uno dei tanti programmi tv che l’allora neosegretario ha presidiato, in cerca di audience e consensi.

Oggi molto è cambiato. Podemos rischia l’estinzione. Yolanda Díaz va alla conquista di quel che resta: una sinistra scomposta. Neppure Sálvame si è salvato: chiuderà i battenti. Ironico che l’annuncio sia arrivato a inizio maggio, prima delle amministrative che hanno decretato l’avanzata delle destre. Stavolta non è detto che per ottenere salvezza basti il grande azzardo di anticipare le elezioni politiche al 23 luglio invece che a dicembre.

A luglio la Spagna assume la presidenza di turno in Ue, ma il discorso inaugurale slitta all’autunno. Il rischio della virata verso la destra estrema è concreto: Sánchez si gioca una sorte europea, non solo la propria. Deve mobilitare l’elettorato a sinistra, perciò è decisivo il ruolo della vicepremier Díaz. Entro questa settimana, il partito da lei fondato, Sumar, dovrà anche trovare una configurazione ufficiale come coalizione. Il volto chiave di Sumar è Díaz, ma il piede sull’acceleratore è quello di Sánchez.

Mobilitare gli elettori

«La campagna di Sánchez per le amministrative era basata sui successi del suo governo, mentre il lemma delle destre era cacciare Sánchez», dice lo storico Steven Forti dell’Universitat Autònoma de Barcelona. «A quanto pare la strategia pro Sánchez non ha mobilitato elettori quanto quella di destra».

A voler intendere le amministrative del 28 maggio come una sorta di primo turno fantasma delle elezioni generali – inizialmente previste per dicembre – si dovrebbe dedurne che il premier ne esca defenestrato; tantopiù che il clima da “referendum anti Sánchez” a destra ha funzionato. La trasmigrazione a destra di sei regioni prima guidate dallo Psoe è l’effetto concreto.

Ma la débacle a sinistra – sconfitta anche nelle sue roccaforti – non si spiega solo come un fallimento socialista. Rispetto al 2019, il partito socialista ha perso solo un punto percentuale: dal 29 al 28 per cento. Il vero vulnus è che nel frattempo a Sánchez si è sgretolato il fianco: a sinistra l’argine è franato, con la débacle di Podemos, mentre dal versante opposto la destra è un fiume in piena. I popolari hanno fagocitato tutti i voti che prima erano di Ciudadanos, e sono risultati il primo partito. L’estrema destra di Vox, alleata di Giorgia Meloni nel gruppo dei conservatori europei, ha raddoppiato la sua percentuale: è arrivata al 7 per cento.

«Ora Sánchez rilancia: non vuole farsi friggere sulla piastra per mesi e mesi», sintetizza Forti. I mesi da giugno fino a dicembre avrebbero lasciato il varco aperto per nemici interni ed esterni, nel partito socialista e fuori, restituendo un premier dimezzato e infragilito. Sánchez al logoramento preferisce l’azione d’urto: ha scelto di votare presto, anche per costringere il campo a sinistra a riorganizzarsi in fretta. E intende convertire la batosta delle amministrative in un trampolino di lancio per un’operazione di “scontro di civiltà”: lo scenario del centrodestra popolare che si «melonizza» aprendo all’estrema destra di Vox consente a Sánchez di puntare sulla demonizzazione dell’avversario.

Nell’insieme, la sua strategia dovrebbe – nelle intenzioni del leader – mobilitare l’elettorato dormiente.

Ricomporre la sinistra

Il primo effetto delle elezioni anticipate è quello di accelerare una ricomposizione a sinistra. Sánchez costringe le altre formazioni a organizzarsi, e in fretta. Le costringe anzitutto per le scadenze: con il voto a luglio, già entro questa settimana i partiti devono dichiarare eventuali coalizioni.

Le costringe anche sul piano politico: ora Yolanda Díaz farà una agile scalata sopra le macerie di Podemos, uscito maciullato dal voto di fine maggio. Díaz può giocarsi appieno la sua chance di coagulare sotto nome suo, e della sua creatura “Sumar”, le formazioni a sinistra dei socialisti. L’idea che da quelle parti regnassero frammentazione, contese fratricide per il potere e debolezze non ha certo aiutato i progressisti nella competizione per gli enti locali, e sarebbe disastrosa anche alle politiche.

«Sánchez ha bisogno di un junior partner di coalizione – dice Forti – che abbia basi solide e che al contempo non impensierisca i socialisti. Il premier ha cercato di non esporsi molto sulle tensioni tra la ministra e Pablo Iglesias, ma appoggia Díaz; se la vivesse come una nemica avrebbe un’attitudine diversa. Al contrario, cerca in lei una alleata forte».

Yolanda Díaz si preparava da tempo a diventarlo, anche se la sua intenzione di ambire alla premiership del paese è stata lanciata pubblicamente ad aprile.

La scalata di Díaz

La ministra del Lavoro non sarebbe dov’è – cioè ad accaparrarsi lo spazio a sinistra – se non ci fosse stato Podemos: prima lo ha usato come rampa di lancio, e ora sta per fagocitarlo.

Pablo Iglesias e Yolanda Díaz hanno collaborato dal 2012 per poi condividere nel corso degli anni una forte intesa sia politica che amicale. È stato Iglesias stesso, qualche tempo fa, a dichiarare pubblicamente che «Díaz può essere la premier». Nel 2019 si è consumata del tutto la rottura tra Díaz e Izquierda Unida, ma Podemos e Iglesias hanno sostenuto la scalata di lei; nel 2020 è stata supportata per la nomina a ministro del Lavoro, e nel 2021, quando Iglesias ha fatto un passo indietro da partito e governo, è stata proprio Díaz ad assorbire il suo incarico di vicepremier.

L’estate 2021 è anche l’anno della Podemos 2.0. Inizialmente, è la vittoria schiacciante di Isabel Díaz Ayuso nella comunità autonoma madrilena a innescare il ritiro formale di Iglesias. Comincia l’èra di Ione Belarra segretaria, e Podemos prova a rilanciarsi all’insegna di femminismo e diritti. In realtà la rigenerazione 2.0 si rivela uno spegnimento progressivo. La legge “solo sì è sì” sul consenso sessuale manda in tilt la coalizione di governo per le scappatoie giuridiche che produce suo malgrado; più di recente, la “ley trans” per l’autodeterminazione del genere, voluta fortemente dalla ministra Irene Montero di Podemos, fa deflagrare scontri interni a sinistra nella galassia femminista.

Mentre la destra impone la guerra culturale in agenda, è la sinistra che ci si frammenta sopra. Ma non è neppure questo il punto cruciale: osserva Mathieu Gallard di Ipsos che «il crollo di Podemos è molto più legato alla trasformazione del partito in un fan club di Iglesias che lo dirige sotto traccia senza assumersene la responsabilità, e che blocca i tentativi di ricomposizione dello spazio politico». Insomma, il fondatore si è dimesso solo formalmente, ma è il vero factotum del partito.

Sumar mangia Podemos

Iglesias e la sua cerchia non mollano, insomma. E sia chiaro, neppure Díaz, che ha ribadito in tempi recenti di voler essere lei la leader della nuova “cosa” a sinistra: non c’è primaria che tenga. Podemos era nato come movimento dal basso, anche se oggi si discute di derive accentratrici. Sumar si fonda direttamente su una persona sola – Díaz in virtù della sua popolarità – che decide di crearsi un movimento di contorno. Nel 2022 c’è stato il lancio, con personalità varie; ad aprile 2023 l’annuncio della corsa alla premiership di Díaz, che intanto tesseva per tenere insieme sotto il nome suo e di Sumar le varie realtà a sinistra ed ecologiste; ne conta già almeno una quindicina.

Subito dopo le amministrative, Sumar è stato registrato come partito e si sono intensificati i negoziati con Podemos; che tra débacle e fretta, è nell’angolo. Negli ultimi giorni, il leader di Izquierda Unida Alberto Garzón, come Ada Colau, ha detto che sosterrà Sumar senza però mettersi in lista, per far spazio a volti nuovi; e subito Díaz ha lanciato la frecciata a Belarra e Montero, come a dire: fatevi indietro anche voi.

Da mesi Iglesias borbotta che «serve rispetto» e accusa la sua ex amica di voler «umiliare» Podemos. Entro questa settimana la coalizione va formalizzata e c’è da scommettere che Díaz farà ben più che umiliare Podemos: se lo mangerà con gusto.

 

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