Giorgia Meloni è disposta a restare nei Conservatori europei a ranghi dimezzati. Se gli alleati polacchi, e magari pure gli spagnoli, rincorrono l’abbraccio sovranista di Matteo Salvini, Marine Le Pen e Viktor Orbán, allora Meloni è disposta a rimanerne fuori. La lettera al leader del Pis polacco, Jaroslaw Kaczynski, è stata spedita, la scelta ufficializzata: la presidente del partito conservatore europeo (Ecr) e di Fratelli d’Italia non andrà al meeting delle destre a Varsavia a inizio dicembre. Le sarebbe pure andato bene discutere di valori comuni, di future cooperazioni, assieme agli ungheresi di Fidesz e a una parte dei sovranisti che attualmente fanno parte del gruppo parlamentare europeo di Identità e democrazia. Ma quando ha capito che l’intenzione era un’altra, cioè avviare un’alleanza organica in vista del voto di metà mandato dell’Europarlamento, ha detto stop.

Meglio governista e conservatrice, che sovranista a oltranza, è la linea che prevale ora in Fratelli d’Italia. Così Meloni rischia di tenersi il trono di presidente, ma con un regno che si dimezza. Lo ritiene comunque un investimento per il futuro.

Il passaggio di Varsavia

Prima di rinunciare al vertice, nel tentativo di frenare il nuovo gruppo, la delegazione di Fratelli d’Italia in Europa ha provato a serrare i ranghi. Il partito di Meloni spera, anzi ritiene certo, che almeno una decina delle delegazioni che compongono i conservatori non andrà a Varsavia. La questione del posizionamento delle destre è stata affrontata nel gruppo Ecr, e il copresidente Raffaele Fitto (FdI) ha incassato l’ennesima dichiarazione, siglata assieme al copresidente del Pis, Ryszard Legutko, in cui si dice che Ecr «è qui per restare». Rimane «unito», e semmai è disponibile a «rinforzarsi». In sintesi, niente fusioni coi sovranisti. I sovranisti, però, hanno tentato il blitz. E a meno che non si trovi una mediazione – e lo sperano alcuni eurodeputati del partito polacco – si fa concreta l’ipotesi che il Pis si stacchi per tentare creare la “nuova cosa” con Salvini, Le Pen e Orbán. Il crescente isolamento di Varsavia all’interno della Ue esacerba le dinamiche.

Conservatori a metà

Restare nei conservatori ma senza Pis significherebbe avere un gruppo svuotato. In una formazione europea da 63 eurodeputati, di cui otto di FdI, il partito polacco conta 27 eletti. Anche gli spagnoli di Vox sono a dir poco tentati dai sovranisti: il leader dell’estrema destra spagnola, Santiago Abascal, ha già abbracciato, fuor di metafora, gli ungheresi. Mercoledì, nel suo ufficio da premier a Budapest, Viktor Orbán, e la ministra Katalin Novák che tiene i rapporti con la Lega, hanno conversato con Abascal. All’uscita, un profluvio di selfie entusiasti. Neppure in FdI sono convinti che Abascal rifiuti l’invito a Varsavia, anzi. E dire che poco più di un mese fa Meloni era stata ospite d’onore del congresso di Vox a Madrid. Al netto pure dei quattro eletti spagnoli, senza contare ulteriori perdite, Meloni si ritroverebbe presidente con 32 eurodeputati invece di 63. Vale la pena l’azzardo? Dentro il partito di Meloni, l’idea è che sì, meglio pochi, ma dietro un’etichetta – quella di conservatori – che per chi ambisce a governare è più “presentabile” di quella sovranista. FdI sa che l’operazione di Varsavia sarà rilevante, e ritengono ancor più rilevante tenersene fuori: la patente di conservatori, più vicini ai Tory inglesi e al Likud israeliano, che ai lepenisti, è vista tra i meloniani come una via per maturare come forza di governo. E sorpassare in questo il competitor interno Salvini.

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