Nella Commissione guidata da Ursula von der Leyen, Nicolas Schmit si occupa di lavoro e di diritti sociali. Prima di diventare commissario nel 2019, è stato per ben 15 anni al governo nel suo paese, il Lussemburgo, e poi a Strasburgo come europarlamentare socialista. In questa intervista affronta i temi più attuali sia in Italia che in Europa, dove Schmit è alle prese coi diritti dei lavoratori di Uber & co.

Commissario, a Roma il governo Draghi fa i conti con la prima manovra. Sulle pensioni ha raggiunto una mediazione di breve periodo, ma lo scontro è tra due approcci. Da una parte chi rimpiange Quota 100. Dall’altra chi pensa di tornare alla legge Fornero. Lei da che parte sta?

Oh, my good friend Elsa Fornero, la mia cara amica! Ero ministro del Lavoro in Lussemburgo quando lei lo era in Italia. Ci incontravamo ai vertici. Ricordo bene quanto è stato difficile quel frangente, nel governo Monti, in cui Elsa ha riformato le pensioni. Guardi, una cosa posso dirgliela con certezza. Nel contesto dei fondi del Recovery la Commissione europea ha caldamente suggerito all’Italia, e non soltanto al vostro paese, di badar bene al sistema pensionistico. La situazione demografica è quella che è: siamo una società che invecchia. Purtroppo l’Italia nel contesto europeo è tra i paesi che invecchiano più rapidamente. Inoltre avete avuto un ventennio di crescita bassa se non nulla, e questo ha un impatto sia sulle finanze pubbliche in generale, che sulla sostenibilità del sistema di protezione sociale in particolare. Il terzo elemento da considerare è che l’Italia ha uno dei livelli più alti di disoccupazione giovanile, e c’è molta precarietà: passa molto tempo, prima che i giovani arrivino a contribuire al sistema in modo regolare. C’è un tema, in Italia, di sostenibilità del sistema pensionistico.

Queste sono le sue premesse, ma a quale conclusione la portano? Sì al ritorno alla Fornero, se interpreto bene.

Sono favorevole, sì, a un accordo sulle pensioni che garantisca la sostenibilità del sistema. Di sicuro sono molto, molto riluttante nei confronti di un sistema che fa andare in pensione prima, come può essere il precedente Quota 100. Se vogliamo pensioni di un livello adeguato, e non da povertà, allora estendere il tempo di lavoro nell’arco della vita è necessario. Soprattutto nel contesto demografico attuale, andare in pensione prima va evitato il più possibile.

Anche per chi svolge lavori usuranti, particolarmente faticosi?

Questo è un punto a cui tengo: non possiamo considerare tutti gli anziani, ad esempio chi fa lavori di ufficio e chi invece sta in un cantiere, nello stesso modo. Quando parli di età pensionabile devi introdurre una flessibilità in uscita mirata per quelle categorie che fanno lavori più logoranti. Il dibattito su quali categorie consentano di andare in pensione prima è un terreno che merita di essere esplorato.

In tutto questo l’Ue non ha una competenza diretta sulle pensioni, né i fondi di Next generation Eu possono essere utilizzati per la loro copertura. Le raccomandazioni di Bruxelles di solito sono motivate dalla sostenibilità delle finanze pubbliche. Nel passaggio dall’èra dell’austerity a quella pandemica per lei il ragionamento rimane invariato?

Ha ragione, il sistema pensionistico è ancora di competenza nazionale e lì va deciso. Confermo pure che i fondi di Next generation non possono essere usati per le pensioni, e al contrario servono per investire, modernizzare, migliorare il sistema educativo, digitalizzare il settore pubblico e privato, favorire la transizione green. Ci si augura comunque che tutto questo aumenti la crescita potenziale e quindi anche le politiche sociali: se c’è crescita, ci sono anche i margini per ridisegnare il sistema pensionistico. Io non sto mica dicendo che bisogna avere uno schema di pensioni improntato all’austerità. Sono convinto però che ora la priorità per gli italiani sia imboccare un percorso di crescita, rafforzare la loro economia. Questo favorirà anche la sostenibilità e l’adeguatezza futura delle pensioni. Va considerato che una riforma delle pensioni richiede tempo: dieci, pure trent’anni, perché si arrivi a un riequilibrio.

Da noi anche il reddito di cittadinanza, che lei ora porta sui tavoli europei, è stato preso di mira. Matteo Renzi voleva abolirlo. Draghi lo manterrà, pur con qualche correttivo. Che ne pensa?

Anzitutto ricordo a chi ci legge che qualche tempo fa è stata la stessa Commissione europea, nelle sue raccomandazioni all’Italia, a perorare un sistema di minimum income, o come lo chiamate voi, “reddito di cittadinanza”. In Commissione stiamo anche lavorando su scala europea, a una raccomandazione sul minimum income, dunque è chiaro che il tema ci sta a cuore. I più vulnerabili, chi per vari motivi non può lavorare, chi ha disabilità, chi ha entrate che sfiorano lo zero e non ha altri supporti: in nome di tutte queste persone, il reddito di cittadinanza va tenuto, è un passo fondamentale. Ovvio che bisogna verificare come funziona lo schema e valutare gli aggiustamenti utili.

La Commissione europea ha proposto una direttiva sul salario minimo. Il testo però non obbliga i paesi ad adottare un salario minimo obbligatorio, e mira a una contrattazione collettiva che copra almeno il 70 per cento dei lavoratori; l’Italia è già attorno all’85. Quindi nessun impatto diretto per noi italiani?

Devo confermare la sua conclusione. Non vi imporremo di adottare il salario minimo. Ma visto che in Italia il dibattito c’è, spero che la nostra proposta possa indirettamente favorirlo. C’è poi l’obiettivo complessivo della proposta, che è ridurre il dumping sociale, e che porterà beneficio in qualche modo anche al vostro paese.

L’Italia è l’unico paese dell’Ue dove negli scorsi trent’anni lo stipendio medio dei lavoratori è diminuito invece di aumentare. Tra 1990 e 2020 c’è stato un declino del salario medio annuo del 2,9 per cento. Se quella direttiva non ha impatto, in quali altri modi pensa di mitigare questa situazione?

Bisogna guardare il quadro nella sua interezza: avete avuto quasi vent’anni di stagnazione economica, senza crescita.

L’Italia ha avuto una produttività molto bassa, con un’alta disoccupazione strutturale, specialmente giovanile. Bisogna trovare la via per una crescita forte, perché più crescita e più produttività favoriranno salari migliori. Come fare? I fondi europei sono indirizzati proprio alla modernizzazione e alla digitalizzazione della vostra economia, dunque vanno in quella direzione.

Quei fondi non sono vincolati a clausole occupazionali ma, nella riforma della politica agricola, si è riusciti a introdurre una qualche condizionalità sociale. Non si poteva fare altrettanto su ampia scala, come chiede la confederazione dei sindacati europei?

L’introduzione della condizionalità sociale nella politica agricola europea, la Pac, me lo lasci dire, è una svolta eccellente! Del resto, poteva mai la Pac tener conto del benessere animale e non di quello sociale? Più in generale, lo scenario realistico è quello di esigere dalle aziende che ricevono i fondi che rispettino anche la legislazione sociale, e pretendere che supportino, anche finanziariamente, il ricollocamento dei lavoratori. Ma non è plausibile invece dire: non diamo denaro alle imprese che licenziano.

E darli a chi assume? Se l’obiettivo di Next gen è favorire gli investimenti, perché non vincolare gli stanziamenti anche al lavoro che portano?

Perché magari in pandemia, e quando un progetto inizia, le aziende potrebbero non essere subito in grado di farlo. Ma il principio dei fondi è che se modernizzi diventi più competitivo e quindi sei portato ad assumere.

In Italia Gkn ha praticato un licenziamento di massa e, come alcuni europarlamentari hanno fatto presente anche per iscritto alla Commissione, l’azienda non solo continua a far profitti, ma ha pure incassato fondi europei.

Non conosco il caso, mi impegnerò di più sul punto e risponderò agli eurodeputati.

So che sta studiando una proposta per i lavoratori delle piattaforme, Uber e dintorni. Varie sentenze recenti dicono che i platform workers non sono affatto lavoratori autonomi, ma dipendenti. La sua proposta va nella stessa direzione?

La proposta è da ultimare ma sì, sto lavorando nella stessa direzione di quelle sentenze: dentro e fuori dall’Ue, il 90 per cento dei verdetti dice che quei lavoratori non sono affatto autonomi. Seguo quell’approccio. Prometto una proposta pronta entro fine anno.

Le donne sono le più penalizzate dalla pandemia, anche in termini occupazionali. A loro ha pensato?

Oltre agli investimenti che porterà Next gen, posso dire due cose: in Italia il settore dei servizi all’infanzia è troppo trascurato, va sviluppato di più, anche per aiutare le donne a lavorare.

Bisogna anche dire basta a tutta questa precarietà: serve un maggiore equilibrio tra sicurezza e mobilità.

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