Molti, non solo a Berlino, hanno atteso con grande curiosità il viaggio del ministro degli Esteri Annalena Baerbock  a Kiev e Mosca una decina di giorni fa. L’interesse per la visita, però, era legato alla retorica di Baerbock, che da ex candidata alla cancelleria per i Verdi si è ritrovata a dover difendere una linea politica lontana dalle convinzioni del suo partito. Se infatti su molti dossier la coalizione semaforo composta da socialdemocratici, liberali e verdi rivendica con orgoglio un mutamento radicale rispetto ai governi precedenti, quasi nulla è stato fatto rispetto ai rapporti con la Russia.

Se su molti dossier la coalizione semaforo (composta da socialdemocratici, liberali e verdi) si fregia infatti di aver posto le basi per un mutamento radicale rispetto ai governi precedenti, quasi nulla è stato fatto per alterare la politica nei confronti della Russia.

In quasi tutti gli ambiti della relazione bilaterale, dal gasdotto Nord Stream 2 fino alle recenti tensioni militari, sembra aver prevalso la politica di appeasement del Spd del cancelliere Olaf Scholz, tanto osteggiata da Verdi e Fdp nel loro periodo all’opposizione. L’estrema conseguenza è che, in caso di un’effettiva invasione russa dell’Ucraina, la Germania potrebbe opporsi all’imposizione di sanzioni dure nei confronti di Mosca, così come ha osteggiato il trasferimento di vecchie armi di produzione tedesca che l’Estonia avrebbe voluto cedere a Kiev.

Un conflitto generazionale

La vittoria della linea morbida, almeno finora, non era scontata. Nel 2018, quando i socialdemocratici dovevano scegliere chi avrebbe occupato il ministero degli Esteri, l’allora vicecancelliere Scholz aveva sostenuto la nomina (vittoriosa) di Heiko Maas, scelto proprio per le sue posizioni più rigide nei confronti della Russia.

Allora come oggi, la frattura fra chi sostiene la linea del dialogo incondizionato e chi vorrebbe denunciare le responsabilità del Cremlino si riduce soprattutto a un conflitto generazionale.

Nelle ultime settimane Nils Schmid, portavoce del gruppo parlamentare per gli Affari esteri, ha pubblicamente insistito affinché Europa e Stati Uniti considerino l’opzione di espellere la Russia dal sistema di intermediazione bancaria Swift. Michael Roth, presidente della commissione Esteri al Bundestag, gli ha fatto eco aggiungendo che Berlino dovrebbe utilizzare Nord Stream 2 come «strumento di pressione» contro Mosca.

I due politici, rispettivamente di 49 e 51 anni, sono però una minoranza in un partito in cui molte delle posizioni apicali sono occupate da ultrasessantenni che, entrati in politica durante la fase più calda della guerra fredda, ritengono che qualsiasi tipo di sanzione metterebbe a rischio il dialogo fra Berlino e Mosca.

Il dibattito interno al partito del cancelliere non va sottovalutato. Fonti vicine ai team negoziali per l’accordo di coalizione spiegano che liberali e Verdi si erano inizialmente dimostrati inflessibili nell’opporsi a qualsivoglia concessione nei confronti del governo russo. In particolare sul gasdotto che collega Russia e Germania, il Nord Stream 2 (Ns2), i due partner junior della coalizione semaforo considerano il progetto un nonsense ambientale che permetterà alla Russia di invadere l’Ucraina senza mettere a repentaglio l’export di metano verso l’Ue. La Spd fino a oggi ha invece difeso il progetto, soprattutto per i benefici economici che Ns2 porterà in Mecklenburg-Vorpommern, il Land governato dalla socialdemocratica Manuela Schwesig.

I limiti della diplomazia

Al di là delle divergenze politiche, esistono anche motivi strutturali che rendono complesso un cambio di rotta repentino. È vero che i rapporti con la Russia sono uno dei pochi ambiti politici direttamente gestiti dalla cancelleria. Il consigliere diplomatico di Scholz, Jens Plötner, è stato capo di gabinetto di Frank-Walter Steinmeier, oggi presidente della Repubblica ma da ministro degli Esteri un grande sostenitore dell’amicizia russotedesca.

Al contempo, la politica estera tedesca è spesso il prodotto del minimo comune denominatore fra i diversi dicasteri coinvolti. Anche per questo la diplomazia tedesca ha spesso poco spazio di manovra per soluzioni che non provengano direttamente dai vertici politici.

A ciò si somma la priorità storica della politica estera tedesca: il mantenimento della stabilità internazionale a ogni costo. Perfino il nuovo leader della Cdu Friedrich Merz, che dall’opposizione potrebbe permettersi dichiarazioni più arrischiate, ha criticato una possibile espulsione della Russia da Swift come la causa di un «cataclisma nel sistema finanziario» (o, se si legge fra le righe, un problema per le numerose aziende tedesche con investimenti in Russia). Le conseguenze pratiche di questo approccio sono emerse negli ultimi dieci giorni, quando la Germania ha di colpo raggiunto alcuni dei suoi più vecchi obiettivi: far tornare Mosca al tavolo del consiglio Nato-Russia dopo quattro anni, riattivare l’Osce per provare a contenere la crisi in Europa orientale, e avviare colloqui per il primo summit a quattro fra Francia, Germania, Russia e Ucraina dal 2019. Tutti capisaldi della politica estera tedesca, che però avranno uno scarso impatto causa lo scarso spirito collaborativo del Cremlino.

La pressione degli alleati ha però costretto Scholz a includere lo stop a Nord Stream 2 fra le possibili rappresaglie in caso di invasione russa dell’Ucraina. Il 7 febbraio il cancelliere sarà alla Casa Bianca dove si parlerà anche di questo. E ancora una volta, c’è da scommetterci, opterà per il percorso di minor resistenza.

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