Delegazioni in subbuglio, rivolte e accuse interne, minacce di boicottaggio: la più grande famiglia politica europea è piombata nel caos, e tutto a seguito delle vicende del governo Meloni. È il butterfly effect applicato alla politica: la farfalla che ha provocato l’uragano si chiama Silvio Berlusconi. Il suo battito d’ali – la leggerezza con la quale ha attaccato il presidente ucraino – ha cominciato col produrre indignazione nel fronte progressista ma poi ha portato scompiglio nello stesso Ppe, cioè nell’epicentro delle destre nostrane. Quella popolare è la famiglia europea di Forza Italia, ed è pure quella con la quale Giorgia Meloni sta architettando il 2024 del voto europeo.

L’effetto Berlusconi

(Silvio Berlusconi. Foto LaPresse)

Per capire la portata dell’effetto Berlusconi bisogna prendere i due estremi della giornata di martedì all’Europarlamento. L’inizio è un silenzio assordante, la fine è una condanna verso le parole del leader nostrano, e nel mezzo c’è la rivolta di una parte ingombrante del Ppe contro Berlusconi e chi lo lascia fare. Tutto comincia con il blackout comunicativo di Manfred Weber, che attualmente è il plenipotenziario del Ppe: guida sia il partito europeo che il gruppo all’Europarlamento. A Strasburgo, dove è in corso la plenaria, i cronisti hanno sollecitato invano una reazione sull’affaire Berlusconi; persino il punto stampa di rito del mattino è stato cancellato, ufficialmente per complicazioni di agenda. Weber ci ha provato, a passare sopra i disastri romani, ma il tentativo alla fine è fallito. A metà pomeriggio, poco prima della riunione dei capidelegazione, l’eurodeputato polacco Andrzej Halicki ha confessato tutto il suo sconcerto. Halicki è compagno di partito di Donald Tusk, capodelegazione di Platforma Obywatelska (Piattaforma civica) all’Europarlamento e vicepresidente del Partito popolare europeo. Intervistato da Domani, non ha potuto nascondere l’indignazione verso le derive filorusse che mandano in fibrillazione palazzo Chigi: ha detto che «Forza Italia deve cambiare leader»; che per Berlusconi «è tempo di riposarsi». E il suo non è stato uno sfogo del momento: il leader di Forza Italia è recidivo.

La rivolta nel Ppe

«Già all’epoca delle bottiglie di vodka ricevute da Mosca, ho dato un consiglio a Berlusconi: che le rispedisse indietro. Ma ora il consiglio vorrei darlo a tutti i colleghi italiani, e al nostro partito fratello che è Forza Italia. Vorrei dire: cambiate leadership! La ragione è semplice: tutto questo è inaccettabile, è incompatibile con la linea del Ppe». Il problema del capodelegazione polacco non è solo Berlusconi, è anche il silenzio del leader del Ppe: «Le parole di Berlusconi sono state proferite in pubblico, e altrettanto pubblica deve essere la reazione. Ne va della nostra linea». Gli attacchi a Zelensky mostrano un lato indigeribile della coalizione di governo nostrana. Così il vicepresidente del partito popolare europeo ha lasciato il tavolino del bar ed è entrato nella riunione dei capidelegazione annunciando battaglia: «Ora bisogna affrontare il caso Berlusconi. Anche i colleghi di altre delegazioni ribollono su questa faccenda». E in effetti così è andata: non solo i polacchi, che sono la seconda delegazione più ingombrante nel Ppe, ma pure i baltici e altri rivoltosi hanno minacciato il boicottaggio. Se Weber non avesse preso posizione contro le uscite di Berlusconi, le delegazioni non si sarebbero presentate al summit dei popolari previsto in primavera a Napoli.

L’isolamento

Weber ha potuto ignorare le accuse dell’opposizione ma non ha potuto far finta di niente di fronte alle rivolte interne. La sua apertura verso Meloni gli ha già causato malumori sia in Germania, che nel gruppo: gli eurodeputati di Platforma, che in Polonia è all’opposizione, non digeriscono i flirt con la premier finché lei resta nel gruppo con gli ultraconservatori del Pis che a Varsavia governa. Insomma, la giornata si è conclusa con la resa ai rivoltosi: il gruppo popolare ha dato un segnale pubblico. «Respingiamo con fermezza le dichiarazioni fatte da Berlusconi sull’Ucraina. Non riflettono la nostra linea politica». E pensare che durante la campagna elettorale italiana Weber aveva giustificato il supporto alla coalizione di destra sostenendo che Forza Italia sarebbe stato il faro europeista e responsabile che riequilibra gli eccessi: ora non resta neppure un barlume di quell’illusione. Intanto il caso Berlusconi acuisce i problemi di isolamento che già il governo Meloni scontava. Basti pensare che il francese Stéphane Séjourné, fido macroniano e capogruppo di Renew, interrogato sul caso risponde così: «Berlusconi è parte di questo governo, la visita di Zelensky a Parigi era una visita amichevole». Come a dire che a Roma l’accoglienza non lo sarebbe stata altrettanto.

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