Che cosa guiderà l’Unione europea e le sue scelte nell’ambito della difesa? Sulla carta ora c’è una «bussola strategica»: si chiama così il libro bianco che i ministri degli Esteri e della Difesa dell’Ue hanno approvato questo lunedì. Ma per rispondere alla domanda bisogna accompagnare la lettura della «bussola» con la virata strategica di Berlino. Mentre il percorso di militarizzazione dell’Unione europea progredisce da vent’anni, e lo «strategic compass» è a sua volta in preparazione da quasi due anni, la guerra in Ucraina è l’occasione storica di una svolta che comincia dalla Germania. Consiste non soltanto nell’aumento delle spese militari, ma anche nel consolidamento di un legame con Washington. Questo tipo di «bussola» ha risonanze anche in ambiti diversi da quello della difesa. Non è un caso che proprio ora il ministro delle Finanze tedesco chieda di riesumare il trattato di libero scambio con gli Usa (il Ttip).

Quale «bussola strategica»

A giugno del 2020 gli stati membri dell’Ue avviano il percorso per la formulazione dello «strategic compass». Nell’estate di quell’anno la Germania assume la presidenza di turno. L’allora ministra della Difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, mette in calendario per novembre la prima «analisi dei rischi Ue». Nel frattempo rassicura Washington: «Prima che l’Ue possa rimpiazzare le capacità della Nato e dei nostri partner transatlantici con le proprie, europee, la strada è a dir poco lunga», dice. Nelle sue interlocuzioni con l’Atlantic Council garantisce anche che i paesi terzi potranno concorrere ai progetti per la difesa finanziati con fondi europei. In quella stessa estate, Berlino propone di riavviare i colloqui per gli scambi commerciali Ue-Usa, una volta eletto il nuovo inquilino alla Casa Bianca. Al contempo Emmanuel Macron, e il commissario al Mercato interno francese Thierry Breton, spingono per la «autonomia strategica», ovvero l’idea di rafforzare i propri campioni industriali. Questo si riflette nell’idea, fatta propria anche dalla presidenza tedesca, che «bisogna rafforzare le capacità militari proprie dell’Ue, perché alcuni conflitti toccano più gli interessi Ue che quelli della Nato». Nella prima metà del 2021 vanno avanti le interlocuzioni con gli stati membri per la stesura della bussola. Ma è la scorsa estate, con l’esodo dall’Afghanistan, che il progetto riceve una ulteriore spinta politica. Quella crisi infatti rappresenta, per usare le parole dell’alto rappresentante Ue Josep Borrell, «il momentum»: «Alcuni eventi catalizzano la storia, e la débacle in Afghanistan è uno di questi eventi». Così Borrell argomenta l’urgenza di «rafforzare l’impegno» dell’Ue nell’ambito della difesa; fino a quel momento, il fondo europeo della difesa è già cresciuto esponenzialmente, e a vantaggio dei colossi dell’industria militare come Leonardo, Thales, Airbus; che infatti provano, con la complicità di Bruxelles, a trasformare il fallimento in Afghanistan nella propria rivincita.

La guerra e la spesa in più

Ma è la guerra in Ucraina a imprimere l’orientamento finale alla bussola strategica, che viene rielaborata alla luce degli sviluppi in corso; e che, dopo l’imprimatur dei capi di stato e di governo, fornirà un indirizzo politico fino al 2030. Ciò che resta dell’idea iniziale è anzitutto l’operazione simbolica di imbastire una “Eu rapid deployment capacity”, il dispiegamento di truppe comuni fino a 5mila unità, operative entro il 2025. La scelta effettuata con la guerra in Ucraina, di usare la «peace facility» per fornire equipaggiamento militare come fatto con Kiev, viene sistematizzata nel documento. L’idea di spendere di più in ambito militare, già presente prima, trova nuova linfa. Nella bussola c’è scritto: pensare la difesa comune non significa solo coordinarsi, quindi «spendere meglio», ma anche «spendere di più». Il documento che indirizza l’Ue è in sintonia con la svolta di Berlino: a fine febbraio Olaf Scholz ha dato il via al riarmo della Germania, spingendola verso l’obiettivo di spesa del due per cento del Pil. L’Italia ha avviato un dibattito analogo. E lo stesso tipo di impulso è partito dal consiglio europeo di Versailles. Era un vertice informale, ma la «bussola» lo assume come un summit-guida. E conclude, tra le altre cose: «Aumenteremo in modo sostanziale le nostre spese per la difesa», e «innalzeremo gli investimenti sulla difesa» anche a livello Ue, con il fondo europeo di difesa, che già è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni e i cui fondi si sono concentrati in pochi paesi e su pochi colossi. Secondo la bussola, «il settore può contribuire alla crescita». La spinta alla spesa militare va ben oltre l’Ucraina. E comporta operazioni come «il vat waiver», lo sgravio dell’Iva sugli acquisti comuni per la difesa, che è già stato ipotizzato dalla Commissione europea, e ulteriori «nuove soluzioni finanziarie» da studiare, che facilitino gli esborsi.

La Nato e gli Usa

La guerra in Ucraina ridefinisce anche il quadro politico di riferimento: mentre la Russia entra nel documento come «aggressore», il vincolo della Nato – della quale non tutti i paesi Ue fanno parte - e il legame con gli Usa escono rafforzati. Macron, che aveva definito la Nato «in coma» e che puntava tutto sulla «autonomia strategica», fa i conti con il fatto che «la guerra è stata un elettroshock»: l’alleanza esce rafforzata, anche se al contempo la spesa aumenta e quindi il margine per i campioni industriali europei resta. Berlino, subito dopo la scelta di riarmarsi, ha comprato da Washington una trentina di caccia F35 capaci di trasportare armi nucleari, rinsaldando un legame politico oltre che militare. Il legame infatti si vede anche su altri fronti: Mario Draghi ha invocato una deregolamentazione a favore dell’importazione dagli Usa di prodotti agricoli, mentre Christian Lindner, il ministro delle Finanze tedesco, liberale e liberista, chiede di riesumare il trattato di libero scambio con gli Usa, il Ttip. Un chiaro segnale di benvenuto a Joe Biden, in vista della sua partecipazione, giovedì, al Consiglio europeo.

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