La pandemia porta a un altro livello un fenomeno già in atto: quello della corporation che fa politica; che non solo fa attività lobbistica, ma detta la politica, ne adotta il linguaggio e arriva a sostituirsi a essa. Per chi ancora non se ne fosse accorto, Big Pharma sta plasmando le scelte politiche europee; tiene conferenze stampa con le istituzioni come interlocutore di pari livello. I manager di Pfizer-BioNTech non sono soltanto alla pari dei leader di governo, ma a volte sono preferiti a essi: Angela Merkel, sponsor politico di BioNTech, non si è recata di persona a Porto per incontrare i leader europei la scorsa settimana. In compenso, prima di intervenire virtualmente, ha consultato per telefono Ugur Sahin di BioNTech. Già con Big Tech si è visto quanto le multinazionali possano scavalcare i governi, o addirittura posizionarsi come tali: Microsoft ha aperto una sua rappresentanza all’Onu, Mark Zuckerberg ha scritto manifesti di politica globale, incontra parlamenti e governi. Ma ciò a cui assistiamo ora con le aziende farmaceutiche è a suo modo inedito: anche in questo, c’è un prima e un dopo Covid-19.

Politica della corporation

L’avamposto dell’influenza politica di Big Pharma in Europa è anche su Twitter, si chiama Pfizer Eu Policy: «Siamo la squadra di Bruxelles, ci impegniamo nelle politiche europee», «lavoriamo insieme ai decisori politici Ue». Molto più che vendere prodotti, la squadra vende visioni: c’è pure un video esplicativo della «nostra visione per l’Europa della salute 2019–2024». In un video pre-elezioni europee, la vicepresidente Eva Grut-Aandahl si esprime sul voto con parole mutuate dalla politica: «Siamo a un crocevia in Europa e penso che impegnarsi, votare, sia più importante che mai». Mentre la lobby adotta il linguaggio della politica, la politica sta mutuando gli argomenti della lobby.

Gli esperti parlano di “echo chamber”: su vaccini, brevetti e proprietà intellettuale, Bruxelles è arrivata al punto di far proprie le ragioni delle corporation senza ascoltarne altre. Dimitri Eynikel, che per Medici senza frontiere si batte per l’accesso equo ai vaccini, denuncia: «Abbiamo cercato di incontrare la commissaria alla Salute ma ha declinato; quello al Commercio non ha mai risposto». Nel frattempo Bruxelles nell’ultimo anno ha avuto oltre un centinaio di incontri con l’industria del farmaco. La presidente von der Leyen, in tema di vaccini, da settimane definisce Pfizer-BioNTech il partner preferito e affidabile. Per esaltarne le doti è anche riuscita a combinare in un solo discorso scienza e fede. «La scienza vincerà» è il motto di Pfizer, che la presidente fa suo per poi aggiungere: «Mi rivolgo ad Albert Bourla (amministratore delegato di Pfizer, ndr), senza questo miracolo produttivo tutto ciò non sarebbe stato possibile». Mentre parla di miracoli, von der Leyen è affiancata dal premier belga Alexander De Croo e dai ceo di Pfizer-BioNTech. È la conferenza stampa del 23 aprile, che si tiene dopo la visita della presidente allo stabilimento di Puurs; presidenti e ceo parlano ognuno dietro al suo leggio: stessa prossemica, stesse distanze, stesso tipo di postazione. Solo che in quella della presidente c’è la bandiera Ue, in quella dei ceo il brand. È mai successo in Europa che una corporation affiancasse in tal modo la politica? Hans van Scharen del Corporate Europe Observatory, che si occupa delle influenze delle corporation sulle istituzioni Ue, dice che «colpisce anche noi quel che sta succedendo: c’è una manifestazione inedita ed eclatante di influenza. Di simile mi viene in mente quel che successe in Europa con la crisi finanziaria: nei summit coi capi di stato, c’erano Deutsche Bank e Bnp. Abbiamo visto poi quanto le banche “troppo grandi per poter fallire” abbiano plasmato le scelte europee».

© Riproduzione riservata